"Se non togli la maschera, non troverai mai le risposte che cerchi".
Sono a Metropolis, questo è certo e non so per quale motivo, sono l'accompagnatore di una Regina, no, scusa, volevo dire DELLA REGINA. Lei, l'unica, immortale, nel senso letterale, fantastica, ricchissima, quella che può avere tutte le Vuitton che desidera ma sarebbe troppo mainstream, quindi si accontenta di una borsa, la SUA borsa.
Vestita in maniera pratica, La vedi addobbata a festa solo nelle occasioni speciali e di solito non parla mai. Si esprime a gesti. La stampa specializzata sta tentando di decodificare il Suo linguaggio da decenni, senza riuscirvi.
Dicono comunichi con i Suoi collaboratori attraverso la borsa, per farti capire. A seconda di come la muove, sono guai oppure, vabbè, adesso non mi viene in mente, comunque, il suo accessorio può tutto.
Oggi ha un tailleur anonimo di lana bouclé marrone e nero, un cappellino appoggiato sull'acconciatura perfetta, ma non si dica che Lei è una di quelle che va ogni giorno dal parrucchiere, per cortesia.
Ci muoviamo circondati dalla Sua scorta, come è giusto che sia, ma io mi interrogo su cosa ci faccio qua. Come può essere che Lei mi guardi così benevolmente? Conversa del più e del meno e io, totalmente fuori luogo, non riesco a prenderla "scialla", come dicono i ragazzini. Forse dovrei farlo, ma non riesco a superare una timida riverenza, insomma, hai capito con chi sto parlando, no?
"Ti dirò una cosa" esordisce, e intanto assurdamente si avvicina, mi tocca il braccio.
Lei tocca me. Non è possibile.
Insiste che la chiami per nome, continua a sorridere.
Suppongo che mi confesserà di valletti spariti o altre questioni di Stato, immagino che mi rivelerà verità sulle quali i giornali, più o meno scandalistici, stanno indagando da anni. Penso a quel losco affare, che magari losco non è, forse sono tutte dicerie.
Mi osserva mentre conversiamo, in una giornata grigia, sotto questo ponte, con un drappello di persone attorno che ci segue a vista.
"Quello che sto per rivelarti non l'ho fatto io. L'ha fatto Ruth".
Riapro gli occhi e incontro lo sguardo indagatore di Ananka. Seduta sul suo trono, mi fissa, seria, direi quasi risolutiva. O si dice "risoluta"?
Sono seduto di fronte a lei, nulla è diverso in questo limbo che mi ha portato indietro nel tempo.
L'unica differenza è che tra me e lei c'è un abisso, una specie di profonda spaccatura nel pavimento, che si allarga sempre più, sebbene Ananka non sembri farci caso. Si allontana, mantenendo il contatto visivo. Io a lei non posso mentire. Però posso alzarmi e avvicinarmi a questa crepa, scrutare in fondo al burrone.
Sarebbe ragionevole, no?
Dunque lo faccio, arrivo sul bordo, sempre fissandola. Poi sbircio in basso e vedo il magma che si agita pigramente. Sulla sua superficie si formano bolle che sembrano non volere scoppiare e quando lo fanno è come se ti stessero facendo un piacere. Plop, plop, un rumore del genere.
"Chi è Ruth?" mi chiede alla fine.
Siamo qui da una vita oramai. Mi concentro e mi rivedo passeggiare con la Regina. Intuisco il senso di familiarità, ma pure un timore reverenziale, la rivedo prendermi il braccio, avvicinarsi a me. Guardo verso il fondo del burrone. Sto impazzendo? Nel dubbio, glielo domando.
"La risposta è no. Quindi, procedendo, te lo richiedo: chi è Ruth?" mi incalza.
"Ruth sono io" mi esce d'impulso, senza pensarci troppo.
"Sbagliato" dice lei, alzando il mento e rivelando di essere stata lei stessa Regina in un'altra vita.
"Tu sei la Regina. Ruth è la parte scomoda di te, quella alla quale consegni il tuo lato oscuro. Quella che afferma che no, non sei stato tu. In effetti l'ha fatto Ruth" conclude.
La vedo armare una pistola immaginaria, senza distogliere lo sguardo da me, quindi puntarla al mio petto. Non posso fare nulla per evitarlo, i piedi sono radicati al suolo, non riesco a muovere un muscolo.
Il colpo arriva forte, sordo, per fortuna indosso il mio giubbotto in kevlar, proprio come avrebbe fatto Nora, un'amica mia. Metto sempre il giubbotto antiproiettile quando vedo Ananka, sai com'è. Il contraccolpo, ad ogni modo, mi sbalza all'indietro, facendomi atterrare sulla mia poltrona, frantumandola.
Subito avverto un dolore strano, come se la schiena fosse effettivamente andata in pezzi, poi realizzo di essere tutto intero. Solo non riesco a respirare, proprio no. Soffocherò? Chi può dirlo! Tutto sommato sono tranquillo, dopotutto poteva andare peggio. Sono abituato ai colpi bassi di Ananka. Lei sa dove mirare.
Ansimo, tossisco, ce la faccio.
Torna il respiro, all'inizio è corto, il volto è madido di sudore, alzo di nuovo lo sguardo, incontro il suo. Maledetta, ma anche no. A quattro zampe mi trascino verso di lei, arrivo sul bordo.
Lei mi fissa.
"Se non togli la maschera, non troverai mai le risposte che cerchi" aggiunge infine.
Sono rapito dal magma, ma non abbasso lo sguardo. Non sono abituato a parlarle senza guardarla negli occhi.
"La maschera l'ho tolta con Étienne e anche con Jacob" sostengo fiero, quasi sprezzante. In questo momento potrei sputarle in faccia, senza alcun senso di colpa.
Eppure lei puntualizza:
"Sì, hai ragione, ma sai, c'è una sola persona con la quale devi ancora toglierla dopodiché sarai libero davvero".
E sì, ha ragione. La maschera devo ancora toglierla,
di fronte a me stesso.
Penso al Sé, inglobato nell'IO, a sua volta coperto dalla maschera. Ricordo il nostro pit-stop a Santa Monica, il mio studiarmi il viso nello specchio delle mie brame. Rivedo Gabriel, l'unico uomo con il quale mi sono totalmente aperto, sebbene, a dire il vero, mi stessi allenando da tempo. Ho cercato di essere me stesso con chi è venuto prima, eppure vestivo sempre e comunque la maschera dell'ipocrisia.
In realtà mentivo, mi adeguavo, indossavo comunque un volto scomodo, non mio.
Sono in questo spazio, custodito in una mente, intrappolata a sua volta in un limbo confinante con innumerevoli, altri Multiversi. Ricordo che l'ho voluto io. Avrei potuto agire come fanno in tanti, invece no. Non ho più voglia di buttare cocci da questo dirupo.
"Bene" le rispondo. "Allora, con chi devo scopare per uscire da questa situazione?".
"Con Ruth!" conclude lei, semplicemente.
Ecco, vorrei raccontarle anche di Gabriel, ma non è ancora successo.
STAI LEGGENDO
INTIMATICA
Aksi"IL PASSATO NON PUÒ ESSERE CAMBIATO, PUÒ INVECE ESSERE CURATO". Coma irreversibile, stato vegetativo: è questa la diagnosi alla quale è sottoposto il protagonista di questo libro, a seguito di un incidente. Tutto ciò che è rimasto è un involucro vu...