PROLOGO
New Orleans, gennaio 1994
Klaus Mikaelson si aggirava nel Quartiere Francese in cerca di un negozio di souvenir. Ce ne erano a bizzeffe a New Orleans, i turisti avevano l'imbarazzo della scelta. Ogni isolato contava almeno tre bazar. Era la città della magia per eccellenza, avvolta nel mistero del sovrannaturale che tanto attirava gli umani. Klaus aveva visitato tutti i negozi quella settimana ma la sua ricerca non aveva prodotto risultati. La frustrazione aumentava ad ogni fallimento, però la missione era troppo importante per arrendersi. Se non avesse trovato ciò che cercava in Louisiana, avrebbe girato il mondo pur di ottenerlo. Aveva da poco imboccato una strada quando vide la luce accesa di un negozio. Erano le otto di sera e per il Quartiere gli affari erano appena iniziati. La notte era la vera attrazione della città. Entrò nel negozio senza dare troppo nell'occhio, il cappuccio calato sulla testa e le mani in tasca. C'erano un paio di clienti che stavano acquistando cristalli colorati dalle fantomatiche proprietà magiche. In realtà erano solo pezzi di vetro senza potere, ma agli umani interessava l'illusione di avere in mano un pizzico di magia.
"Grazie per il vostro acquisto. Buona serata!" disse la ragazza al bancone.
Klaus nel frattempo ispezionava gli scaffali con un sorriso divertito, era incredibile come la gente si facesse truffare pur di provare un brivido di gioia.
"Le posso essere d'aiuto?" chiese la ragazza.
Aveva lunghi capelli biondi a boccoli che portava legati in una coda bassa. I suoi occhi verdi erano contornati da uno spesso strato di matita nera che li rendeva felini. Inconfondibile era l'amuleto appeso al collo, un piccolo ciondolo a forma di corvo.
"Spero di sì. Sto cercando un artefatto particolare. Molto particolare."
La ragazza incrociò le braccia al petto e guardò Klaus dritto in faccia, non aveva paura.
"Klaus Mikaelson che capita nel mio negozio in cerca di un artefatto particolare. Deve trattarsi di qualcosa di oscuro e pericoloso."
"La mia fama mi precede." Disse Klaus sorridendo.
"Io sono Yvette Dumont."
Il vampiro non si scompose, dopotutto il monile della ragazza era stato un indizio esplicito. La famiglia Dumont apparteneva alla Congrega Corvi, una delle più antiche di New Orleans che si dedicava al Voodoo.
"So che appartieni ad una stirpe potente di streghe, ma non mi interessa. Io sono qui per affari personali."
"E cosa cerca un wrath come te nel mio umile negozio?" chiese Yvette.
Klaus non diede peso al nomignolo che la strega gli aveva affibbiato, piuttosto era interessato a scoprire senza indugio se conoscesse l'oggetto della sua ricerca.
"Cerco la pietra di luna."
Yvette ebbe un lieve fremito delle labbra prima di assumere l'espressione indifferente, ma l'Originale aveva colto quell'indice di insicurezza.
"Non ho la pietra di luna. Non è un oggetto che trovi in un negozio di souvenir."
"Ma suppongo che una strega del tuo calibro abbia una vaga idea di dove trovare la pietra."
Klaus era determinato, e di certo le reticenze di una strega non lo avrebbero scoraggiato. Cercava la pietra da lungo tempo ed era giunto il momento di ottenerla ad ogni costo.
"Girano delle voci su quella pietra. Voci che riguardano una maledizione." Disse Yvette.
"Voci che a te non interessano. Sai dove posso trovare la pietra o devo torturarti per scoprirlo?"
Yvette sapeva che la pietra di luna racchiudeva la maledizione del sole e della luna. Spezzare la maledizione permetteva ai vampiri di camminare alla luce del sole e ai licantropi permetteva di trasformarsi a piacimento.
"Non bisogna mai giocare con gli oggetti mistici, soprattutto quando c'è di mezzo una maledizione."
Klaus sospirò, stufo di tutti quegli avvertimenti da strega.
"Anche mettersi contro un Originale è pericoloso. Non essere sciocca, strega. Dammi ciò che voglio."
Yvette conosceva la storia dei Mikaelson, figli della potente strega Esther e spietati vampiri. Ma su Klaus si diceva che fosse stato colpito due volte dalla magia: era sia vampiro sia licantropo.
"Vuoi la pietra per far emergere la parte di te che ulula alla luna?"
Klaus si irrigidì. Detestava quando qualcuno svelava le sue carte prima che fosse lui a rivelarle.
"Io non voglio ucciderti perché la tua Congrega si rivolterebbe contro di me e ora non ho tempo per sterminare un manipolo di streghe. Dammi le informazioni che mi servono per arrivare alla pietra, oppure darò fuoco al tuo negozio."
Yvette fece spallucce, consapevole che la sua morte non sarebbe stata vendicata.
"La Congrega Corvi non piangerebbe la mia morte. Comunque, e te lo dico perchè sto ancora pagando il mutuo per questo negozio, sembra che la pietra si trovi a Mystic Falls."
"Altro da aggiungere?" la incitò Klaus.
La ragazza si morse le labbra, non voleva spifferare tutto a un vampiro, ma opporsi ai Mikaelson era peggio che morire.
"L'ultima volta che qualcuno ha parlato della pietra di luna si diceva che appartenesse alla famiglia Lockwood. Non so altro."
Tutto conduceva a Mystic Falls, la terra dove tutte le sventure degli Originali erano cominciate. Per Klaus era ora di tornare a casa.
"Non era poi così difficile usare la lingua, strega."
Yvette con un gesto della mano aprì la porta per invitare l'uomo a lasciare il negozio. Entrambi erano usciti vittoriosi da quella conversazione: lui aveva ottenuto le informazioni e lei era rimasta in vita.
"Buon viaggio, wrath."
New Orleans, marzo 1994
Le strade della città erano silenziose. Le luci nelle case erano già spente. L'intera comunità partecipava al dolore per la perdita di Dana Cooper, rinomata strega del Quartiere Francese. Suo marito Oscar Cooper era a capo della Congrega Lyra, una delle più potenti e famose dopo la Congrega Corvi. Nel Quartiere si mormorava che un membro dei Corvi avesse ucciso Dana per una questione di gelosia. Da tempo ormai si riteneva che Yvette Dumont e Oscar avessero una relazione clandestina, e che per questo Yvette avesse ucciso Dana. Ciò che rendeva lo scandalo più succulento era il divieto imposto: le streghe e gli sciamani di congreghe diverse non potevano stare insieme, né sposarsi né generare figli. La violazione del divieto avrebbe comportato una severa punizione in base all'accusa. Esisteva un tribunale che avviava i processi, conduceva le dovute indagini e condannava gli imputati. Era così che le streghe mantenevano la purezza all'interno delle proprie Congreghe.
Il cimitero Lafayette ospitava il funerale di Dana, un lungo corteo si era riunito per celebrarla. L'auto nera si fermò davanti alla cappella di famiglia e scaricarono la bara, il legno era lucido e sul coperchio era inciso il segno della Congrega Lyra.
"Hai visto chi c'è?" sussurrò una strega alla sua vicina.
In fondo alla folla sbucava il viso di Yvette Dumont, il cappello non nascondeva i suoi lineamenti. Era la donna più bella del Quartiere Francese con quei boccoli dorati e il portamento di una principessa.
"Tu! Tu hai ucciso mia figlia!" sbraitò la madre di Dana.
Tutti si voltarono verso Yvette, che si portò le mani sullo stomaco per l'agitazione. Quello non era il suo posto. Non aveva il permesso di stare lì. Ma lo aveva fatto per mostrare ad Oscar il suo supporto.
"Vattene! Sparisci e non farti vedere mai più!" strillò uno sciamano.
Oscar distolse lo sguardo, non era il momento adatto per mettersi a difendere una nemica. Yvette scappò via prima che qualcuno le scagliasse contro un incantesimo. La Congrega Lyra era nota per infliggere pene esemplari a chi non dimostrava rispetto. Oscar trasalì quando la sorella gli sfiorò il gomito per attirare la sua attenzione.
"E' colpa tua, Oscar. Te ne pentirai."
Oscar sapeva che la sua Congrega lo avrebbe punito, sarebbe stato atroce. Strinse a sé i due figli, Miriam di sette anni e Nathan di cinque anni. Sperò con tutto se stesso che il castigo non ricadesse sui suoi bambini.
New Orleans, maggio 1994
Yvette era esausta, quella giornata sembrava non finire mai. L'estate era la stagione più intensa per il turismo. Il Quartiere pullulava di turisti provenienti da ogni parte del mondo, entravano e uscivano dal suo negozio a gran velocità. Addirittura in sole due ore aveva venduto tutte le carte dei tarocchi. Intorno alle dieci sera, sebbene la città fosse all'apice della baldoria notturna, decise di tornare a casa per riposare. Si trovava nello sgabuzzino del locale quando la campanella della porta suonò avvertendola dell'arrivo di un cliente.
"Mi dispiace, stiamo chiudendo. Può passare domattina presto."
"Yvette."
La ragazza alzò gli occhi e incontrò l'espressione afflitta di Oscar. Con uno schiocco di dita sigillò la porta e tirò giù le persiane, nessuno doveva sapere del loro incontro. Non si vedevano dal giorno del funerale di Dana.
"Oscar, che ci fai qui?"
"Sono qui perché ti devo parlare. Mia sorella Brenda ha scoperto tutto."
Da tempo il loro non era più un segreto. Un anno prima si erano incontrati per caso in una discoteca fuori città e subito era scoccata la scintilla. Il loro era stato amore a prima vista. Dopo qualche drink era chiaro a entrambi che quell'attrazione non sarebbe passata facilmente. Da quella sera si erano visti di nascosto nel Bayou, l'unico territorio che le streghe non frequentavano. Si rifugiavano in una vecchia capanna, passavano la notte insieme e il giorno dopo ciascuno tornava alla propria vita. Solo due mesi Brenda li aveva scoperti una notte d'inverno, aveva seguito il fratello fino alla palude e lo aveva visto baciare Yvette.
"Non è possibile. Siamo stati attenti! Abbiamo anche usato un incantesimo per non essere rintracciati."
"Brenda è una strega molto capace, ma soprattutto è una donna intelligente. Mi ha seguito in macchina fino al Bayou e ci ha visti."
Yvette si passò le mani fra i capelli. Quello era un problema enorme. Brenda era una di quelle streghe che rispettavano la legge in maniera precisa, pertanto non avrebbero ricevuto protezione da parte sua.
"Brenda ci denuncerà al Tribunale e saremo sottoposti a supplizio."
Oscar chiuse gli occhi, gli faceva male il tremolio nella voce della ragazza.
"Ascoltami, esiste un modo per salvarci entrambi."
"E quale sarebbe?" chiese Yvette, curiosa.
"Brenda manterrà il segreto a patto che tu vada via da New Orleans."
"No! Assolutamente no! Questa è casa mia. È la mia città."
Oscar si avvicinò ma lei arretrò, non voleva neanche toccarlo. Era troppo avvilita per essere indulgente.
"Allora entro domani saremo entrambi messi a processo. Lo capisci, Yvette? La punizione che ci infliggeranno potrebbe essere la morte. Tu vuoi morire?"
Morire per amore, letteralmente. Il loro unico peccato era quello di essersi innamorati pur facendo parte di due Congreghe diverse. Però il Tribunale non si faceva intenerire dai sentimenti, anzi il suo compito era quello di sradicarli in difesa della purezza.
"Io sono incinta." Confessò Yvette.
Oscar si accasciò contro il bancone, le mani sudate e il respiro mozzato. Lui aveva già due figli nati all'interno della Congrega, quindi la figlia di Yvette sarebbe stata dichiarata illegittima.
"E allora per amore del nostro bambino lascia la città. Se vuoi che nostro figlio nasca e cresca, vattene e non tornare mai più."
"Ma è anche tuo figlio! Oscar, non puoi voltarmi le spalle."
Oscar agguantò il pomello della porta e si voltò un'ultima volta per imprimere nella memoria quel volto etereo che tanto amava.
"Addio, Yvette."
Era notte fonda e Yvette non riusciva a dormire. Aveva preso in affitto il bilocale sopra il negozio in modo da evitare ritardi o altri problemi con il lavoro. Era strano pensare che non avrebbe rivisto mai più quelle quattro mura. Certo, era una casa piccola e fredda poiché non c'erano i riscaldamenti, ma era stato il suo rifugio da sempre. Aveva comprato il negozio di souvenir grazie ad un prestito della banca, aveva creduto con tutta se stessa in quella attività e ora era costretta ad abbandonare il suo sogno. Doveva farlo. Lo doveva al suo bambino. Nessuno meritava di vivere nel terrore che le streghe disseminavano a New Orleans. Suo figlio avrebbe avuto una vita felice, spensierata e lontana dalle Congreghe. Le sue riflessioni furono interrotte da un tonfo. Qualcuno stava bussando alla serranda del negozio. Yvette si affacciò alla finestra e vide che Klaus Mikaelson batteva il pugno sul metallo.
"Che vuoi? Credevo non saresti tornato."
"Dobbiamo parlare, strega." Disse Klaus.
Yvette non lo avrebbe fatto entrare in casa, perciò si infilò le pantofole e scese in strada.
"Che c'è?"
L'Originale camminò verso di lei con fare minaccioso, sembrava un demone pronto ad agguantarla e trascinarla nelle tenebre.
"Non ho trovato la pietra di luna. Mi hai mentito?"
Yvette non si lasciò intimorire, lui non era il primo vampiro irascibile che incontrava.
"Ti ho riportato le informazioni che avevo. Nessuno parla di quella pietra da anni, quindi sono molte le storie che circolano. Io so che da almeno un paio di generazioni la pietra è nelle mani dei Lockwood di Mystic Falls."
"Non conosci qualcuno meglio informato?" domandò Klaus.
Yvette voleva ridere, l'insistenza del vampiro era morbosa. Non capiva perché fosse tanto ossessionato da un oggetto che lo avrebbe maledetto.
"Quella pietra può lanciarti una maledizione, ecco perché nessuno fa domande al riguardo. Per caso vuoi morire?"
Klaus alzò gli occhi per un istante e notò il cartello del vendesi attaccato alla serranda. Interessante, pensò. Ricordò a se stesso che fidarsi di una strega era controproducente.
"Lasci la città? Che coincidenza. Io ti pongo domande sulla pietra di luna e tu scappi da New Orleans."
"Non me ne frega niente di quella pietra. Lascio New Orleans per ragioni personali. Il mondo non ruota intorno a voi vampiri e alle vostre cospirazioni. Comunque, ti ripeto che non so nient'altro di quella stupida pietra di luna."
Yvette gli diede le spalle e si incamminò verso il portone, voleva solo rimettersi a letto e crogiolarsi nella malinconia.
"Non contiene una maledizione." Disse Klaus.
La ragazza si bloccò e si voltò a mezzo busto per guardarlo.
"Come, prego?"
"La pietra non contiene una maledizione. Essa serve per spezzare una maledizione."
"E tu come sai queste cose?" volle sapere Yvette.
"Perché la maledizione riguarda me." spiegò Klaus.
Yvette non aveva mai sentito parlare di una maledizione scatenata sugli Originali. Però doveva ammettere che erano molti i misteri che avvolgevano quell'antica famiglia.
"Ora capisco perché hai tutta questa fretta di trovarla. Allora, mi dirai cosa riguarda?"
Klaus decise che raccontarle ogni cosa era la giusta mossa da fare. Aveva bisogno di una strega e lei faceva proprio al caso suo.
"E' la maledizione dell'ibrido. È stata creata da mia madre per addormentare il mio lato di lupo mannaro. È divisa in quattro parti."
Yvette non aveva mai sentito nominare un incantesimo capace di inibire la natura soprannaturale di qualcuno. La madre dell'Originale doveva essere una delle streghe più potenti del mondo se aveva operato una simile magia.
"Quali sono le quattro parti?"
Klaus esitò, del resto quella ragazza avrebbe potuto usare quelle informazioni contro di lui. Poi, però, il suo istinto gli suggerì di sfruttare l'occasione al meglio.
"Il nocciolo della questione è proprio questo: non posso decifrare l'incantesimo di mia madre. Il suo grimorio è protetto da una magia che impedisce ai vampiri di aprirlo. So solo che la pietra di luna è una delle quattro parti."
"Ah, ecco. Ti serve una strega per leggere il grimorio di tua madre." Disse Yvette.
"Esatto. E siccome tu sembri una ragazza sveglia, vorrei farti una proposta."
Yvette inarcò le sopracciglia a quelle parole. Che un vampiro offrisse un accordo a una strega era qualcosa di raro, ma al tempo stesso per lei poteva rappresentare il giusto mezzo per lasciare la città.
"Parla, wrath."
Klaus avanzò di qualche passo sotto la luce del lampione, i suoi capelli biondi sembravano catturare la luminosità.
"Nel Quartiere si vocifera di una tresca fra te e Oscar Cooper. Sai, devo confessarti che mi stupisce la tua audacia. Mettersi contro le Congreghe per amore è davvero ridicolo."
"Vuoi farmi la ramanzina o vuoi propormi un vero affare?" lo incalzò Yvette.
Klaus sghignazzò, era quella la disperazione su cui lui voleva fare leva.
"La mia offerta è la seguente: io pago tutto il tuo mutuo, compro il tuo negozio e ti permetto di andare a vivere in una delle mie tante proprietà. In cambio tu leggerai il grimorio di mia madre e mi dirai quali sono le altre parti per spezzare la maledizione."
Yvette soppesò la proposta, voleva valutarne i pro e i contro. Insomma, lavorare per un vampiro Originale avrebbe macchiato ancora di più la sua reputazione già sporca. Ogni strega che collaborava con i vampiri veniva emarginata e considerata impura. Ma a lei cosa restava? Aveva un mutuo da estinguere, un negozio da vendere e una nuova vita da intraprendere. Se non avesse lasciato la città al più presto, la Congrega Lyra l'avrebbe rapita e torturata. Ormai non c'erano norme da rispettare, contava solo la sopravvivenza. Doveva farlo per il suo bambino.
"Accetto a due condizioni."
"Suvvia, esponi le condizioni." Disse Klaus, annoiato.
Yvette fece un respiro profondo mentre la sua mente ordinava le parole per un discorso logico.
"La prima condizione è che ci separeremo subito dopo che avrò letto il grimorio."
"Va bene. La seconda?"
"La seconda è che dovrai proteggermi dalle Congreghe per tutto il tempo che saremo insieme."
Klaus detestava avere a che fare con le Congreghe, erano così ligie al dovere e così fedeli alla propria razza. Eppure aveva bisogno che quella maledizione si dissolvesse, dunque era costretto ad assecondare le richieste di Yvette.
"Va bene. Abbiamo un accordo, strega?"
"Abbiamo un accordo, wrath."
Vienna, gennaio 1995
Klaus si stava scolando l'ennesima bottiglia di champagne della giornata. Era volato a Vienna per ricongiungersi con alcuni vecchi amici per un weekend di dissolutezze. Da due giorni erano fissi clienti del bar, ordinavano bottiglie costose e bevevano sangue dai camerieri. Adesso l'Originale sedeva su un divanetto e rideva a crepapelle per una stupida battuta di Franz, o almeno l'alcol rendeva tutto divertente.
"La tua amichetta ti sta chiamando." Disse Franz.
Sulla soglia del bar c'era Yvette che sventolava la mano per farsi vedere. Nei mesi precedenti aveva seguito Klaus dappertutto tra festini, abbuffate di sangue e nottate senza fine. Lei restava in hotel a studiare il grimorio e lui usciva per rientrare soltanto all'alba.
"Vuoi un drink?" le chiese Klaus.
"Sono incinta, non posso bere alcol." Puntualizzò Yvette.
L'Originale sollevò il bicchiere e svuotò in contenuto in pochi secondi. I suoi occhi chiari erano lucidi per via dell'ubriachezza.
"Perché sei scesa allora? Ti pago per startene in camera con il grimorio."
Yvette fece roteare gli occhi, la sua pazienza aveva un limite e Klaus Mikaelson lo superava ogni giorno.
"Infatti ho decifrato l'incantesimo. Ora so quali sono le parti mancanti per spezzare la maledizione."
Il volto di Klaus si accese di speranza. Dopo secoli era arrivata quella lieta notizia. Una volta spezzata la maledizione, lui sarebbe diventato l'essere più forte del mondo.
"Andiamo a parlarne in camera. Non voglio che qualche ficcanaso ci ascolti."
Salirono in camera guardandosi le spalle. I compagni di bevuta di Klaus potevano essere chiunque e potevano lavorare per chiunque, pertanto la sicurezza non era mia troppa.
"Chiudi la porta a chiave." Disse Yvette.
Il vampiro prima controllò che il corridoio fosse vuoto e poi agganciò la porta in modo da chiuderla. Nel frattempo Yvette aveva messo la salvia a bruciare in un piattino; la pianta ergeva una barriera che impediva ai vampiri di origliare la loro conversazione.
"Cosa hai scoperto?" domandò Klaus, impaziente.
La ragazza gli indicò la pagina del grimorio che aveva decifrato, c'erano quattro triangoli e al loro interno erano disegnate delle forme.
"Ogni triangolo racchiude un elemento: la pietra di luna, un vampiro, un licantropo e un doppelgänger. Questi quattro elementi possono spezzare la maledizione."
Klaus passò le dita sulla pagina con lo stupore che gli disegnava un sorriso compiaciuto sulle labbra. Finalmente poteva risvegliare la sua completa natura.
"Grandioso. Ottimo lavoro, strega."
Yvette abbozzò un sorriso, ma era troppo stanca per fingersi contenta. Aveva appena concesso ad un Originale di trasformarsi in un ibrido, non c'era nulla di cui andare fiera.
"Il nostro accordo termina qui. Tu hai estinto i miei debiti e io ho decifrato il grimorio. Siamo pari adesso."
"È vero. Ora puoi essere libera di scegliere la tua dimora." Disse Klaus.
"Voglio trasferirmi a Chicago. È una grande città e ci sono tante creature sovrannaturali, sarà più difficile per le Congreghe trovarmi."
"Non hai un incantesimo che ti occulta?"
Yvette aveva lanciato su se stessa un incantesimo di occultamento ma la sua efficacia diminuiva man mano che la gravidanza andava avanti. In quei nove mesi era più esposta al rischio. Dopo la nascita avrebbe provveduto a celare di nuovo se stessa e anche la bambina.
"Sono affari miei. Mi dai l'indirizzo di una casa a Chicago come da accordo?"
Klaus era un po' triste poiché avrebbe proseguito il suo viaggio da solo. Yvette era una compagnia discreta, specialmente per lui che non aveva amici. Però in fondo separarsi era giusto per entrambi.
"Domattina soggiogherò qualcuno per accompagnarti a Chicago."
"Grazie, Klaus. Probabilmente stai salvando la vita di mia figlia." Disse Yvette.
"A proposito, hai già scelto un nome?"
"La chiamerò Artemis. Un elogio alla dea Artemide."
Il vampiro apprezzò il nome, era originale e si adattava bene ad una futura strega.
"Augurati che la tua bambina non mi incontri mai. Non sono una bella persona." disse Klaus.
La strega gli mise una mano sulla spalla e gli regalò un piccolo sorriso.
"Sono sicura che proteggeresti la mia bambina ad ogni costo."
New Orleans, 23 anni dopo
Klaus stava dipingendo nello studio, immerso nel nuovo dipinto che prendeva forma nella sua mente. In casa c'erano solo lui e Freya, quindi aveva tutto il tempo di dedicarsi alla pittura. Le cose per i Mikaelson erano cambiate negli ultimi tempi. Dopo aver sconfitto l'Ombra e aver riunito la famiglia, ciascuno aveva intrapreso una strada diversa: Kol era andato a vivere con Davina, Rebekah e Marcel si erano sposati e avevano acquistato una tenuta in campagna, Elijah ed Hayley erano andati in vacanza insieme a Hope; soltanto Klaus, Freya e Keelin si erano stabiliti a New Orleans nel palazzo di famiglia.
"Klaus, il tuo telefono sta squillando!" lo avvisò Freya.
Klaus sbuffò, avrebbe voluto strozzare chiunque disturbasse quel suo momento artistico. Con la super velocità scese in cortile per recuperare il telefono. Non conosceva il numero che lo stava chiamando.
"Pronto?"
"Accetta una chiamata dal penitenziario di Santa Catarina a suo carico?"
Era talmente confuso che impiegò qualche secondo prima di rispondere.
"Sì, accetto la chiamata."
Trascorse un minuto prima che dall'altro capo prendessero la linea. La voce che parlò era quella di una donna, probabilmente molto giovane.
"Okay, so che può sembrare imbarazzante, ma io sono Artemis. Mia madre diceva che avrei dovuto chiamare questo numero in caso fossi finita nei guai."
"Non conosco nessuna Artemis." Ribatté Klaus, infastidito.
"Sei proprio uno stronzo." Disse la voce della donna.
L'Originale stava per rispondere a tono ma la linea era già caduta. Fissò il telefono come fosse l'aggeggio più strano del mondo.
"Perché hai quella faccia?" domandò Freya.
Klaus scavò nella propria memoria in cerca di quel nome. Artemis. Aveva conosciuto molte donne nella sua lunga vita, poteva essere chiunque. Poteva essere ... oh, no. C'era una sola donna che portava quel nome e lui l'aveva conosciuta quando non era ancora era nata.
"Devo andare a Santa Catarina in Messico. Devo sbrigare una faccenda."
Freya arricciò il naso, quasi poteva annusare nell'aria la rabbia nella voce del fratello.
"Che stai tramando, Klaus? Santa Catarina è il più grande centro del Mercato Nero. In quella città vengono trafficati oggetti magici in ogni quartiere, anche nei più poveri."
"C'è una persona che devo tirare fuori dai guai. Tornerò il prima possibile."
Il giorno dopo
Artemis non sopportava più quella puzza. La cella in cui era stata imprigionata era minuscola, con le pareti ricoperte di muffa e il tetto che spurgava acqua. Anche i suoi vicini di cella emanavano un tremendo fetore di sudore misto ad alcol. Tre giorni prima era stata scovata fuori città e arrestata per aver varcato il confine illegalmente. Sapeva che andare in Messico sarebbe stata un'ardua impresa, però era così vicina al suo obiettivo che una settimana la fresco era cosa di poco conto.
"¡Levántate, chica americana!" gridò una delle guardie.
Artemis non capiva lo spagnolo ma era facile intuire che le stesse ordinando di mettersi in piedi. Si alzò dalla brandina disastrata e si avvicinò alle sbarre. Rimase sopresa quando la guardia aprì la cella e spalancò la porta fatta di sbarre.
"Sígueme."
"Lo devi seguire." Tradusse un ragazzo dalla cella adiacente.
Era stato portato dentro la sera prima per una rissa, e questo Artemis lo sapeva perchè lui parlava piuttosto bene la sua lingua.
"Ciao, Raphael. E la prossima volta tira cazzotti più forti." Disse lei con un sorriso.
Raphael ridacchiò e la salutò con la mano, poi tornò a sonnecchiare. Artemis seguì la guardia fino alla sala d'attesa e da lì un'altra guardia la scortò in segreteria per farle firmare un modulo.
"Estas son tus cosas."
La guardia le restituì il suo zaino e i suoi effetti personali: documenti, anelli, orologio e persino la borraccia ancora piena d'acqua.
"Che succede? Che idiota che sono. Questo non capisce cosa dico." Borbottò lei fra sè.
Un suono riechieggiò nel corriodio e la porta in fondo si spalancò meccanicamente. La guardia le fece segno di seguirla verso l'uscita.
"Tú estás libre para irte."
Artemis afferrò solo la parola 'libre' e capì che la stavano rilasciando. Come era possibile? Varcare il confine in via illegale includeva una pena esemplare. Era convinta che non avrebbe rivisto mai più la luce del sole. Era uno scherzo? L'avrebbero arrestata di nuovo dopo averle fatto riassaggiare la libertà? Era quella la pena riservata ai criminali?
"Artemis."
La ragazza si voltò e fece vagare lo sguardo fra i presenti, però non riconobbe facce conosciute. C'erano solo i parenti dei carcerati, guardie e il postino. Poi lo vide. Un uomo alto e snello, riccioli biondi e zigomi perfetti. Indossava una giacca nera con il colletto alzato. La guardava con una tale intensità da farla rabbrividire.
"Sei tu che mi hai tirata fuori?"
"Ho soggiogato le guardie per farti rilasciare."
Artemis colse il riferimento al soggiogamento e avvertì la paura come una morsa allo stomaco. Se aveva usato il controllo mentale allora era un vampiro. Cercò di scappare ma l'uomo l'agguantò per il braccio.
"Non voglio farti del male. Sono io la persona che hai chiamato ieri mattina."
"Avevi detto di non conoscermi." Disse Artemis.
"Non ricordavo il tuo nome all'inizio, poi tutto è stato chiaro."
Artemis tentò di svincolarsi di nuovo ma la mano del vampiro era ben serrata intorno al suo polso.
"Sei un vampiro. Mia madre non avrebbe mai voluto che un vampiro mi aiutasse."
"Io e tua madre eravamo amici. Conosco bene Yvette." Disse Klaus.
La ragazza sentì un tuffo al cuore, sentire il nome della madre faceva male come se fosse il primo giorno.
"Tu seil il wrath di cui parlava spesso. Come ti chiami?"
"Sono Klaus Mikaelson. E sì, il wrath sono io. Dov'è tua madre?"
Artemis lo guardò come se avesse appena bestemmiato. Poi si rese conto che molto probabilmente lui non sapeva niente.
"Mia madre è morta sei mesi fa."Salve a tutti! 🥰💕
Eccomi tornata con una nuova storia su The Originals. Spero davvero che vi piaccia.
Ci saranno molti colpi di scena che - mi auguro - vi lasceranno a bocca aperta.
Fatemi sapeere cosa ne pensate di questo inizio.
Alla prossima, un bacio.
*Wrath è un termine inglese che significa 'rabbia', spesso è usato per indicare i vampiri.
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BLOODY WAR || Klaus Mikaelson
FanfictionLa vita di Artemis Dumont viene stravolta quando sua madre muore, lasciandola da sola in un baratro di disperazione. Artemis non si arrende alla perdita e si mette in cerca del famigerato Libro dei Morti, un antico manuale egizio di magia nera in g...