Espresso per Hogwarts: liti e liste

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Quell'anno stava cominciando esattamente come tutti gli altri: stazione rumorosa e affollata, abbracci e saluti lacrimevoli in ogni angolo del grande binario, gufi e rospi che si agitavano indispettiti nelle gabbie o tra le mani dei padroni, e giovani maghi e streghe eccitati per l'incombere di un nuovo anno scolastico che si aspettavano ricco di sorprese affascinanti.

La magia, infine, era l'ultimo elemento caratteristico di quella scena, e aleggiava attorno all'imponente treno e alle famiglie con invisibile grazia.

E non solo la magia scagliata con le bacchette o racchiusa nelle persone dotate di poteri, ma la magia presente in ogni carezza di un genitore a un figlio, in ogni sguardo di due innamorati, in ogni particella d'aria che premeva in quel luogo e nei cuori di chi vi era presente.

Se ne percepiva in qualche modo il sapore.

Mancava solo qualche minuto alla partenza, e quasi tutti erano ormai saliti a bordo del treno rosso acceso che cominciava a sbuffare vapore e che, in un gran trambusto di grida e risate, era pronto a incamminarsi lungo i binari.

Ecco, appunto. Quasi tutti.

In uno degli ultimi scompartimenti, infatti, sedevano due ragazzi all'apparenza ansiosi, in attesa di qualcosa, o meglio, di qualcuno.

Seduto accanto al finestrino, Remus Lupin indossava già la divisa scolastica e gettava occhiate nervose al binario, all'amico e al suo orologio in una successione talmente veloce da farlo sembrare sull'orlo di una crisi di nervi.

I suoi morbidi capelli chiari splendevano alla luce del sole, mandando bagliori dorati, e gli occhi d'ambra erano accesi da una luce insolita.

Peter Minus, di fronte a lui, lo fissava con i piccoli occhi acquosi sgranati, chiedendosi se fosse lo stesso ragazzo calmo e pacato che aveva lasciato l'anno precedente.

Sfregava nervosamente i piedi e si torceva le mani in grembo, impaziente e spaventato dall'inconsueta agitazione dell'amico.

E la domanda che si ponevano ormai da minuti interi era solo una: dov'erano finiti quegli scapestrati malandrini di James Potter e Sirius Black?

Non era di certo la prima volta che arrivavano in ritardo per l'Espresso di Hogwarts - anzi, per la precisione, quella era la settima -, ma che dopo sei anni non avessero ancora capito che bastava abbandonare il letargo appena cinque minuti prima per essere in orario era veramente troppo.

«È tardissimo» stava borbottando Remus, fissando la lancetta dei minuti che segnava le dieci e cinquantotto «Tardissimo, Merlino, dove sono?»

«Il ritardo peggiore di sempre» lo appoggiò prontamente Peter, mordicchiandosi una guancia mentre ripensava agli anni passati.

«Questa volta non ce la fanno...»

«Lo credo anch'io»

«Questa volta perdono il treno...»

«Di sicuro»

«Questa volta li ammazzo...»

«Ti aiuto»

«Questa volta... SIRIUS! JAMES!»

La risposta alla famigerata domanda, infatti, era finalmente lì di fronte a loro: James e Sirius inspiravano aria a pieni polmoni, abbandonati ai due lati opposti della porta scorrevole dello scompartimento, i volti imperlati di sudore freddo.

Si lasciarono cadere sui sedili vuoti accanto agli altri due senza dire una parola, l'aria stremata di chi ha corso per chilometri senza mai fermarsi.

Alla fine, dopo qualche momento di attonito silenzio, James sollevò lo sguardo, incontrando quello disgustato di Remus, e alzò una mano come se intendesse giustificarsi.

The Final Chance /a Marauders's story/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora