Capitolo 4

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«È il continuo della poesia del terzo indovinello», esclamò Gabriel.

«Il nostro posto mi par di capire che si trovi in Francia ed è senza ombra di dubbio una cattedrale della Loira, nell'antica Orleans.»

«Secondo me», proseguì Gloria, «quelli di cui si parla e che marciano sulla strada dritta tutti polverosi e infangati potrebbero essere pellegrini che hanno raggiunto la meta del loro girovagare e che poi proseguiranno fino a Santiago de Compostela.»

«Si parla di una distesa di covoni, ergo questa cattedrale era circondata da una vasta distesa di campi coltivati.»

«Sì, e la Regina di cui si parla potrebbe essere la Vergine Maria», disse Gloria che aggiunse anche che era stanca e che dovevano trovare un posto dove dormire.

La notte con la sua coltre scura incombeva minacciosa su di loro. Oscuri presagi e presenze si nascondevano dietro agli alberi. Il sibilo del vento aveva un che di sinistro. I briganti potevano nascondersi ovunque e tendere loro nuovamente un agguato.

Sentirono dei fruscii sospetti che fecero loro sollevare lo sguardo dal foglio che stavano leggendo. Con un cenno d'intesa si alzarono contemporaneamente e cercando di passare inosservati ripercorsero il passaggio pedonale e passarono nuovamente dal centro, dove si fermarono in un albergo lungo la via di San Lorenzo. C'era anche un ristorante, dove cenarono in silenzio gustando le specialità tipiche genovesi: tigelle al pesto, cima alla genovese che consisteva in un arrosto di vitello ripieno e coniglio alla ligure.

Poi si ritirarono nella camera che era arredata in stile retrò con letto, cassettiera e armadio laccati in bianco.

I pesanti tendaggi bianchi coprivano la parete e dello stesso tessuto erano anche il cuscino e il copriletto dello stesso colore. La cassettiera aveva un grande specchio e in esso Gloria controllò la sua immagine riflessa. Una Gloria dall'aria stanca e pallida, molto pallida. Si sarebbe gettata sul letto per dormire subito se non fosse stato per un martellante mal di testa che aveva iniziato a trapanarle il cervello. Prese una pasticca per la cefalea a grappolo che spesso la tormentava e si sdraiò ancora vestita. Gabriel le si mise accanto, le cinse la vita con la mano e si addormentarono in quel modo abbracciati.

«Pronto mi sentite?»

«Forte e chiaro, chi parla?»

«Sono Scarafaggio viola.»

«Parola d'ordine?»

«Ciò che non ti uccide ti fortifica.»

«La missione è stata portata a termine?»

«No, signore.»

«Per quale motivo, Scarafaggio viola?»

«I due piccioncini ci sono sfuggiti e poi siamo stati messi fuori combattimento, siamo stati aggrediti signore.»

«È IMPERDONABILE. Hai un'altra possibilità, una soltanto e poi sarai sottoposto al trattamento come da protocollo.»

Scarafaggio viola iniziò a sudare freddo. Sapeva qual era il trattamento riservato a quelli che fallivano una missione e rabbrividì dalla paura. Ma chi gliel'aveva fatto fare, pensò. Tutta colpa dei soldi che gli servivano per mandare avanti la famiglia e pagare il mutuo di casa.

Il problema è che aveva perso di vista i due piccioncini e quando erano arrivati al faro erano già fuggiti via. Sarebbe stato difficile localizzarli di nuovo. Si erano serviti di un sofisticatissimo sistema di rilevazione gps grazie al quale erano riusciti a rintracciare la cella del telefonino di Gabriel che li aveva condotti fino alla cattedrale di San Lorenzo, che era andato però in tilt a causa di un malfunzionamento della rete, causata dalla tempesta solare che aveva messo a tappeto tutti i marchingegni elettronici, tanto da far perdere il segnale. E ancora adesso non riusciva ad agganciarsi alla cella. Si mise le mani nei capelli disperato perché non sapeva che pesci prendere. A questo punto non rimaneva altro che aspettare il giorno dopo e vedere se il sistema gps avrebbe funzionato di nuovo.

La tempesta sul mare di GalileaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora