CANDELE E PIUME NERE

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Il gracchiare del corvo nella nebbia suona come un miserere.
- Anacleto Verrecchia

9 giugno, 1977. Lestrange Manor.

Un sole vigoroso bagnava di luce dorata l'imperioso maniero della famiglia dei Lestrange.
Una luce alla quale, tuttavia, era stato negato l'accesso all'interno dei sontuosi saloni della dimora.

Una stanza, in particolare, si trovava in una completa oscurità, immersa in una cupa notte apparente.

Le pesanti tende di velluto erano state tutte rigorosamente tirate davanti alle finestre, bandendo i luminosi raggi del sole, alla stregua di pericolosi criminali.

Insieme alle tenebre, volutamente evocate, un denso silenzio era colato, come nero inchiostro, sui contorni dell'esigua mobilia presente nella stanza. Le pareti, disadorne di qualsivoglia quadro o ritratto di famiglia, erano invece tappezzate di scaffali e mensole in legno scuro, che ospitavano ninnoli e cimeli antichi, dall'aspetto raccapricciante, grondanti di magia oscura.

Al centro della sala, a ridosso delle finestre che si affacciavano sul cortile esterno della sontuosa abitazione, si allungava la figura scura e solenne di un tavolo in mogano, liscio e sterile, privo di decori o altri fronzoli.
Su di esso, le fiamme scarlatte di due tozze candele nere crepitavano nell'oscurità, rischiarando lievemente i profili di altri oggetti disposti in ordine accurato e preciso, al centro della tavola.

Le candele si ergevano come due sentinelle ai lati di un vetusto libro, dalla copertina nera e massiccia, le cui pagine rivelavano i passaggi di potenti incantesimi e rituali, descritti in una lingua dai suoni impronunciabili, in grado di far accapponare la pelle persino ai maghi più coraggiosi.

Alla sinistra del volume, troneggiava un vecchio teschio di colore avorio, sulla cui liscia superficie balenavano le ombre evocate dalla flebile luce delle due candele. Tra le fauci del cranio penzolava una ciocca di capelli neri, molto sottile, che si mescolava alle tenebre circostanti, rendendosi invisibile alla vista.

Dinanzi al libro e all'orrendo teschio, mani tanto pallide da sembrare morte poggiavano sul tavolo, con le dita sottili che si allungavano come zampe di un ragno albino sul legno in mogano.
Immobili. Nessun movimento pareva poterle scuotere, quasi appartenessero per davvero ad un cadavere lasciato lì, in quella buia stanza, a marcire indisturbato.

Eppure erano vive.

D'un tratto, il gracchiare di un corvo all'esterno della villa interruppe il tetro silenzio che incombeva sulla sala. Le fiammelle delle candele oscillarono e si spensero, mentre due occhi rossi, ardenti come fuoco, si aprirono di scatto, contrariati.
Una delle mani pallide si mosse rapidamente, sfoderando da sotto la tunica una lunga bacchetta.

Lord Voldemort la agitò appena, sferzando l'aria con comandi silenziosi quanto perentori. Le tende si aprirono docili e all'unisono, lasciando via libera alla luce del sole di inondare la stanza.
Dopodiché, il Signore Oscuro appoggiò la bacchetta sul tavolo di fronte a lui, sempre pronta all'utilizzo. Richiuse con delicata solennità il libro nero, raccolse i pochi capelli corvini dalla bocca del teschio e li ripose all'interno di un'ampolla trasparente, piccola e sottile, come quelle utilizzate per custodire i filamenti di ricordi.

Voldemort impugnò nuovamente la bacchetta e, con movimenti noncuranti, evocò una vecchia scatola di legno; racimolò candele, libro, teschio e ampolla e depose il tutto ordinatamente all'interno dello scrigno. Con un incantesimo silenzioso, il potente mago lo sigillò, assicurandosi, così, che lui soltanto potesse avere accesso a ciò che il contenitore custodiva.

Voldemort si abbandonò, poi, sullo schienale di legno rigido, della sedia sulla quale sedeva. Coi gomiti appoggiati sui duri braccioli, congiunse le mani scarne e bianche dinanzi al volto serpentino, mentre gli ampi lembi delle maniche ricadevano verso il pavimento come cascate di stoffa.

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