Capitolo 5

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Parlarono del più e del meno, lei riuscì anche a chiedere il perché della sua mutazione, lui le rispose, alquanto imbarazzato: "La mia mutazione in origine comprendeva solo i, ehm, sì, i piedi." Ragazzi, che sforzo che aveva fatto Beth per non ridere, "Con una sorta di siero, che doveva isolare le cellule (?), per far tornare i miei piedi normali, solo che il siero non ha funzionato e in poche parole, sono diventato diventato un gorilla gigante blu." Disse sorridendo.

Hank era un ragazzo simpatico, era molto timido, bastava solo farlo sentire a suo agio, era un tipo veramente intelligente. Cavolo se lo era! Era speciale, quasi diverso. Ma diverso in senso positivo.

Era un tipo chiuso e riservato, eppure bastava un solo e semplice bottone metaforico per sbloccarlo.

L'aereo era atterrato a Parigi, appena Elizabeth mise un piede fuori, chiuse gli occhi e prese una bella boccata d'aria come non faceva da anni.

Erano passati più di quindici anni da quando, all'età di 10 anni, manifestò per la prima volta la sua mutazione, ma, purtroppo, la cosa non passò per niente inosservata, poiché, a conseguenza della manifestazione, ferì gravemente dei ragazzi.

Dopo quelli eventi, degli agenti si presentarono a casa sua, come aveva ricordato nel sogno.

Quei soldati, quei maledetti soldati, spoiler, non erano soldati del KGB, no, erano degli stranieri in terra straniera, erano degli alieni se così si può dire.

Ancora oggi lei non aveva capito il perché, né il come, ma si ricordava il dolore, quel dolore straziante, l'avevano fatta stendere su una barella di una sorta d'ospedale, bloccandole polsi e gambe, e qualunque cosa avrebbe potuto inferire con l'operazione.

Le avevano iniettato una sorta di siero, di cui l'origine era sconosciuta per Beth, non lo sapeva e non lo voleva sapere, le bastava il ricordo del dolore, quel dolore lancinante che le pervadeva le braccia, e si andava a estendere nella testa, le voci si fecero più forti, voci di paura, di dolore, di felicità, di inquietudine.

Voleva scappare.

Voleva urlare.

Ma non ci riusciva.

Non riusciva a muoversi, non riusciva ad urlare, era anestetizzata, ma riusciva comunque a percepire il dolore.

Si svegliò ore dopo, con le mani fasciate, degli anelli e un biglietto accanto, dove spiegavano il potere, la forza, la distruzione, la creazione, tutto schioccando le dita.

Fortunatamente le avevano dato gli anelli, era un potere troppo forte, lei era forte, ma la mutazione lo era di più, e gli anelli, 2 semplici anelli, riuscivano a bloccare tutto.

Ci pensate? Dei semplici oggetti.

"Pronta?"

Le chiese Logan poggiando una mano sulla sua spalla, distogliendola dai suoi pensieri.

"Sempre."

Gli rispose fredda togliendo lo sguardo dalla grande città che si estendeva sotto di lei e raggiungendo gli occhi di Logan.

Si sentiva piccola in confronto a lui.

Era un uomo esageratamente alto, che in confronto a lei era una montagna.

Si sentiva piccola e indifesa davanti ai suoi occhi, eppure non riusciva a smettere di guardarli.

"Bene"

Disse sorridendole.

Lei sorrise.

Era la prima volta che sorrideva al di fuori di persone come James.

Logan distolse lo sguardo iniziando a camminare con lei affianco.

"Hai un bel sorriso." Disse non guardandola.

"Grazie" rispose lei timidamente.

"Peccato che non sorridi mai."

Disse spostando lo sguardo su di lei.

"Non c'è mai una vera ragione per sorridere."

Rispose Elizabeth non distogliendo lo sguardo dalla strada.

(Scusate per eventuali errori.)

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