Capitolo 4

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Senza perdere altro tempo, Annie si diresse verso la casa che stava lentamente cadendo a pezzi: lì dentro c'era la sua missione, "quattro soggetti, niente esterni " le aveva mormorato all'orecchio uno dei suoi carcerieri. Si mise fuori e aspettò, seduta su un tronco d'albero abbastanza distante da essere scappato dalle fiamme dell'incendio. Osservò Natasha cercare segni di presenza umana, o qualcosa che spiegasse l'accaduto, ma naturalmente non trovò nulla. Aspettando che accadesse qualcosa di importante, rimase lì, ferma immobile, respirando talmente lentamente che quasi non sentiva l'odore di bruciato nell'aria. Dopo qualche istante, una parte di tetto cedette e si afflosciò su se stessa, andando a devastare la parte sinistra della casa. Delle urla soffocate giunsero dall'abitazione: Natasha esitò, poi iniziò a correre verso di esse, maledicendo sottovoce la situazione e tutto il resto. 

- Clint! - urlò con i polmoni che le andavano a fuoco a causa del fumo. - Laura! - gridò ancora prima di mettersi a tossire. Anche se piegata in due dal dolore nel petto, la spia russa avanzò un passo dopo l'altro, fino a raggiungere il piccolo porticato che precedeva l'ingresso dell'abitazione. Annie sapeva cosa si provava ad essere in mezzo al fumo e al fuoco e non poter andarsene: mentre i tuoi polmoni sembrano diventare pesanti, la bocca si riempie di fumo talmente denso che potresti ingoiarlo come se fosse cibo. 

Ormai le fiamme ricoprivano ogni centimetro della casa, senza eccezioni, e non vi era traccia né di Clint né di Laura né dei bambini. Quella missione era stata fin troppo facile, l'aveva conclusa in un solo giorno, i suoi padroni sarebbero stati contenti. Si alzò dal tronco dell'albero, pronta a voltarsi e ad andarsene, ma qualcosa la trattenne e pochi istanti dopo, dal retro dell'abitazione emersero quattro figure: Laura teneva in braccio il più piccolo dei bambini, mentre con il braccio destro cercava di trascinare la piccola Lila che sembrava non respirare più. Il più grande, Cooper, dava un aiuto alla madre nel trainare la sorella nonostante fosse scosso da forti colpi di tosse e brividi su tutto il corpo. Annie imprecò sottovoce ed impugnò la pistola, la puntò verso di loro e iniziò a sparare. Uno, due, quattro, sette colpi. Uno dopo l'altro, senza fermarsi. Il primo a cadere fu Cooper, poi Laura. La bambina, Lila, si buttò istintivamente a terra, coprendosi il capo con le mani. Stava per sparare un altro colpo quando un dolore improvviso le trafisse il braccio: sconcertata, voltò la testa verso destra e vide una macchia di sangue allargarsi poco più sotto della spalla. Allora alzò gli occhi e vide Natasha che le puntava contro una pistola a dieci, forse quindici, metri di distanza. Annie sapeva che Natasha non poteva vederla, doveva essere andata ad intuito in base al punto dove erano partiti i proiettili. Stringendo i denti, estrasse il proiettile a mani nude dal braccio e impugnò la pistola con la mano sinistra. Ricominciò a sparare, ma la sua mira era imprecisa. Nat sperò ancora nella sua direzione alla cieca, ma sta volta non la colpì. 

Nel frattempo, Annie dentro di se sentiva l'illusione che retrocedeva, come se fosse stato qualcosa di tangibile che lei aveva messo intorno a se: le energie che stava usando erano troppe, doveva cambiare illusione e anche in fretta, o l'avrebbero scoperta. Alla sua destra, Natasha sparò ancora e questa volta la mancò per un soffio. Annie impugnò la pistola più saldamente, poi cambiò illusione: ora ciò che vedevano era un uomo sulla trentina, con i capelli neri tirati indietro e un sorrisetto malefico stampato in faccia. A quel punto si girò verso la spia russa e disse:- Sorpresa di rivedermi?- 

Ci fu un'altra esplosione e mentre il rumore esplodeva tutt'attorno a lei, vide le labbra di Natasha contorcersi in un nome muto: Loki.

Almeno l'aveva riconosciuto.

-

Arrivato ad Albany, dove le coordinate l'avevano condotto, si diresse in un magazzino abbandonato ai margini della città. Li vi sarebbero dovuti essere i suoi tredici bersagli, ma quando vi giunse non vi trovò nessuno, era solo un  garage vuoto come tanti altri. Il soldato d'inverno si guardò attorno in cerca di indizi su dove i suoi bersagli potessero essere andati: si avvicinò a una scrivania mal ridotta accostata ad uno dei muri laterali. Appoggiata sopra vi era una cartina della città con qualche scritta in pennarello blu e qualche buco qua e la: la prese in mano e la esaminò per bene, poi senza dire nulla si girò e iniziò a sparare. Davanti a lui, un uomo vestito in divisa parò i proiettili con uno scudo a cerchi rossi e bianchi con una stella nel centro, mentre una macchina rossa e oro a forma d'uomo puntava contro di lui i palmi di quelle che sarebbero dovute essere le mani. Non aveva tempo da perdere con loro, non erano loro la sua missione, non erano loro i suoi bersagli. Nella ricerca di un diversivo, i suoi occhi si fermarono sul punto più alto di una libreria a scaffali occupata non da libri, bensì da vari oggetti da officina: tra questi ultimi, a rapire la sua attenzione furono una serie di esplosivi da contrabbando accanto a pacchetti di droga. Nel giro di due secondi, rivolse il fucile contro di essi, sparò e questi esplosero distraendo tutti e tre gli uomini che gli stavano dando fastidio. Quando loro si voltarono, lui era già scomparso.

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