Capitolo 12

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Gloria si chiuse in casa durante quei giorni.

Trascorse tutte le feste da sola. Furono di una desolazione infinita.

L'unica cosa positiva fu che Carolina se ne era andata, lasciandole il campo libero. L'antipatia istintiva che aveva iniziato ad avvertire era andata aumentando dopo quell'episodio. Non era più una sua amica. Punto. Presto si sarebbe trasferita da un'altra parte, così non sarebbe stata più costretta a sopportarne la vista. A tenerle compagnia quell'albero di Natale con le lucine a intermittenza che si accendevano e spegnevano e le faceva pensare ad altri periodi natalizi, quelli vissuti con la sua famiglia, quell'attesa spasmodica di Babbo Natale, mentre con lo sguardo osservava il cielo per individuare la Stella di Natale che non aveva mai visto. In seguito avrebbe appreso che forse si era trattato nientemeno che di una congiunzione astrale tra i pianeti giganti, che faceva sì che si vedesse una grande luce nel cielo, molto più luminosa di una stella. I ricordi la invasero, mentre avrebbe voluto non farli affiorare, mentre avrebbe voluto ricacciarli indietro. Ricordi di un tempo passato, ormai lontano, ma vicino nel ricordo. Quanto era bello il Natale e non soltanto per i doni, per l'atmosfera che si respirava, ma perché nell'aria si percepiva qualcosa di magico. Adesso quella magia era scomparsa. L'unica cosa che la consolava era quel libro di poesie regalatogli dal commissario. Alleviava in parte il vuoto che sentiva dentro. Il giorno leggeva e dipingeva, le capitava di affacciarsi alla finestra e di guardare sotto, le strade, di osservare un tramonto che colorava il cielo di viola, rosa, turchese, arancione, in parte nascosto dalla cupola del Brunelleschi.

Talvolta riceveva telefonate anonime, in cui all'altro capo del filo non avvertiva nessuno, sentiva soltanto uno strano ansimare e allora si spaventava enormemente. Si sedeva atterrita sulla poltrona azzurra del soggiorno. Chiudeva gli occhi. Si massaggiava la tempia martellante e pensava che non ce la faceva più. Di notte aveva incubi spaventosi. A volte non distingueva la realtà dal sogno, per questo gridava, svegliandosi, coperta fradicia di sudore.

La sera del 31 Dicembre ricevette la telefonata di auguri di Francesco Orlandi. Aveva la voce impastata, forse aveva bevuto. Gloria andò a letto presto, sperando che le feste passassero in fretta.

Carolina le telefonò la mattina del 6 Gennaio dicendole che si sarebbe trattenuta ancora qualche giorno. Era andata a sciare. Gloria prese l'agenda e contattò Giacomo. Fissarono di vedersi due giorni dopo. Avrebbero preso un caffè in centro.

                                                                                                     ***

«Pronto, con chi parlo?»

«Scarafaggio viola, agli ordini signore!»

«Parola d'ordine?»

«Ciò che non ti uccide ti fortifica.»

«Che notizie porti?»

«Non buone, non siamo stati ancora in grado di prendere il libro. La signorina Gloria non si è presentata alla casella postale ed è piantonata di continuo da guardie davanti alla casa della sua amica.»

«Scarafaggio viola, vedi di rimediare in fretta. Altrimenti sai benissimo a cosa andrai incontro.»

Gli sbatterono il telefono in faccia.

" Accidenti, quelli non scherzano. Meglio non farli arrabbiare", pensò Scarafaggio viola.

Finalmente arrivò il giorno fatidico del suo incontro con Giacomo. Si erano dati appuntamento in un bar del centro. Lo ricordava come un uomo a modo suo affascinante. Era però distante dal suo mondo, lui studiava lettere antiche ed era esperto di crittografia, che per Gloria equivaleva ad arabo. Non ci capiva niente. Sperava che lui le desse un valido aiuto.

Il giorno si preannunciava freddo e nebbioso. Una coltre fitta di foschia avvolgeva tutto, così quando Gloria scese di casa non vedeva a un palmo dal suo naso. Non c'erano più nemmeno le luci del Natale e delle festività, che erano state tolte. Dovette entrare dentro al bar.

Un odore buono di caffè e cioccolata la avvolse in una nuvola e il tepore che avvertì le tolse di dosso tutto l'umido che le era entrato fin dentro alle ossa. Giacomo l'aspettava all'interno. La accolse con un sorriso appena accennato. Sorrise a sua volta. Aveva sempre pensato a quanto fossero profondi i suoi occhi, che cambiavano di colore, a volte erano più chiari, altre volte più scuri, ma di un'intensità tale che le richiamava il verde in tutte le sue sfumature. Adorava i suoi occhi perché dicevano tanto di lui, ma forse era solo una sua impressione. Quegli occhi nascondevano ombre e segreti, una profondità di pensiero che le sarebbe piaciuto conoscere. Giacomo era alto e magro, aveva la barba che si lasciava crescere in modo ordinato e gli copriva in modo omogeneo guance e mento, forse per compensare la mancanza di capelli, che adesso però stavano ricrescendo piano piano.

Aveva quell'espressione timida di cui lui si vergognava spesso. Il bello di Giacomo è che sorrideva anche con lo sguardo. Dentro a quegli occhi c'era tutto un mondo che a lei era precluso, ma che le sarebbe tanto piaciuto conoscere, un universo intero di misteri, numeri, codici, enigmi, sogni. Ordinarono entrambi un tè. 

La tempesta sul mare di GalileaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora