La storia del mio corpo

5.2K 243 53
                                    

Perdonate miei eventuali errori, verranno corretti presto.
Lasciate un commento e fatemi sapere cosa ne pensate.
Buona lettura;)

Vi consiglio di ascoltare 'La storia del mio corpo' di Michele Bravi.
Non per forza durante la lettura del capitolo, perché non è inerente al racconto, viene solo citata.
Credo sia una delle mie canzoni preferite;)

Oggi è finita la scuola, ma non posso promettervi di essere più presente con gli aggiornamenti.
Non mi son ancora ritrovata, ma tornerò.
Per quanto riguarda il capitolo 'vietato ai minori di diciotto anni': tenetevi pront*perché lo sto scrivendo; datemi tempo ed uscirà ché sta prendendo forma.

Scrivere questa lettera, indirizzata a te, è la cosa più complicata che io abbia mai provato a fare, ma Asha, la mia psicologa, mi ha detto che avrebbe aiutato.
Quindi eccomi qui, ad accontentare Asha.
La sai una cosa? Il suo nome è indiano, i suoi genitori vengono da lì. Il nome ha un origine strana, ma 'speranza' è il suo significato.
Asha da un anno è la mia speranza.
Sui social se ne sarà parlato tanto, credo di saperlo, ma non controllo i miei profili da quel giorno.
Ci siam lasciati quasi due mesi prima, il primo novembre; non so se è accaduto per la mancanza, per la lontananza- infondo l'America e l'Italia son distanti-; non so se è accaduto perché non avevamo il tempo di sentirci o perché sembrava tu ti stessi prendendo una bella sbandata per Caterina.
Ma è successo e noi siam finiti.
A proposito di Caterina, il nome: significa 'pura' e mi vien da ridere perché tu vai pazzo per questo genere di cose.
La purezza.
Tu la ami, e dicevi che io l'avevo, che io lo ero, e che mi amavi.
Dopo quattro anni però hai smesso.
Non ero più pura, non ero più la stessa. Mi hai detto questo.
Dicevi sul serio? Allora dovresti vedermi ora, sono un'altra persona.
Avrei tanto voluto averti affianco, sul serio.
Avrei voluto te che mi rassicuravi e mi dicevi che sarebbe andato tutto bene.
Due mesi dopo, il trenta dicembre duemilaventicinque, l'avrei voluto passare con te; magari, in questo modo, non avrei smesso di respirare.
Non sapevo a chi dare la colpa: se a Giofrè che mi ha fatto entrare nel corpo di ballo di Taylor Swift, se a Taylor che ha messo una data in Germania il giorno prima che mi ha impedito di essere a casa per le feste, se darla all'uomo nell'altra macchina, o se darla a me per aver deciso di guidare a quell'ora.
Ero atterrata a Roma da poco ed avevo chiesto a papà, poco prima che l'aereo partisse dalla Germania, di lasciare la mia macchina nel parcheggio dell'aeroporto. Tanto avevo comunque il secondo mazzo di chiavi della macchina. Volevo farmi un giro per Roma di notte prima di tornare a casa dopo mesi.
Lo sai, o spero lo ricordi, che amo Roma la notte.
Anzi amavo, perché ora, quando si fa sera, io mi chiudo in casa e non esco più, fino alle luci dell'alba, per paura.
Avevo quindi allungato il tragitto, e nonostante fossi atterrata nella mia capitale alle otto di sera, a mezzanotte ero ancora in auto.
Era, da pochi minuti, iniziato l'ultimo giorno dell'anno ed io avevo deciso che fosse giunta l'ora di tornare, finalmente, a casa.
Poi un semaforo mi aveva bloccato, diventando rosso.
Sembrava di star aspettando minuti, poi il rosso si fece verde, verde speranza.
Ma può il verde speranza rischiare di mettere fine a qualcosa?
Sì, può.
Avevo rimesso in movimento la mia piccola macchina quando una, molto più grande, mi ha tagliato la strada.
Le luci dei suoi fari erano bianchi e sembrava di stare in discoteca tanto vedevo le luci vorticare.
Ed in discoteca dovresti ballare, le luci dovrebbero solo portarti fastidio, ogni tanto.
Ma quella non era una discoteca.
Mi ha mandato fuori strada e sono andata a schiantarmi contro un muro.
O almeno così mi hanno detto; io non ricordo niente, avevo già perso i sensi.
Poi non so per quale scherzo del destino, ma mi son svegliata dal coma il nove gennaio.
Dimmi se è uno scherzo.
Ricovero, fisioterapia, riabilitazione, psicologo e la notizia che non avrei potuto ballare per un po' di mesi.
Come ho affrontato tutto senza di te? Ma ti sembra il caso Giovà?
Neanche un messaggio, neanche una chiamata?
Il due novembre mi avevi già rimosso dalla tua memoria?
Perché tu sei presente nella mia, ancora, e questo mi fa male, perché tu sei andato avanti.
Non ho più aperto bocca.
Non ho più versato lacrime.
Non ho più riso o sorriso.
Ma te ci pensi a me senza che ti venga in mente la mia risata?
Prima ti dovrei chiedere, però, se pensi a me?
Bella domanda...
Mi son chiusa nel silenzio, dialogando con me stessa e basta.
Mamma, papà, la mia famiglia, Chiara.
Mi son stati tutti vicini, tantissimo, ma non ho mai rivolto loro una parola, un sorriso.
Sai che non ho provato nulla per mesi, un anno?
Certo che non lo sai, non eri con me.
Asha, durante la nostra prima seduta, mi ha detto di tenere un diario sul quale scrivere sempre.
Avrò consumato tanti diari, troppi diari.
Scrivevo delle mie giornate, scrivevo i miei pensieri, frasi di canzoni, poesie. Mi è accaduto anche di scrivere il testo di canzoni intere, ma non le tue.
Non ascolto tue canzoni da tempo, le ho evitate come la peste.
E non ho più acceso la radio, o la televisione, per poterti evitare.
E non andavo neanche nei negozi, lo sai che mettono le canzoni in sottofondo.
Eccome se lo sai, quando eravamo in un negozio e partiva una canzone che ci piaceva iniziavamo sempre a ballare.
La mia ripresa fisica è stata veloce, sorprendente per i dottori.
Secondo loro sarei potuto tornare in sala solo nella primavera del duemilaventisette.
Ma io ci son tornata ad ottobre del duemilaventisei.
Hai visto che brava? Ma no, non lo hai visto, e non lo sai, perché non sei qui, con me. Ma va bene così.
Ti ricordi quando, ad Amici, mi hai rimproverato dicendomi che avrei dovuto pensare alla danza piuttosto che alla nostra relazione, perché io ero lì per ballare?
Giovà, io sono al mondo, sono viva per ballare.
Quando son tornata in sala continuavo a non parlare, a non ridere e a non piangere.
Ma se qualcosa mi faceva ridere, sorridevo, anche se non troppo.
Quando ho ricominciato a ballare ho avuto qualche problema, sai, con la tecnica, ma son tornata, a tratti migliore di prima.
E tornare a ballare è stato come ricominciare a respirare.
Fino a quel momento non avevo compreso di essere in apnea da troppo tempo.
Poi era bastato mettere la mia canzone preferita ed improvvisare qualche passo per capire che i miei polmoni bruciassero.
Ed è stato come quando fai la gara a chi trattiene il fiato più a lungo.
Ti riempi le guance di aria, nonostante non servisse a niente, ed iniziavi a contare mentalmente. Poi smettevi perché dovevi concentrarti sul mantenere il fiato mentre fissavi l'altro giocatore, o gli altri giocatori, per vedere chi avrebbe ceduto prima.
Ed i polmoni iniziavano a bruciare, la testa a girare, il viso a farsi rosso.
Iniziavi a sentire il cuore battere sempre più forte.
Poi non riuscivi più e per istinto la tua bocca si apriva, per prendere ossigeno.
E tutto tornava normale.
Ecco, tornare in sala è stato questo: è stato riaprire la bocca per prendere ossigeno, perché stavo soffocando.
Non mi ero accorta che fino a quel momento avevo inghiottito le mie emozioni.
E sentirle, di nuovo, dopo mesi, è stato travolgente.
Sfiancante.
Ma ancora, nessuna lacrima, nessuna risata.
Poi una sera, come una stupida, ho deciso di riprendere in mano un telefono, ed ho aperto il mio profilo instagram, mentre mamma, papà e Chiara stavano in salotto. Io ero in camera ed il telefono esplodeva per le troppe notifiche.
Era scoccata la mezzanotte da pochi minuti e di conseguenza era iniziato il nove gennaio.
E tu facevi il compleanno.
E la prima cosa che mi è comparsa nella home di questo social è stata una tua foto, postata da una fanpage di Amici20 che devo aver iniziato a seguire prima dell'incidente.
Eri sorridente.
Sorridevi tanto, gli occhi erano chiusi tanto il sorriso era grande, le spalle erano alzate, i capelli erano coperti di coriandoli rosa e tu avevi le mani alla testa.
Ma sembravi così felice.
E mi son chiesta perché io non lo fossi.
E la prima lacrima, dopo un anno esatto, cadde dai miei occhi.
Ma l'asciugai subito, spaventata da quella cosa a tratti nuova.
Iniziai a tremare, come una foglia, troppe emozioni nel cuore, nel petto. Sembravano togliermi il fiato.
Poi con il dito feci scorrere i post, e quello dopo, come per scherzo, mostrava un tuo video fatto pochi minuti prima.
Stavi scompigliando i tuoi capelli, cercando di liberare i tuoi ricci da tutti quei coriandoli rosa.
E sembravi così uguale a quando ci siam lasciati che mi son chiesta se fosse passato seriamente un anno o se fossero passati tre mesi.
Avevi una maglia bianca, i pantaloni non li ho visti, ma credo fossero rosa.
Avevi lo smalto alle mani, tanti brillantini sulle tue unghie.
E dietro di te vi erano due palloncini che creavano un numero: ventiquattro, come gli anni che compievi, come gli anni che ho compiuto io il venti giugno del duemilaventisei.
Ma io non avevo disattivato il volume del telefono e pochi secondi dopo avevo sentito una voce femminile parlarti.
"Auguri amore." ti aveva detto felice e sembrò che il tuo sorriso si fosse fatto più grande a quelle parole.
Quindi sei andato avanti?
Io no.
E questa consapevolezza mi fece tremare più forte, quella sera.
Qualche altra lacrima mi rigò il volto, ma le asciugai anche questa volta.
Continuai a scorrere con i post e davanti a me comparvero foto inerenti a tutti.
Tutti che erano andati avanti.
Io, invece, sembrava avessi fatto cento passi indietro.
E dopo un anno piansi, veramente.
Scoppia in singhiozzi e Chiara mi sentì, poi corse in camera.
Mi ha calmata, cullata, consolata, mentre mi seguiva con le lacrime.
Poi si avvicinò alla cassa d'amplificazione, la collegò al telefono, e mise in ripetizione una canzone.
La storia del mio corpo, di Michele Bravi.
Sembra che racconti di me, più di quanto lo abbia fatto tu con Lady.
Lei è la prima canzone sulla quale ho ballato dopo l'incidente, la prima sula quale ho improvvisato una volta tornata in sala.
Che poi improvvisata in realtà non era: l'ho immaginata così tante volte in mente, ci ho danzato sopra così tante volte nella mia testa che avevo già la coreografia pronta.
Ed io non ho saputo nulla fino al nove gennaio, ma Chiara mi aveva registrata.
Mi aveva fatto un video.
E me lo disse mentre cercava di calmare il mio primo pianto.
E sai che ho fatto col video?
L'ho postato, su instagram, facendo impazzire tutti quanti con le poche parole che avevo scritto sotto il video.
'Un anno fa mi svegliavo dal coma'
Lo stesso giorno sono andata dalla psicologa, da Asha.
Fino a quella seduta le avevo sempre portato il diario, in modo tale che lei lo leggesse.
E quel giorno non lo portai.
E sai perché?

Giulia entrò nella stanza e sotto lo sguardo di Asha si sedette sul divanetto.
Puntò gli occhi in quelli neri della psicologa, che quel giorno aveva deciso di lasciare i capelli neri sciolti. Le contornavano il viso dai tratti eleganti mentre lei teneva la mani congiunte sulle gambe accavallate.
"Non hai portato il quadernetto?" Le aveva chiesto, quel tono le suonava quasi materno. E Giulia stette in silenzio prima di rispondere alla donna che aveva poco più di quarant'anni.
"No."
E Asha, sorrise, cercando di nascondere l'emozione.


Asha.
La mia speranza.
L'ho vista tre giorni fa; abbiam parlato per quasi un'ora.
Avrei dovuto rivederla oggi, ma ho un impegno.
Troppo importante.
Perché lo sai che oggi parlo con i finalisti dell'edizione di Amici di quest'anno?
Ho una storia da portare su un palco, quello del pomeridiano.
E ho il cuore che mi batte nel petto fortissimo, ma è bello, perché finalmente provo.
Io provo.
Provo qualcosa.
Quindi ciao Giovanni.
Tua,
x sempre,
lady Giulia.

Giulia, una volta finito di scrivere, chiuse il diario con delicatezza.
Posò la penna nella tasca piccola del borsone e con morbidezza poggiò il diario dalla copertina nera sul fondo della borsa; lo coprì con i vestiti e poi alzò lo sguardo sulla donna davanti a lei che era seduta su una poltrona rossa.
Aveva le gambe accavallate e le braccia incrociate, la schiena poggiata allo schienale.

"Pronta per andare in scena?" Chiese la donna con un sorriso in volto.
"Sì."
"Pronta per ritornare su un palco?"
"A dir la verità sto tremando dalla paura, ma è bello provarla, lo sai. Sento di esser tornata viva." Sorrise Giulia di rimando.
La donna, che mostrava un po' lo scorrere del tempo sul suo viso, si alzò dalla poltrona per avvicinarsi a lei.
"Lo so, ed è sempre bello sentirtelo dire." Le porse la mano e la fece alzare prima di stringerla in un abbraccio caldo, che sapeva di casa.
"Ora vado." Disse poi Giulia rompendo l'abbraccio.
Si diresse verso la porta del camerino, ma quando fu sul punto di lasciare la stanza venne fermata.
"Giulia.- Venne richiamata e lei si voltò, rimanendo in silenzio e rivolgendo alla donna un'occhiata confusa.- Son tanto orgogliosa di te, riprenditi quello che ti è stato tolto."
Giulia sorrise, sentendo il cuore essere avvolto dal calore.
"Grazie Mary!"
Poi le fece un occhiolino ed uscì definitivamente dalla stanza, chiudendo la porta e lasciando dietro ad essa Maria, orgogliosa di lei quasi come una madre.


Sangiulia-One shotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora