Capitolo 22

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Non appena aveva udito gli spari Carolina si era resa conto della situazione. Aveva capito che la polizia era arrivata e che doveva affrettarsi, se voleva mettersi in salvo. Inizialmente pensò di fuggire con l'elicottero, poi ebbe un'idea migliore. Nel palazzo c'erano dei lunghi cunicoli sotterranei, passaggi che gli antichi abitanti nobiliari di quella dimora, avevano ideato e poi usato per fuggire da situazioni scomode. Erano sempre praticabili e nessuno ne era a conoscenza, tranne lei. La storia dei labirinti sfociava nella leggenda. Fatti costruire da un nobile appartenente all'antica famiglia dei Peruzzi, questi cunicoli erano spesso usati dalla signora, all'insaputa del marito, per far scappare i suoi amanti. Si racconta che il marito una sera scoprì tutto e uccise il malcapitato di turno, il cui fantasma si aggira ancora per quei bui corridoi.

Erano stati fatti costruire principalmente per consentire un veloce salvataggio, in caso di ribellione, dal momento che i Peruzzi erano stati coinvolti nella congiura dei Pazzi contro i Medici. Carolina non credeva ai fantasmi, perciò non aveva nessun timore a percorrere quei labirinti umidi e tenebrosi. Avrebbe poi dato l'ordine a dei suoi uomini di prendere l'elicottero, facendo credere che ci fosse lei sopra. Avrebbe fatto il percorso del labirinto, la cui uscita era sulla sponda del fiume Arno. Avrebbe quindi preso una barca fino a Pisa, dove si sarebbe confusa in mezzo alla gente, per poi partire alla volta di Milano.

Insieme a due delle sue più fidate guardie si precipitò lungo la scala che portava ai cunicoli.

Un'enorme voragine scura si apriva di fronte ai suoi occhi, l'umidità entrava dentro fino alle ossa. Rabbrividì, mentre un enorme ratto grigio le passava a fianco. Odiava i topi e lì sicuramente ce ne erano a bizzeffe perché c'erano le fognature.

Iniziarono a correre in quel cunicolo buio con le gocce d'acqua che cadevano ritmicamente dal soffitto, con l'aria fetida che invadeva le narici e con lo squittire dei topi che sembravano risvegliarsi al loro passaggio. La corsa era verso la libertà, a questo doveva pensare, solo a questo, anche se la corsa era dura e resa difficoltosa dalle scarpe con i tacchi alti, che indossava sempre. Mai come quella volta si pentì di non aver indossato un paio di scarpe da ginnastica. Si dette della stupida da sé, mentre nella corsa mise male un piede e il tacco di una delle scarpe si staccò. Sentì una fitta lancinante al piede, ma non poteva fermarsi e così, raccolte entrambe le scarpe ciascuna in una mano, proseguì la sua corsa a piedi nudi, cosa che gli costò alquanto cara perché si scorticò tutti i piedi. Le costava una fatica immensa proseguire con il pensiero dei suoi piedi nudi che battevano quella terra malsana bagnata dalle fogne, con il rischio di prendere qualche infezione trasmessa dai topi.

Nel frattempo Francesco Orlandi aveva dato disposizioni affinché partisse il mezzo dalla stazione di polizia. L'elicottero arrivò presto ed iniziò a perlustrare il cielo. L'altro elicottero si era diretto verso sud e lo individuarono in fretta, intercettandolo. Li costrinsero ad una manovra d'atterraggio, ma quando si avvicinarono e irruppero dentro l'elicottero che era atterrato sul campo di volo lì vicino, si resero conto che Carolina non c'era. L'agente Poletti che si era occupato dell'inseguimento con la ricetrasmittente comunicò al commissario che la signorina Carolina non era sul mezzo.

«Dovete farvi dire dov'è andata. Non abbiamo più tempo, bisogna agire in fretta.

Agente Poletti, confido nella tua capacità di persuasione.»

I due sull'elicottero avevano un viso non propriamente rassicurante, l'agente Poletti dubitava che avrebbero collaborato.

Si rivolse a quello tra i due che sembrava avere un'espressione più ragionevole.

«Se te e il tuo amico non volete passare il resto della vostra esistenza in prigione vi conviene parlare e dirci dove si trova la signorina Carolina. Voi vi state rendendo complici di un omicidio. Se collaborerete, dandoci questa informazione non sarete accusati di concorso. Allora, cominciamo ad essere più ragionevoli. Vi consiglio di parlare in fretta perché il commissario potrebbe cambiare idea. Fate la vostra scelta. Se decidete di non dire niente la signorina Carolina resterà impunita, mentre voi finirete in manette e ci resterete per chissà quanto tempo. Altrimenti vi si apre davanti la strada della salvezza. Se collaborate la vostra pena sarà commutata da concorso in omicidio a nulla, un bel nulla. Sarete liberi, non sarete accusati di niente. Allora, ci state?»

La tempesta sul mare di GalileaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora