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Che diavolo ci facevo io lì?

Lizzy si era resa così disponibile a farmi fare un giro della casa, che mi dispiace doverle regale sorrisi forzati per nascondere l'incomodo che provavo ogni qual volta che mi mostrava una stanza più grande, più addobbata, più ricca di quella mostratami precedentemente.
In quella casa c'erano almeno venti stanze e chissà quanti bagni; ero convinta che potessero abitarci anche più famiglie. 

 Eppure non facevo altro ce chiedermi come ci si sentisse a vivere in quel modo, con tutti i lussi e i comodi della vita. Non avevo mai posseduto tutta quella sfarzosità tant'è che provai invidia ogni qual volta che la governante mi raccontava la provenienza orientale di alcuni preziosi soprammobili, o la storia dei pittoreschi dipinti presenti nelle stanze più maestose.

Alla fine d'un lungo corridoio luminoso, Lizzy aprì la porta d'una camera permettendomi di entrarvi ed appoggiare a terra le mie cose. Apprezzai i colori chiari e la sobrietà dell'arredamento, lussuoso ma non ostentato. Al centro dello spazio si ergeva un letto a baldacchino con la tastiera imbottita, arricchito da una cascata di soffici cuscini di ogni forma e dimensione; una specchiera con delle finiture in foglia d'oro adornava l'angolo beauty ricolmo di profumi, trucchi e creme d'ogni genere, e un'intera parete era dedicata ad una libreria – probabilmente l'unico ambiente che avevo subito amato.

Sentì Alec rientrare a casa solamente nel tardo pomeriggio, quando la tranquillizzante voce di Felicity mi spinse ad ascoltare la conversazione nella quale avrebbe riferito al figlio il mio trasferimento da loro. Mi sarei aspettata una sua reazione disperata, lamenti e addirittura un'infuriata al ricevere quella notizia, eppure Alec non fece o disse nulla. Percepii i suoi passi pesanti salire la rampa di scale e mi affrettai a rientrare nella mia camera per evitare d'incontrarlo.

Sapevo che non avrei potuto farlo all'infinito e neanche volevo, ma il mio istinto mi consigliò che sicuramente sarei stata l'unica persona al mondo che Alec avrebbe voluto vedere in quel momento.
Nemmeno dieci minuti più tardi, che dalla sua camera, affianco alla mia, si sentirono rumori di oggetti scagliati a terra prepotentemente, deve aver anche lanciato qualcosa di pesante contro la sottile parete in comune, perché vidi della polvere di cartongesso sgretolarsi a terra.

Aspettai che il suo sfogo finisse, ascoltando in silenzio fin quando un'innaturale quiete sembrò avvolgere l'intera abitazione; non so se fossero le pareti insonorizzate per evitare che il trambusto del traffico esterno infastidisse gli abitanti della casa o il breve sfogo di Alec, ma quel momento di tranquillità mi sembrava avrebbe avuto vita breve. E così fu.

Avevo ormai riacceso il mio cellulare da un paio di giorni, ma oltre a confermare le innumerevoli chiamate perse di Mad il giorno della mia partenza, mia zia non aveva insistito ulteriormente o non seppi se esserne lieta, per aver rispettato i miei spazi, o preoccupata per gli incalcolabili guai in cui potesse essersi cacciata. Fortunatamente proprio in quel momento sentì il mio cellulare vibrare così, alzandomi dal letto per raggiungere la specchiera su cui lo avevo appoggiato, riflettei se risponderle o no. Sapevo che era lei; a Philadelfia non avevo lasciato nessun'altra persona che potesse preoccuparsi per la mia mancanza. Lascia squillare per qualche secondo in più, non seppi nemmeno bene il perché, prima di convincermi ad avvicinare lo schermo al mio orecchio.

«CAITLYN» esclamò con voce vibrante appena emisi un lieve sospiro pronta ad affrontare una discussione che mi attendeva ormai da tempo «si può sapere cosa ti è passato per la testa?
Dove sei? E con chi? Dio ti prego, dimmi che stai bene» supplicò spezzando le parole per trattenere qualche singhiozzo. 

Spalancai gli occhi in pensiero per lei; mia zia era una donna ricca di sfaccettature, di pagine piegate, nella sua vita aveva sofferto moltissimo: la perdita dei suoi genitori da ragazza, poi quella di mia madre... si era ritrovata da sola a dover badare ad una neonata. Ma era anche vero che aveva trovato uno sfogo per camuffare il dolore, per annullare i ricordi che la spaventavano o quelli troppo felici da meritare di essere impressi nella sua memoria e preoccuparsi in quel modo per me non era più rientrato nella sua lista delle cose da fare da quando avevo imparato ad allacciarmi le scarpe.

THE BLACK DIAMONDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora