Capitolo tre - Roberto e Samuele (terza parte)

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(QUANDO HO STRUTTURATO IL LIBRO, NON HO NOTATO CHE I CAPITOLI FOSSERO COSÌ LUNGHI. HO DECISO DI SUDDIVIDERLI IN PIÙ PARTI PER AGEVOLARE LA LETTURA)

Gli occhi di Sara si aprirono di scatto, la bocca secca della ragazza sembrava pronta a sbriciolarsi se solo avesse provato a parlare.
Il letto su cui era sdraiata e la camera, con della carta da parati giallognola, le erano sconosciuti. Vi erano alcune mensole con disposti sopra parecchi libri, qualche modellino di automobile d'epoca e alcune riviste accatastate sul pavimento facevano da supporto ad una palla da basket malconcia.
Il comodino vicino al letto era colmo di foglietti, qualche penna e molte altre cianfrusaglie. Sopra tutto svettava una fotografia, incorniciata con del cartone blu, raffigurante due bimbi e una giovane donna. Il primo bambino, con i capelli cortissimi, guardava fisso verso il viso della donna che fumava una sigaretta mentre l'altro, serio, era seduto per terra con le gambe incrociate.
La testa le pesava sul collo e le ossa sembravano tutte rotte, Sara si sedette sul letto esplorando con più attenzione la stanza.
"Ciao, come ti senti?" Un ragazzo, dagli occhi tristi guardava Sara appoggiato allo stipite della porta. Era uno dei bambini della foto che la ragazza teneva ancora in mano.
Il giovane si accomodò su una sedia di fronte al letto: "È mio fratello Roberto con nostra madre, quello sono io. Mi chiamo Samuele, tu devi essere Sara Bucaneve..." la riservatezza di Sam contrastava con la sfacciataggine di Roberto. Anche se si assomigliavano, restavano nel profondo molto diversi.
Per la seconda volta nella stessa giornata Sara provò la medesima sensazione che aveva sentito poco prima con Rob. Una fluida ondata di energia la travolse facendole girare la testa: "...Bucaneve come il fiore, non come i biscotti" precisò flebilmente la ragazza.
"Credo che tu debba sdraiarti, non hai una bella cera" Samuele la fece allungare sul letto. Bastò solo un piccolo contatto tra i due per scatenare in entrambi un turbine di emozioni. Sam, sballottato come dentro una lavatrice mentre centrifuga, era disorientato come nel momento in cui, sulle montagne russe, si scende a tutta velocità.
"Prendo dell'acqua e zucchero, non scappare" Sam corse in cucina frastornato.
Sara non avrebbe potuto muovere un passo.
"Che diavolo sta succedendo?" Si chiedeva tra sé e sé Sara pensando a quella strana sensazione provata con i fratelli Criso, ma non trovò risposta. La testa le doleva così tanto che avrebbe voluto starsene a letto per una settimana intera.

Un vociare ansioso accompagnò l'ingresso di Miria, Roberto e Clara, quest'ultima si catapultò sulla figlia riempiendola di baci e carezze. Samuele rimasto sulla soglia con il bicchiere d'acqua e zucchero venne intercettato dalla generalessa che glielo strappò per portarlo a Sara.
"Come stai? Tutto bene? Ti sei fatta male?" Clara sembrava una sanguisuga.
"Tutto bene mamma, non ti preoccupare. Stavo camminando e mi sono sentita male" Sara desiderava parlarle del Dottor Vanghelus e della possibilità che il padre potesse essere ancora vivo, ma quello non era certo il momento più adatto.
"Probabilmente la busta con i pennelli era troppo pesante" cercò di giustificarsi Sara che non voleva agitare Clara più del necessario. Se la donna avesse saputo che la figlia era svenuta a causa del grumo, probabilmente avrebbe fatto le valige per andare in un nuovo posto.
"Il tuo amico ci ha raccontato tutto, ha detto che sei stata male quando hai guardato ancora quel coso nero. Lo sapevo che non era il caso di lasciarti uscire" la generalessa aveva dimenticato che era stata proprio lei a far uscire la ragazza da casa, ma quello non era certo il momento migliore per farglielo notare.
Sara lanciò un'occhiataccia a Roberto che dispiaciuto alzò le spalle: "Ragazzina mi dispiace... Ti ho portato a casa mia e poi sono andato dai tuoi per raccontargli quello che era successo" Rob si grattava con una mano il capo, a Sara sembrò un grosso scimmione impacciato.
La testa di Sara aveva smesso di girare, l'acqua zuccherata le aveva fatto bene. Un profumo di pancetta e cipolle si sparse nella camera risvegliandole l'appetito. La sua pancia brontolò sonoramente: "Ops, scusate..." se avesse potuto sarebbe scappata il più lontano possibile per l'imbarazzo.
"Non c'e' niente di cui scusarsi, è normale che venga fame dopo uno svenimento" la voce profonda di un uomo arrivò dal corridoio: "Veloci giovanotti, lavatevi le mani e preparate tavola che oggi abbiamo ospiti a pranzo! Non ammetto scuse, è raro avere tre belle donne qui da noi" disse il signore strizzando l'occhio a Clara e zia Miria. Roberto e Samuele corsero fuori dalla stanza senza replicare, quando loro nonno parlava i due ragazzi lo ascoltavano sempre.

"Sono il nonno dei due giovanotti, mi chiamo Tito" l'uomo aveva pochi capelli bianchi tutti sui lati della testa, era alto con una grossa pancia ma estremamente delicato nei movimenti: "Ti senti meglio? Ti va di restare a pranzo qui da noi?" chiese l'uomo con gentilezza.
A Sara le ricordò il modo di fare di Roberto quando, ovviamente, non si divertiva a prenderla in giro. Sara annuì a Tito che accolse la risposta con un grande sorriso: "Va bene allora è deciso, restate!"
Zia Miria provò a ribattere ma Clara la bloccò: erano stati così gentili che rifiutare sarebbe stato da maleducati.
"Sara riposati ancora un attimo, più tardi verranno a prenderti i due giovanotti".
Come un vero gentiluomo Tito porse il braccio a Clara e alla zia: "Se le due Signore vogliono, possono seguirmi in salotto prima del pranzo".
Zia Miria, irritata, uscì dalla stanza schivando l'uomo. Clara, dopo aver dato un bacio sulla fronte alla figlia, prese a braccetto Tito tutta giuliva.
Il desiderio di parlare alla madre del Dottor Vanghelus e la voglia di conoscere meglio Sam e Rob erano come due turbini nella sua testa. Ipotesi, congetture, fantasie si mischiavano alle mille domande che, come una valanga di sassi, rotolavano nel suo cervello. In poco più di un'ora aveva conosciuto i Criso e provato cose mai sentite prima, inoltre c'era la speranza, seppur remota, che suo padre fosse ancora vivo.
La stanchezza iniziava a farsi sentire, con la poca forza rimasta la ragazza immaginò come sarebbe stato avere di nuovo la famiglia unita: i ricordi l'invasero facendole rivivere ogni secondo di quel terribile giorno di otto anni prima. A farle compagnia, tra quei brutti ricordi, c'era la strana consapevolezza che d'ora in poi Roberto e Samuele sarebbero stati sempre vicino a lei.
Su questo Sara non si sbagliava, anche se non lo sapeva, i fratelli Criso avrebbero cambiato per sempre la sua vita.


"Non sopporto quest'odore" disse Ignatios tappandosi il naso.
"Anche a me non piace. Ricordati che manca poco per tornare a casa, dobbiamo avere solo un po' di pazienza" rispose l'amico mentre si toglieva dei fazzoletti di carta dal colletto della camicia.
Hektor e Ignatios sembravano fratelli: la statura, il colore dei capelli e quello degli occhi erano talmente simili che alcune volte uno era scambiato per l'altro, questo piaceva molto ad entrambi.
Avevano deciso di vestirsi sempre con lo stesso completo, giacca blu e pantaloni color cachi, per confondere ancora di più le persone. Le giacche con la M dorata ricamata sul taschino, senza la minima piega, aspettavano di essere indossate. I due uomini non avrebbero dovuto dare troppo nell'occhio e fino ad allora nessuno pareva averli notati, ma la parte più difficile doveva ancora arrivare.
Erano ambiziosi e arrivisti e non gli interessava se per raggiungere il loro scopo schiacciavano i piedi a qualcuno. Non piacevano a molte persone, ma di questo a loro importava poco. Nessuno era degno del loro interesse soprattutto in quel buco di paese dove tutto appariva lento e disarmonico. L'unico pensiero che gli permetteva di rimanere lucidi era che, a breve, avrebbero rivisto la loro amata Terra.
Le direttive avute un anno prima, erano state eseguite alla lettera. Purtroppo però Sara ed i fratelli Criso s'erano incontrati prima del previsto, adesso ne mancavano altri due, era solo questione di tempo.
Hektor sperava di non dover intervenire direttamente prima che il passaggio si aprisse, non aveva la minima voglia di affrontare i cinque senza Alac, spesso i novellini erano più pericolosi di quanto si pensasse.
"Ecco sono pronto" disse Hektor controllandosi allo specchio.
"Hai dimenticato un punto qui sul collo, dammi che faccio io!"
Ignatios con la spugnetta imbevuta di fondotinta tamponò il collo dell'amico fino a coprire una striscia color glicine che partiva dal collo e arrivava dietro l'orecchio: "Mi chiedo come facciano a sopportare l'odore di questa cosa, non vedo l'ora di tornare a casa e non dovermi più nascondere".

Vorrei capire se il libro vi piace oppure lo trovate noioso.
Accetto critiche negative e segnalazioni... Non mi offendo.

Il grumo nero di Destani (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora