Capitolo Uno

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Sobbalzo al rumore di un tonfo proveniente, probabilmente, dal salotto. È tarda notte e la luna plasma il cielo con un bianco lucente. Mi ritrovo stesa sulla scrivania, dovevo essermi addormentata mentre finivo un lavoro al computer, come al solito.

''Ares!'' Richiamai il mio cane con tono autoritario. Un piccolo rumore di zampe richiamò la mia attenzione di nuovo. Improvvisamente sbuca dalla porta socchiusa un piccolo muso umido, vuole entrare di sicuro. In pochi istanti, Ares, con un piccolo movimento di zampa, apre un passaggio per entrare nella mia camera e si fionda sul letto.

''Quando imparerai a dormire nella tua cuccia?!'' Lo guardo mentre si stiracchia la schiena prima di accomodarsi.

L'orologio sul mio telefono segna che sono quasi le 2.00 del mattino e tra non meno di cinque ore mi sarei dovuta svegliare per dirigermi a lavoro. Mi affretto ad andare verso il letto e mi tolgo la felpa che ho addosso per poi accoccolarmi vicino ad Ares. Mi si adagia vicino, poggiando il muso sopra la mia pancia. Comincio ad accarezzare il suo morbidissimo pelo color cioccolato e senza nemmeno accorgermi, in poco tempo, crollo  improvvisamente in un sonno profondo.

''Dring... DRING'' In tutta la stanza riecheggia un rumore fastidioso, quasi snervante. Come ogni mattina Ares comincia ad abbaiare. Quel cane è quasi un umano, odia la sveglia più di me! Per compassione delle mie orecchie decido che è ora di alzarmi e cominciare la giornata. Risistemo il letto, mi faccio una doccia veloce e resto, più o meno una mezz'ora, davanti l'armadio per scegliere cosa mettere.

Opto per una camicia rosa antico, con un pizzico di scollatura e una gonna nera fin sopra il ginocchio, il tutto accompagnato da un tacco modesto.

È quel periodo dell'anno in cui come ti vesti, ti vesti male. Le temperature durante le giornate qui a New York sono così imprevedibili.

Prendo le chiavi, la borsa e dò un piccolo saluto al mio cagnolone e salgo sulla mia modesta auto, una 500 d'epoca per dirigermi a lavoro.

Lavoro per un'azienda di moda, insomma sono un'apprendista ancora, ma aspiro a diventare una stilista di successo, capo permettendo. Si, perché il mio capo è snervante. Una donna sulla cinquantina, bionda, alta, magra e chi più ne ha ne metta. ''La donna delle nevi'', ecco come la chiamano in ufficio. Per mia sfortuna sono capitata proprio nel farle da assistente, standole ventiquattro ore su ventiquattro accanto, o meglio dietro. Lei odia che qualcuno le cammini al suo fianco. Insomma, la potrei riempire di difetti ma devo anche dire che è la più famosa stilista di tutta New York e possiede più di quattro aziende sparse per la città. Potrò realizzare il mio sogno appena si renderà conto che, anche io, ho un po' di talento.

''Caisy!'' Mi risveglia dai miei pensieri la voce squillante di Ellen, il mio capo.

''Devo aspettare tutta la mattina per il mio doppio caffè freddo con ghiaccio?!'' Sobbalzo. Sono rimasta immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto, sull'uscio della porta del suo ufficio. Subito mi reco al bar sotto la hall dell'azienda, se non prende il caffè entro due minuti mi licenzia sicuro.

Torno un po' di corsa nel suo lussuoso ufficio. È arredato con gusto, ogni oggetto è al suo posto, quasi in modo maniacale. Appesi sul muro ci sono foto di celebrità con i suoi vestiti, i Red carpet e i suoi centinaia di premi e riconoscimenti. Forse, anzi sicuramente, il suo ufficio è grande quasi come casa mia.

''Entro oggi, devi ingaggiare tutte le modelle per la mia sfilata che si terrà a Parigi, tra due settimane.'' Dice con tono autorevole abbassando gli occhiali, per poi scrutarmi dalla testa ai piedi.

''Mi dici perché ancora non ti ho licenziata per come ti vesti?''

Lei e le sue frasi scenografiche. Ed ecco come inizia ogni mia giornata. Le porto la colazione, ascolto i suoi spregevoli commenti e poi ritorno a lavorare e tutto questo da ben due anni. Di sera, nel weekend, invece lavoro in un pub come cameriera... Diciamo che la vita a New York è molto più costosa di quanto avessi immaginato.

''Ingaggio subito le modelle, Ellen.'' Le rispondo in modo cortese facendo finta di non aver sentito il commento precedente.

''Posso fare altro per te?'' Continuo, dirigendomi verso la porta.

''Si, il pranzo. Ricorda, insalata light con cetrioli e pomodori.'' Risponde, ricordandomi per la milionesima volta il suo pranzo light.

''Ed ora vai, devo lavorare.'' Apro la porta del suo ufficio e la saluto annuendo al suo comando.

Dopo ben quattro ore, passate litigando al telefono con le agenzie delle varie modelle per gli accordi economici della serata, sono riuscita ad avere le dodici e perfette ragazze che Ellen mi ha richiesto. Taglia massimo 38, numero di scarpe, sempre, massimo 38 e tutte esclusivamente bionde. Penso che qualcuno arriverebbe a farsi una tinta la sera stessa pur di partecipare come modella alla sfilata più importante dell'anno di Ellen Banks.

Alle 12.30, come un orologio svizzero ecco la donna delle nevi chiamarmi per il suo pranzo. Ero andata di fretta e furia dieci minuti prima a prendere l'insalata e per fortuna già mi trovo sulla soglia della porta intenta a portare il pranzo ''light'' ad Ellen.

''Almeno qualche volta sei puntuale.'' Dice, facendomi un piccolo e falso sorriso.

''Mi hanno chiamata ora da Manhattan, l'azienda di mio figlio ha bisogno di nuovi modelli, per cui parti subito e vai a portare alcuni schizzi che hanno fatto quelle incompetenti delle mie dipendenti.'' Continua senza spostare gli occhi dal computer.

Il grandissimo Mike Devon, che a trent'anni dirige l'azienda di famiglia a Manhattan. Si parla esclusivamente di lui, sempre, su tutti i giornali di gossip. Insomma, il solito scapolo della città newyorkese.

Non ho nemmeno il tempo di rispondere, che l'autista di Ellen mi passa i disegni da portare all'azienda e mi porta giù alla hall, conducendomi alla macchina. Durante il tragitto mi riposo, non capita tutti i giorni di avere un po' di libertà dalla scrivania. In mano ho ancora i disegni che devo portare, sono curiosa di vedere cosa c'era dentro. Apro piano la cartellina, facendo attenzione e vedo gli schizzi uno ad uno. Sono belli, ma mancano d'animo. Sembrano modelli di vecchie stagioni, ripetizioni. D'altronde ho solo il compito di portarli a Manhattan, quindi non sono cose che riguardano un'assistente. Rimetto tutto a posto e mi rilasso sul sedile della macchina, mi aspettano ancora quaranta minuti di viaggio.

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