Capitolo 10

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Quella sera, non ero riuscito a chiudere occhio, pensavo a Bucky, il mio amico, e se stesse bene, T'Challa, non mi aveva fatto sapere più niente da quando me ne ero andato dal Wakanda.

Alle quattro di mattina avevo deciso di alzarmi dal letto e di infilarmi una tuta per andare a correre. Uscii dal piccolo appartamento e mi misi a correre per le strade della bella Firenze.

La bella corsa rigenerante, si interruppe, quando iniziò a piovere, un vero acquazzone. Fortunatamente mi imbattei in un bar, il "City Rock Caffè". Non l'avevo mai visto, così, preso dalla curiosità, decisi di entrare.

Era un bar piuttosto spazioso: alle pareti vi erano tanti poster di band e cantanti che io non conoscevo, se non per un paio di poster di Elvis, Gershwin e Porter, la stanza era dipinta interamente di Bordeaux, bianco e blu petrolio. Al posto delle pareti in mattone, all'entrata c'erano solo finestre molto spaziose e una piccola porta-finestra con dei campanellini attaccati. 

Dentro non c'era nessuno, ma da lì a poco comparve dal piano superiore una bella ragazza di circa vent'anni che impugnava un grosso coltello.

Era una ragazza carina, aveva gli occhi verdi e i capelli rossi raccolti in una cipolla abbastanza disordinata, era un po' bassina e molto magra.

Era struccata e in pigiama, si era svegliata da poco. 

Mi sentivo leggermente a disagio: portava solamente dei pantaloncini in tuta esageratamente corti e una maglia abbastanza grande, ma leggermente corta.

La guardai in faccia, era diventata rossa in viso, mi scappò una risata, mentre lei scappò velocemente al piano superiore. 

Tornò qualche minuto dopo vestita più "elegantemente": Aveva un paio di jeans skinni neri, un paio di stivali con i tacchi anch'essi neri e una maglia totalmente bianca infilata nei pantaloni. Si era truccata leggermente, aveva rifatto lo chignon e si era messa un paio di occhiali rotondi neri fini. 

Si allacciò alla vita il piccolo grembiule verde scuro con la scritta bianca "City Rock Caffè", si sistemò gli occhiali e si posizionò dietro il bancone.

Mi avvicinai al bancone e mi sedetti su uno sgabello di fronte a lei: "Mi scusi per l'episodio di prima" disse imbarazzata lei.

"Si figuri", mi sorrise, aveva un bellissimo sorriso, "Cosa vuole?" aveva un accento strano, mi sembrava, ehm, russo.

"Un caffè, per favore.", "Solo caffè?", annuii e la osservai mentre preparava un caffè.

Mentre la tazza si riempiva del liquido nero che avevo ordinato, prese uno strofinaccio e lucidò il piano del bancone dove successivamente avrebbe poggiato la mia tazza. 

Buttò cautamente lo strofinaccio sulla sua spalla e prese l'ampia tazza gialla dove vi era il mio caffè, poggiò sul piano un piattino dove in seguito vi posò la tazza.

La vidi avvicinarsi ad un piccolo tavolino che non avevo notato, dove era poggiato un bel giradischi d'epoca, mise su "Un Americano a Parigi".

Tornò da me facendo piccoli passi di danza. "Gershwin di prima mattina migliora la giornata!" esclamò lei, mi scappò una risata.

"Spero di non averla svegliata, prima." mi scusai io, "Oh, non si preoccupi, anzi, ero sveglia, non ho chiuso occhio sta notte.", "A chi lo dice!" esclamai io, concordando con lei, "La prego, mi dia del tu." mi corresse lei, "Stessa cosa per te, sono Steve, comunque." mi presentai io prendendo la tazza in mano, "Elizabeth, ma puoi chiamarmi Beth."

Quando si presentò, una lampadina si accese nella mia testa, lei mi sembrava famigliare, troppo famigliare: i suoi capelli rossi, i suoi occhi verdi, il suo accento, il suo nome, era troppo famigliare, ma chi era?

Non lo sapevo, lo avrei scoperto solo dopo, quando si introdusse a forza nella nostra vita sconvolgendola del tutto.

"Steve, Hey, Steve, mi hai sentito?" Mi chiese lei ridendo e sventolando una mano davanti al mio viso risvegliandomi dai miei pensieri. "Ehm, no, cosa?"

Rise.

Che bella risata! Come lei d'altronde.

No, aspetta, Steve ma cosa vai pensando?!    

"Stavo dicendo, cosa ne pensa la tua felpa del caffè?"

Il caffè? Oddio, mi ero rovesciato il caffè sulla felpa! Che idiota!!!

Lei stava ridendo, e da lì a poco mi misi a ridere anch'io, ridemmo come due stupidi bambini.

La sua risata mischiata alla mia creava un contrasto bellissimo, una melodia perfetta.

(Scusate per eventuali errori.)

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