Capitolo 13

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Firenze, Italia, 2017

"Un caffè da portare via, grazie" mi chiese un cliente impegnato a parlare al telefono. Lo osservai mentre gli preparavo il caffè: era un uomo di trent'anni circa, con due grandi occhiaie sotto agli occhi, era vestito tutto in tiro e aveva una ventiquattr'ore in mano, era sicuramente un impiegato dei piani alti.

Come tutti quelli che si presentavano il lunedì mattina alla caffetteria. Beh, tutti tranne Steve. 

Steve Rogers. 

Non avevo idea di quale lavoro facesse o se ne facesse uno. Fatto sta che lui, ogni mattina, si trovava seduto al balcone alle 6 precise. Tranne quella mattina.

Lo aspettai per ore, ma lui non arrivò. Continuai a versare caffè, scaldare cornetti, cambiare vinili, insomma tutte cose noiose. 

E lo aspettavo. Lo aspettai per tutta la mattinata. Ma lui non arrivò, o così pensavo... 

Infatti, alle 16 in punto, le tre campanelle attaccate alla porta della caffetteria tintinnarono rivelando Steve e altre quattro persone.

"Steve!" esclamai buttando all'aria lo strofinaccio con cui stavo asciugando le tazze. Mi levai velocemente il grembiule verde petrolio e gli saltai al collo abbracciandolo forte. "Dio, ero in pensiero" gli sussurrai all'orecchio.

Mi strinse forte e sussurrò a sua volta, ridacchiando leggermente: "Tranquilla. Ora sono qui" 

"Ehm, Steve...?" disse a disagio un uomo che lo accompagnava. "Oh, ehm, sì, scusate" disse Rogers staccandosi imbarazzato.

Osservai gli accompagnatori di Steve, erano quattro: un uomo di colore, abbastanza alto, vestito in modo strano, con un filo di barba, una ragazza, di circa 16 anni, anch'essa di colore, con i capelli coronati da tante piccole trecce. Assomigliava parecchio all'uomo vestito in modo strano.

Poi c'era una donna sulla quarantina anche lei di colore, pelata, vestita in modo strano.

E poi c'era "James..." quel nome uscì automaticamente dalle mie labbra senza che me ne accorsi quando posai lo sguardo sull'ultimo uomo: aveva i capelli piuttosto lunghi, un filo di barba, quei suoi soliti occhi azzurri e il suo solito braccio in vibranio. Ed era bello.

Cazzo se era bello.

"Elizaveta..." uscì dalle sue labbra.

Ci guardammo per quello che mi parve un secolo.  Non era cambiato di una virgola. In un secondo mi passarono per la mente tutti i ricordi che avevo condiviso con lui. Tutti i pianti, tutte le cazzate...

"Non sei cambiata di una virgola. Sei bella come all'ora" disse lui, quasi sussurrando.

"Anche tu..." dissi a mia volta con un filo di voce.

Continuammo a guardarci. Proprio come all'ora: ci capimmo al volo da quelli sguardi. Non c'era bisogno di parlare. Infatti nessuno dei due disse niente. Nessuno dei due fece un passo avanti. Nessuno dei due ruppe quel contatto visivo.

Inconsciamente aspettavo da sempre il suo ritorno... anche quando mi dimenticai di lui... e quella era la prova.

Volevo piazzarmi difronte a lui e abbracciarlo forte.. ma fortunatamente qualcosa mi trattenne dal farlo.

"Q-quindi che ci fate qui?" chiesi a Steve, nel tentativo di reprimere il mio istinto di correre incontro a James.

"Beth.. è-è complicato" balbettò lui.

"Capisco... Volete, che so, sedervi? Qualcosa da bere?" chiesi cercando di essere gentile.

"No, grazie. Tutto apposto. Dobbiamo parlarti di un paio di cose. Ma non possiamo farlo qui" disse la donna pelata.

"Ehm ok, volete salire?" dissi indicando le scale che portavano al piano superiore: il mio bi-locale.

"Sarebbe perfetto" disse gentilmente l'uomo di colore.

"Ok, allora prego: salite" dissi facendogli strada verso il piano di sopra.

Il piano superiore era abbastanza simile a quello inferiore: vi era una piccola cucina nera con accanto una scritta sulla parete.

"Il rasoio fa male, il fiume è troppo basso, l'acido è bestiale, la droga dà il collasso, la corda si spezza, la pistola è proibita, il gas puzza, allora VIVA LA VITA!" lesse la ragazzina di colore. "Quanta voglia di vivere" commentò a bassa voce.

Poi c'era il piccolo divano letto e la parete che avevo decorato la mattina in cui conobbi Steve.

Mi girai verso James e con mio grande piacere notai che mi stava guardando. "Allora?" mi girai verso Steve.

"Allora..." 

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