Zoo di San Diego - 10:30
Allen Truman si era seduto su una panchina che dava sul recinto dei canguri in attesa di Steven Cooper.
Indossava abiti estivi e sulla testa aveva un berretto da baseball rosso per impedire al sole di battere sui suoi occhi.Succhiò dalla cannuccia un sorso di limonata appena comprata al chiosco, mentre un canguro saltellava attorno a un suo simile.
Non era un caso se aveva deciso di dare a Steven appuntamento di fronte a quegli animali, infatti era nato e aveva vissuto fino ai dodici anni in Australia, in un ranch coi nonni.
Vedere quegli animali era sempre stato il momento più bello della giornata da bambino, soprattutto perché poteva interagirci.Aveva dato loro un nome soltanto: Karu.
Questo perché non era mai riuscito a distinguerli, ai suoi occhi, a quel tempo, erano tutti uguali, ma quando diventò grande capì che Karu era solo uno, ovvero quello che ogni tardo pomeriggio si avvicinava alla stalla dei cavalli per una o due carote e si faceva accarezzare la schiena soltanto da Allen.
Gli altri canguri erano sempre gli stessi della zona, ma non di certo Karu.Si ritrovò a pensare a che fine avesse fatto, dubitava che fosse ancora in vita e la cosa gli faceva dispiacere.
Osservò quei marsupiali dal manto rosso e la coda luna e muscolosa per vari minuti.
Spostò le iridi azzurre su una femmina che masticava erba, riuscì a capire il suo sesso per via del fatto che aveva la pelliccia di un grigio blu ed era più piccola degli altri due a pochi metri di distanza da lei.
Gli venne voglia di alzarsi e raggiungerla per accarezzarne il pelo morbido, giocare con lei e darle da mangiare.Decise di tornare nella sua terra natia e rivivere la vita al ranch finita la missione, dato che erano anni che non ci tornava.
L'arrivo di Steven lo fece destare dai suoi pensieri.
Brooklyn gli aveva riferito di essere preoccupata per il fatto che Steven potesse fare il doppio gioco o che desse informazioni tutt'altro che vere, ma l'aveva rassicurata dicendole che era tenuto sotto controllo giorno e notte e che ogni cinque ore lo sentiva per telefono.
Sul fatto che potesse dare informazioni sbagliate non aveva detto niente, quello non poteva saperlo, toccava aspettare un mese per capire la verità.
«Splendida giornata» disse l'agente con un sorriso rivolto ai canguri.
«Non mi sento al sicuro» borbottò l'uomo dopo uno sbuffo.
«Rilassati, quante volte devo dirti che se fai come ti dico sarai al sicuro? Sono un uomo di parola e faccio di tutto per non mettere in pericolo i miei informatori» gli disse dando un'occhiata veloce all'orologio sul polso: le lancette segnavano le dieci e quarantadue.
«Dimmi quel che sai, dai» chiese gentilmente e in tono quasi amichevole, prendendo un'abbondante sorso di limonata.
«Siete fortunati che mi abbiano messo come guardia in uno dei piani del Bellagio. Quel giorno, gli ultimi due saranno tutti riservati per Handyman, inutile dire che le guardie saranno quasi il triplo, quindi entrare sarà molto difficile. Non so chi debba incontrare chi, tanto meno il motivo, ma il proprietario del casinò non ha fatto chissà quali domande dato che Handyman lo ha pagato con una cifra davvero enorme» non erano male come informazioni, anzi, Allen però voleva sapere se c'era una speranza per Brooklyn, per il loro asso
Steven mutò quando vide due adolescenti passare accanto a lui.
Voleva essere prudente, se la stava facendo sotto per la paura.
Collaborare per l'F.B.I. e allo stesso tempo per Handyman, era un suicidio in pratica.
«Come ti ho già detto, la droga è sotto il suo controllo a Las Vegas e anche per le strade ci saranno molti dei suoi a vigilare, vedete di studiare qualcosa di buono per-» le parole di Steven furono interrotte da quelle del biondo.
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Ikigai
ActionIkigai (生き甲斐) è un termine giapponese che, tradotto in italiano, significa "qualcosa per cui vivere" o "una ragione per esistere". Un ikigai è essenzialmente un motivo per alzarsi la mattina. Da quando si è trasferita a San Diego nove anni fa, Brook...