Capitolo 1

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- Capitano, la vogliono in sala riunioni.- 

La voce formale e senza emozioni dell'assistente vocale quasi lo prese di soprassalto: non si era ancora abituato ad avere un telefono in tasca ed essere reperibile ventiquattr'ore su ventiquattro, per qualsiasi cosa. 

Quella mattina si era alzato presto, aveva fatto una colazione al volo ed era uscito a correre, da solo. Sam la sera prima si era offerto di accompagnarlo, anche solo per fargli un po' di compagnia, ma aveva rifiutato: correre lo aiutava a liberare la mente dai pensieri da cui voleva fuggire ed era il suo momento di... pace. Dopo le svariate missioni non aveva più avuto tempo per se stesso né lo aveva richiesto, così si accontentava di mezz'oretta di solitudine e di silenzio mentre correva. 

Il parco quella mattina era pressoché deserto, c'era solo una coppia di ragazzi che faceva del sano riscaldamento mattutino prima di mettersi a correre e un uomo che stava completando i giri di corsa con le cuffiette infilate nelle orecchie e la musica a palla. A riguardo del tempo, il sole splendeva magnificamente in cielo e si annunciava essere una bellissima giornata di tarda estate. 

Steve si fermò vicino ad una panchina e tirò fuori il cellulare dalla tasca destra. Ci mise qualche secondo per trovare l'icona della rubrica, poi compose il numero di Tony che rispose dopo qualche squillo.

- Pronto?- disse la voce di Pepper.

- Pepper posso parlare con Tony?- chiese gentilmente Steve nonostante fosse scocciato.

- Si, adesso te lo passo.- rispose lei cercando di coprire la voce di Tony che le intimava di non passargli il cellulare. Sbuffando, Tony rispose al telefono:- Che c'è Cap?-

- Avevi detto niente riunioni il sabato.- rispose secco lui.

- C'è un'emergenza.- disse con tono serio l'uomo dall'altra parte del telefono.

- Di che si tratta?- chiese allora lui.

- Non posso dirtelo al telefono, siamo rintracciabili.-

- Arrivo.- rispose semplicemente.

- Bravo ometto.- lo canzonò Tony prima di far finire la chiamata. 

Leggermente confuso, Steve si girò di 180 gradi e si avviò per tornare alla Stark Tower. Immerso nei suoi pensieri, rischiò di pestare un escremento di cane sul bordo della stradina di sassi. Scampato il pericolo di essersi sporcato, continuò a camminare a velocità costante fino alla fine del marciapiedi e raggiunse le strisce pedonali. Ferme ad aspettare il verde del semaforo c'era una giovane mamma con la figlia accanto. Steve le guardò: sembravano così calme, irradiavano una specie di pace che non avrebbe saputo spiegare. La donna aveva la carnagione scura e vestiva un paio di jeans, una maglietta e una giacca in pelle. Ai piedi portava degli scarponcini eleganti traforati e i capelli ricci erano raccolti in un magnifico chignon. La borsa scura che portava appesa alla spalla sinistra sicuramente pesava molto, ma lei non sembrava farci caso. Teneva per mano una bambina, che Steve aveva identificato come la figlia, dalla carnagione leggermente più chiara e che dimostrava sette o otto anni. Anche lei indossava dei jeans e una maglietta a maniche lunghe, ma non aveva nessuna giacca. Ai piedi portava delle sfavillanti scarpe rosa e viola con dei disegni sui lati e sulle spalle portava il carico di uno zainetto viola con le raffigurazioni di qualche cartone animato.

Finalmente scattò il verde, la giovane donna controllò comunque la strada, poi iniziò a muoversi. Steve era appena dietro di loro, solo qualche passo indietro... Sentì il rumore di un'auto che sgommava rumorosamente, girò la testa di scatto verso l'origine del suono: un automobile nera con i finestrini oscurati si stava avvicinando pericolosamente velocemente a loro e non accennava a rallentare. Steve iniziò a correre verso la donna, urlandole di correre e di muoversi. Vide la donna girarsi verso di lui, lei lo guardò con l'espressione di chi non ha capito. Steve le era quasi addosso, le urlò ancora di correre e con la mano le indicò l'auto. L'auto continuò ad avvicinarsi, tra pochi secondi sarebbe stata lì. La donna iniziò a camminare più velocemente, tirando la figlia con sé, poi girò la testa e vide l'auto. Il suo viso si contorse in una smorfia e realizzò ciò che stava per accedere: la paura si fece strada nella sua mente, Steve lo notò nell'irrigidirsi delle sue braccia e delle sue gambe. La macchina continuò ad avvicinarsi, mancavano circa dieci metri e l'auto stava andando molto veloce, sicuramente le avrebbe tirate sotto. Allora fece l'unica cosa che gli venne in mente: si slanciò in avanti. Mentre era in volo sentì la bambina iniziare ad urlare e vide con la coda dell'occhio l'enorme macchia nera che si avvicinava a loro tre. Sentì il contatto della sua pelle con quella della bambina, poi anche quella della donna. Caddero a terra, schiacciati l'uno contro l'altro, l'asfalto ruvido li graffiò e lasciò loro piccoli taglietti. Una massa d'aria li travolse, segno che la macchina li aveva oltrepassati. Stettero fermi così, rannicchiati sulla strada, con le urla della gente che si facevano spazio tra la quiete della mattina. Si sentì un'esplosione di sottofondo, la macchina si era schiantata contro una vetrina di un negozio all'incrocio delle strade. Steve si alzò, lasciando libere la donna e sua figlia, che si alzarono di scatto e mormorando qualche ringraziamento se ne andarono sconvolte a passo deciso. Lui rimase lì, in mezzo alla strada, girò la testa verso destra, dove una nube di fumo nero iniziò ad invadere l'aria e le fiamme a farsi spazio tra i resti dell'auto. La gente era allarmata, grida continuavano a riempire il cielo, la paura dilagava tra i presenti. Steve vide un uomo indicare le fiamme mentre urlava di andarsene e iniziava a correre lontano dall'auto... Gli altri lo imitarono, ma lui non riusciva a capire il perché. Voleva sapere cos'è che li spaventava tanto, non può essere solo la macchina, nei loro occhi c'era il terrore. Fece un passo verso l'epicentro della paura, poi ne fece un altro e un altro ancora: senza rendersene conto stava correndo in controcorrente. Qualcuno gli andò addosso, non vide chi, ma in ogni caso non aveva importanza: la persona non lo guardò neppure, aveva la testa rivolta nella direzione opposta in cui stava correndo e si scansò facendolo passare. Steve continuò a correre, era quasi arrivato alla macchina. Dai resti infiammati uscì un uomo, ma aveva l'intera testa coperta da una maschera blu con delle chiazze rosse di sangue. In mano aveva un mitra nero e le munizioni erano appese a mo' di corda da scalatore sul torace e sulla schiena. Era vestito totalmente in blu scuro, portava dei guanti blu come la notte e degli stivali ancora più scuri. L'uomo si girò nella sua direzione e lo guardò come se si aspettasse qualcosa da lui. Intorno regnava il caos: gente che correva, gente che urlava, gente che piangeva. Passati alcuni secondi, sia Steve che l'uomo continuarono a guardarsi, senza fare altro. Poi l'uomo alzò il mitra e fece una cosa inaspettata: se ne andò. Lui lo seguì correndo, non voleva lasciarlo scappare, ma l'uomo era troppo veloce e Steve lo perse. 

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