L'ASSENZA DI SEVERUS PITON

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La pallida luce della luna piena filtrava debole attraverso il fitto groviglio di rami e foglie della Foresta Proibita, illuminando a malapena il muso sofferente del cervo riverso a terra, ai piedi del maestoso cipresso.

Ora che gli stava accanto, Alya vide con chiarezza le numerose ferite sanguinanti che costellavano il corpo massiccio dell'animale. Gran parte del manto bruno era ricoperto di sangue: a quanto pareva, doveva aver lottato disperatamente contro un grosso predatore. I segni dei morsi erano ampi e profondi.

In particolare, una delle due zampe posteriori presentava uno squarcio raccapricciante: i denti dell'avversario erano affondati fino all'osso, lacerando lembi di carne e muscolo, che ora pulsavano dolenti allo scoperto. In quelle condizioni, il cervo non avrebbe avuto alcuna possibilità di rimettersi in piedi e, con ogni probabilità, sarebbe morto in poche ore, per la copiosa perdita di sangue.

Tuttavia, nonostante fosse allo stremo delle forze, la bestia bramiva e scalciava, rifiutandosi di arrendersi alla morte. Alya ne ammirò la caparbietà.

La ragazza non poté fare a meno di ricordare le parole che sua madre le aveva rivolto quando aveva evocato per la prima volta un Patronus: il cervo è orgoglioso; se deve morire, lotterà con tutto se stesso per portare con sé lo stolto predatore che lo ha attaccato.

A giudicare dalle ferite che mostrava, quel cervo agonizzante dimostrava quanta verità giacesse nell'affermazione di Walburga. La ragazza non sapeva se il predatore che l'aveva attaccato fosse morto nello scontro o meno, ma era ovvio che il cervo aveva combattuto con tutte le sue forze.

Le dita della giovane Black si levarono spontanee ad accarezzare il motivo a forma di corno, inciso sul ciondolo d'argento che le cingeva il collo, mentre un senso di pietà e di determinazione le invadeva il cuore.

Nel frattempo, Koboro era strisciato silenzioso sino al corpo dell'animale steso a terra, i suoi piccoli occhi neri ne studiarono le ferite, le narici si allargarono per inalarne la gravità. Alla vista del grosso cobra, nero come ossidiana, che gli si avvicinava lentamente, il cervo prese a scalciare con veemenza nel vano tentativo di scacciarlo.

Koboro lo ignorò.

"Il cervo è spacciato." sentenziò senza compassione. "Il mio veleno gli donerà una fine più veloce." sibilò come un boia.

Koboro si erse maestoso al di sopra della gola possente dell'animale, con le fauci spalancate, rivelando gli aguzzi canini traboccanti di veleno. Il cervo, che certo non comprendeva il Serpentese, intuì lo stesso le letali intenzioni del serpente color dell'onice; sbuffò proteste soffocate, dimenando le corna appuntite. Nei suoi occhi scuri non vi era ombra né di paura né di supplica. Alya vide una furiosa scintilla vitale brillare nelle iridi nere del cervo.

"Fermo!" ringhiò la giovane Black, puntando di riflesso la bacchetta contro Koboro. "Non osare!" intimò all'animale. Il serpente si bloccò all'istante e si voltò verso Alya.

"È solo un cervo." sibilò contrariato, sebbene per nulla turbato dallo scatto dell'umana.

"Non mi interessa. Voglio salvarlo. E tu mi aiuterai." replicò Alya, decisa e inflessibile.

"Ho già curato ferite simili, ricordi? Grazie alla tua magia. Salverò questo cervo come ho salvato te anni fa."

Koboro rimase in un silenzio imperscrutabile per qualche secondo. Poi, si ritrasse, sebbene riluttante, dalla figura scalpitante della bestia morente.

"Come desideri." disse il rettile con accondiscendenza, mentre con movimenti lenti avvolgeva con ampie spire il corpo di Alya, in modo da portare il suo muso triangolare alla stessa altezza dell'orecchio della ragazza. "Sgombra la mente e concentra i tuoi pensieri solo sulle ferite. Ascolta i suoni che ti sussurrerò e ripetili fedelmente. Ma ti avverto: l'animale è molto debole. Potrebbe non sopravvivere comunque."

L'Albero dei BlackDove le storie prendono vita. Scoprilo ora