Ritardo

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Direi che chiunque in questo mondo ha presente quella situazione in cui si è in classe, o in treno, a farsi i fatti propri, quando all'improvviso ci si ricorda che, per l'appunto, ci si sta solo facendo i fatti propri, senza prestare attenzione a cose futili come potrebbero essere, che ne so, la vita reale? Un momento di realizzazione che batte quelli di ogni sogno lucido che si possa fare, anche perché il sogno lucido in questione si è appena interrotto, se sogno si può chiamare. E qui entra in gioco il panico, dentro la testa possono essere passati minuti interi, ore, magari ci si è perfino addormentati sul serio e nessuno l'ha notato; quindi si alza la testa, si controlla a destra e sinistra se è cambiato qualcosa, si dà quella sbirciatina all'ora che non manca mai e allora arriva il lieto fine, perché in effetti il tempo nei sogni ad occhi aperti scorre in modo diverso rispetto al mondo reale, e quell'immaginario di due ore che si è formato nel cervello probabilmente dura due minuti al di fuori della testa bacata che l'ha ideato. E qui pervade quella scarica di sollievo che solo questo tipo di esperienze può dare, e la testa bacata che si era appena impanicata torna a vivere nel mondo reale per i successivi.. due minuti. Forse tre, se l'esperienza l'ha particolarmente scioccato.

Ecco, io sono quella testa bacata. Ma non ho avuto la fortuna di risvegliarmi in tempo.

Diciamo che però avevo i delle ragioni per perdermi tra i pensieri quel primo settembre. E il mio motivo era proprio lei, la scuola nuova: uno dei cliché più triti e ritriti nella storia. Come molti dei figli di divorziati per andare a vivere con uno dei miei genitori, mio padre nello specifico, avevo dovuto cambiare casa e città, e quindi di conseguenza anche scuola, abbandonando i miei vecchi amici indietro e lasciandomi alle spalle (per fortuna) i professori che nei primi due anni delle superiori mi avevano formato come un artigiano forma la prima bozza del suo vaso. Ma ripensandoci mi era andata bene: i miei avevano concluso di firmare le loro scartoffie a fine di giugno, quindi tutti i lavori per trasferirmi si erano svolti durante l'estate, e il trauma del cambio di ambiente era stato rimandato a settembre. Inoltre la ragazza di mio padre, una donna di nome Kate, era insegnante di storia e letteratura inglese in questa città, quindi grazie a qualche strappo alla regola ero riuscita a conoscere l'edificio in anticipo, riducendo quindi le possibilità di perdermi. Insomma, il più grande ostacolo era la socializzazione; non che io fossi particolarmente timida o altro, ma c'era una differenza disumana tra l'ambientarsi in una classe che si ritrova per la prima volta insieme ed una classe già bella che formata. Ed era questo il motivo per cui stavo fantasticando la mia futura vita scolastica in piedi nella metropolitana alle sette di mattina, prima che la voce di un ragazzo mi riportasse alla realtà.

«Ehi.. sei sveglia?» il rumore di uno schiocco di dita mi fece sobbalzare tanto che dovetti afferrare con entrambe le mani il palo vicino a me per riprendermi. All'inizio non avevo neanche compreso da dove provenisse la voce maschile che mi aveva svegliato, forse perché il ragazzo che aveva parlato era di fianco a me, o più probabilmente perché la mia mentre stava ancora riprendendosi dal dormiveglia appena interrotto. Quindi no, misteriosa figura..

«Non so neanche io se sono sveglia o no, tesoro..» le parole mi svicolarono fuori dalla bocca in un borbottio quasi incomprensibile mentre liberavo le mani per stropicciarmi gli occhi.

«Eh? Ma stai male?» la figura sdoppiata di un ragazzo entrò nel mio campo visivo mentre lui si posizionava di fronte a me con le sopracciglia aggrottate dalla preoccupazione. Una preoccupazione fasulla però, dato che messo a fuoco il suo volto notai subito un accenno di riso sulle labbra. Anche io sorrisi nel modo più gentile che potevo.

«Sto alla grande. Tu hai bisogno.. di qualcosa?»

«Si, di un'informazione. La fermata della piazza J. Paulson l'abbiamo già passata? Mi sono addormentato dopo pochi minuti che sono salito e ho paura di averla persa»

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