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New York aveva tutta l'iridescenza dell'inizio del mondo.



Una volta scesa non potei che rimanere immobile ad ammirare la bellezza di Manhattan; anche se sono qui per altro, niente mi impedisce di godermi la bellezza della Grande Mela.

Mi sentii piccola, spaventata, ma allo stesso tempo eccitata, rapita da quella visione, da quelle luci, da quella grandezza.

Restai in silenzio, perché volevo percepire ogni minima cosa di quello che accadeva intorno a me e misi in moto i miei sensi: ascoltavo il fragore dei claxon, le sirene della NYPD, dei pompieri, il rumore di tacchi a spillo, le urla di venditori di biglietti per il New-York-Sightseeing e degli spettacoli di Broadway, le musiche dei vari artisti di strada...

Vidi per la prima volta milioni di auto sfrecciare, il giallo dei taxi, insegne luminosissime, sentivo il profumo di brezel appena sfornati, la puzza di tombini fumanti e l'aroma di caffè Starbucks sempre affollati.

Toccavo tutto quello che era sul mio cammino: credevo di vivere in un'altra dimensione dove l'acciaio non sa più di acciaio, la gomma non sa più di gomma ma di qualcosa molto più familiare all'uomo, ma in particolare sentivo tutti i sapori dal cibo indiano a quello giapponese, dal messicano al russo.

Era tutto così incredibile che quasi stentavo a credere di essere finalmente nella città che sognavo da piccola.

Percorsi un centinaio di metri prima di ammirare, proprio di fronte a me, l'imponenza dell'Empire State Building, che regnava sovrano non solo sul quartiere, ma sull'intera città.

Per un momento mi rattristai pensando di essere lì e non poter godere dei privilegi che questo viaggio mi stava offrendo, come quello di salire ad un'altezza che superava i 50 metri dell'edificio in cui vivevo con mia zia.

Feci un profondo sospiro cercando di auto consolarmi prima di ricominciare il tragitto verso la 72nd strada.

Camminai per 20 minuti con un peso di 30 chili che tenevo nella mano destra, e per un momento ebbi anche la brutta sensazione di essermi persa, ma finalmente, dopo aver chiesto qualche informazione ad alcuni passanti trovai il mio punto di arrivo.

Non feci difficoltà a riconoscere la casa della famiglia Diamond, essendo l'unica, nell'arco di 5 chilometri ad esser simile ad un'imponente villa.

La moderna architettura e la staccionata che la circondava la distinguevano dai palazzi ai suoi lati. Prima di quella, l'unica villa che avevo mai visto era la rosea casa di Barbie che mia zia aveva trovato abbandonata sul ciglio della strada e prontamente riparato.

Durante la notte delle mie scoperte cercai a lungo su internet informazioni su questa famiglia, ma ogni pagina che aprivo ripeteva sempre la stessa cosa:

"Il signor Diamond è un'impeccabile e rispettoso ex agente operativo dell'FBI della sede di New York, e che ora è salito di grado occupandosi di molte questioni amministrative; ma la persona che ha trasformato questa famiglia in una tra le più rinomate di Manhattan è sua moglie, la signora Diamond una tra le più ricche imprenditrici della città.

Appena maggiorenne, ed essendo figlia unica ha ereditato l'intero patrimonio del padre, morto precocemente di cancro facendolo accrescere di anno in anno fino a raggiungere un valore stimato superiore ai 300 milioni di dollari quando ha creato un importante marchio di cosmetica e abbigliamento attualmente diviso con suo marito e socio in affari, "white & black Diamond"."

Ogni volta che rileggevo quelle righe provavo dentro di me una strana sensazione, come se la mia mente cercava continuamente di paragonarmi a loro, a quando fossero diverse le nostre vite, facendomi sentire sporca. Feci un profondo respiro d'incoraggiamento quando mi resi conto che il coraggio che avevo dalla sera precedente era svanito all'improvviso.
In quel momento, davanti il cortile d'ingresso dell'abitazione, mi sentì ingiustamente piccola ed indifesa. Salì i gradini che mi dividevano dal portone e, dopo aver speso un paio di minuti abbondanti alla ricerca d'un campanello, lo suonai.

Mi pentì subito di quella scelta; tutto il mio corpo mi stava mandando messaggi per incitarmi ad andarmene, a tornare a casa dalla zia facendo finta di nulla, ritornando alla mia vecchia vita, eppure i miei piedi erano incollati allo zerbino.

Aspettai solamente un paio di minuti, approfittando dell'attesa per riposare le spalle e il braccio, prima che qualcuno venisse ad aprirmi la porta. Era una donna, una bellissima donna, che poteva avere all'incirca l'età di mia zia. Aveva corti capelli scuri raccolti in un piccolo chignon che lasciava ricadere sul volto abbronzato qualche ciuffo ribelle. Indossava una camicia bianca piegata all'interno di un semplice, ma elegante pantalone nero, completo coperto in parte da un grembiule da cucina grigio con qualche ricamo sul petto.

«Salve! Cosa posso fare per lei?» chiese educatamente con la bocca leggermente socchiusa e lo sguardo che m'ispezionava giudizioso.

"Sto cercando Alec Diamond... è in casa?" risposi, la voce più acuta e tremolante.

"Al momento è ancora all'università... posso sapere chi lo sta cercando?"

Feci un profondo respiro, incerta su come le parole che avrei detto di lì a poco avrebbero potuto cambiare la mia vita. «Caitlyn O'Brien... sua sorella» risposi con più naturalezza possibile.

THE BLACK DIAMONDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora