PROLOGO

297 21 19
                                    

Pentagono, Washington DC, 1973.

Silenzio.

Silenzio. Troppo silenzio, la barella di metallo su cui sedeva Elizaveta era gelida, silenzio, una voce metallica riempì la stanza: (in russo) "sei pronta per lo stadio successivo?", chiese la voce metallica proveniente dal microfono attaccato alle mura della cella.

(in russo) "sì" rispose lei alzandosi dalla lastra dove era seduta.

No, voleva urlare. No, non era pronta, ma non l'avrebbero ascoltata, indietreggiò ritrovandosi spalle al muro, voleva scappare da quella cella, allontanarsi, non farsi vedere, la voce ripetè: (in russo) "Cominciamo la tua valutazione psicologica"

Poi entrò l'uomo con il braccio il vibranio, lo vedeva spesso, poteva giurare di averlo visto sorridere una volta: era un uomo abbastanza tranquillo, per quanto ne sapeva, aveva i capelli abbastanza lunghi marroni, un filo di barba e gli occhi azzurri, un azzurro speciale, diverso, uno sguardo glaciale, ma che trasmetteva un certo senso di sicurezza, strano a dirsi, no?

Era un tipo tranquillo, gentile, carino. Era questo che Elizaveta pensava di lui.

Solo dopo. Ah, solo dopo averlo conosciuto bene, di aver scoperto il suo passato, di essersi introdotta nella sua vita, nella loro vita, stravolgendola completamente, si rese conto di cosa era veramente.

Il soldato si avvicinò a lei e le attaccò la piccola spilla rotonda completamente nera, con l'immagine rossa dell'Hydra, sul braccio sinistro,  le diede una pacca sulla spalla, rivolgendole il suo solito sguardo ghiacciato.

Si incamminarono lungo i corridoi del piano, poi, giunti a destinazione, entrarono in una stanza, c'era un altro soldato in uniforme e un paio di dottori in camice bianco.

Elizaveta guardò il Soldato d'Inverno, lui aveva lo sguardo fisso su una sedia, percepì ansia e paura da parte del Soldato, quest'ultimo guardò la rossa e le sussurrò, attirando l'attenzione dei dottori accanto a loro: "Farà male, molto male." uno dei dottori in camice si avvicinò a lei e le indicò la sedia in mezzo alla stanza. Si sedette, uno dei dottori più vicini le mise una sorta di casco in testa e premette qualche pulsante: (in russo) "tutto pronto" urlò.

Dolore.

Le urla di Elizaveta risuonavano nella stanza, dolore, riusciva a percepire solo questo.

Dolore.

Quando la tortura finì, il sudore le colava sui lati della fronte e alcune ciocche di capelli le cadevano davanti alla faccia, il suo sguardo era fisso su un punto indefinito quando il soldato in uniforme parlò:

oпасность (pericolo)

выживание (sopravvivenza)

вундеркинд (prodigio)

мутант (vittime)

жертвы (sacrifici)

война (guerra)

поп (schiocco)

звенеть (anello)

драгоценные камни (gemme)

месть (vendetta)

Silenzio.

Era una sensazione strana, per niente piacevole.

Chi sono?

Cosa ci faccio qui?

E chi sono queste persone?

Si chiese varie volte Elizaveta.

Domande che solo in futuro ebbero una vaga risposta.

Poi il soldato parlò di nuovo: (in russo) "soldato?", lei spostò lo sguardo su di lui facendo schioccare la mascella, e disse l'unica cosa che le venne in mente: (in russo) "Pronta ad obbedire".

(Scusate per eventuali errori)

Ritorno Al PassatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora