Il Teatro

11 2 0
                                    

Quando arrivai in cima al Ponte dell’Accademia mi fermai un secondo ad osservare la (vista)veduta/il panorama. La basilica di Santa Maria della Salute si stagliava bellissima sovrastando la punta della Dogana. La luna brillava nel cielo, le stelle, intimidite dalla sua luce cercavano di farsi strada nel duro mondo della volta celeste ed io mi sentivo più insicuro che mai. Troppo tardi per tornare indietro e, nonostante il pensiero mi avesse attraversato tante volte la mente quanti furono i battiti del mio cuore, non sarei mai tornato sui miei passi.
Mentre mi avvicinavo al teatro l’ansia cresceva, ero una vittima delle probabilità, tutto sarebbe potuto accadere, ogni tentativo di previsione sarebbe stato vano e poi come avrei trovato il mio palco?
Sarebbe bastato il biglietto per entrare o magari la prenotazione richiedeva anche di lasciare un nominativo?
In quel caso che avrei fatto?
Pensa che ti pensa giunsi infine al teatro. Ero passato di lì molte volte nel corso della mia esperienza nella vecchia capitale della Serenissima, ma non mi ero mai davvero soffermato a guardarlo. La scalinata esterna portava all’ingresso cinto di colonne, i capitelli adorni di foglie di acanto mi osservavano minacciosi dall’alto della loro maestosità, come a domandarmi cosa andassi cercando.
All’entrata una piccola coda formata da persone che come me erano arrivate quando mancavano solo dieci minuti all’inizio. Scrutai i volti curati e imbellettati che si susseguivano in quella cornice suggestiva, ma non v’era traccia di lei.
Arrivato finalmente all’ingresso, la maschera che controllava i biglietti mi guardò di sbieco, c’era qualcosa di poco rassicurante nel suo sguardo, gli consegnai il mio lasciapassare e con la coda dell’occhio cercai ancora quella donna. Non figurava da nessuna pare, non tra le persone che defluivano verso il teatro né tra i pochi attardatisi nel foyer. Dopo attimi di terrore, la ragazza mi porse il biglietto e con un sorriso mi indicò le scalinate poco più avanti. Dopo essere salito, fui accompagnato da un addetto al mio palco.
Infilò la chiave nella serratura di quella porta stretta, su cui torreggiava un barocco sigillo raffigurante il numero 24, evidentemente ero solo.
Una piccola anticamera precedeva le quattro sedie imbottite inclinate verso il palco principale, una tenda di velluto rosso divideva il separé, armato di tavolino e poggia abiti, dalla zona rivelata (? rivelata in che senso).
Mi sedetti titubante su una delle due poltroncine più esposte, spensi il cellulare e iniziai a scrutare il resto del teatro, cercavo il volto di lei, tra quelle decorazioni barocche in stucco e i candelabri elettrici che illuminavano la sala. Non riuscivo a scorgerla, per quanto desiderassi incontrare il suo sguardo o intravedere la sua figura, nulla!
C’erano troppe persone e nessuna era colei che cercavo così disperatamente.
Le luci della sala, comprese quelle dell’immenso lampadario di cristallo al centro, si affievolirono lentamente.
Ormai era andata, ero intenzionato a godermi l’opera senza più pensare a quella donna stregata (che mi aveva stregato/misteriosa/ammaliante), ma appena un istante prima di partorire questo pensiero, appena prima che iniziasse l’ouverture, la maniglia della porta alle mie spalle si abbassò e potei udire una voce di donna che ringraziava educatamente l’addetto con un filo di imbarazzo nella voce.

Venezia-La Musica della NebbiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora