Ahren

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Ad un tratto la posata che avevo appoggiato sul piatto iniziò a traballare, come se si fosse animata ed avesse iniziato a danzare. Capii dopo qualche secondo che il motivo di quel movimento erano gli zoccoli di un cavallo, che oltre a far tremare il terreno producevano un suono secco e ripetitivo. Esausta, mi affacciai alla finestra e intravidi un imponente cavallo nero, che si fermò sulla piazzetta non distante dal mio davanzale. Il destriero che ansimava per la fatica e il manto sudato indicavano che lui e il suo cavaliere dovevabo aver fatto molta strada. L'uomo scese e, stremato, cadde al suolo. La sua armatura scintillava alla luce della luna. Mi affrettai alla porta e, uscita, mi accertai che non fosse morto appoggiando la testa sul suo petto e tastandogli il polso sinistro, dopodiché mi misi a chiamare aiuto. Immediatamente arrivò Terdas, il capovillaggio, da sinistra, seguito dai miei, dalle mie spalle, che videro la situazione e iniziarono a correre, con le torce che sprigionavano un fumo nero nell'aria strette tra le mani.
"Ahren, amico mio". Parlò talmente piano da rendere le sue parole impercettibili, ma le sentii comunque; corse verso la casa del dottore, che subito lo issò sulle sue spalle e lo portò all'interno della sua abitazione. Da quello che sentii, l'uomo aveva riportato delle ferite, probabilmente a causa di un attacco subìto durante il viaggio.
Quando chiesi cosa stesse succedendo, tutti smisero di conversare e mi guardarono ammutoliti. Quando rivolsi la stessa domanda a mia madre, mi rimandò a letto, ma non mi addormentai subito, pensando agli eventi della giornata e in particolare all'arrivo di quel forestiero, evidentemente in confidenza con Terdas. Scivolai in un sonno vigile e molto leggero. A poco a poco, la gente che si era ammassata fuori a causa di quell'avvenimento tornò alle proprie abitazioni, facendo ritornare nuovamente la tranquillità.

"Svegliati, io e tua madre dobbiamo parlarti."
Fu mio padre a parlare. Sollevai la testa e vidi il suo viso, segnato dalle occhiaie, stanco e provato da qualcosa, della quale evidentemente non ero a conoscenza.
Preoccupata, uscii dalla mia stanza e trovai mia madre seduta a tavola e il suo coniuge che si accingeva a fare lo stesso. Mi invitarono a prendere posto sulla sedia di fronte a loro.
"Tesoro, ieri quell'uomo non è venuto qui per caso. Ci ha ricordato una cosa che accadde prima ancora che tu nascessi: un'anziana del villaggio predisse che un giorno tu saresti dovuta partire con un lui, per impedire che ti potessero fare del male."
Il profumo del pane appena sfornato aleggiava nell'aria, mentre mia madre iniziò a parlare.
"Chi?" chiesi istintivamente.
"Lo capirai con il tempo" fu la risposta di mio padre. "Appena Ahren si sarà ripreso partirai con lui. Terdas se ne fida ciecamente, e noi non dobbiamo essere da meno."
Chi avrebbe voluto attentare alla mia vita e perché? Scossa da ciò che avevo sentito, capii che i miei ora avevano bisogno di tutta la mia forza, ma non potei fare a meno di continuare a fare domande, anche se mio padre rispondeva sempre con un "Non è essenziale che tu lo sappia." Essenziale no, ma importante sì, pensai.
La colazione era costituita da prosciutto e pane, ma inizialmente non toccai nulla, bisognosa di risposte. Il torpore e il profumo del salume però ebbero la meglio su di me e iniziai a mangiare di gusto senza rendermene conto.

Evidentemente la notizia della mia partenza si era diffusa perché la giornata trascorse tra le visite di amici e conoscenti. Alcuni portavano semplicemente i loro saluti, altri invece oggetti di tutti i tipi. Il più apprezzato però fu quello di Ander, che mi donò una spettacolare armatura forgiata con le sue mani e con il Fasdatr, il metallo più resistente della zona, che era possibile trovare in natura solo nei pressi di Shavan e riconoscibile dal colore nero e dalla superficie, costellata di punte, utili per difendersi. Su questa vi erano degli ornamenti di ferro, che la rendevano spettacolare.
"Che questa armatura possa difenderti e proteggerti durante il tuo cammino, Ireya." Lo ringraziammo di cuore, né io né i miei genitori sapevamo come sdebitarci.
A cena mia madre servì un tacchino arrosto con patate. Tutti però la consumammo in silenzio, tranne che per qualche frase del tipo: "Mi passi una forchetta?" o "Posso la brocca d'acqua?".
Il resto del pasto trascorse tra i suoi singhiozzi e le frasi di mio padre, che invano cercavano di rassicurarla.
Senza dire nulla andai a letto, ma non riuscii a prendere sonno. Mi affacciai alla finestra e ammirai il paesaggio notturno, sperando di alleviare le mie preoccupazioni e tranquillizzandomi grazie al gracidare delle rane nel fossato dietro la nostra abitazione, che trovavo particolarmente rilassante.
La mattina dopo, quando mia madre venne a chiamarmi, io ero già in piedi. Fissavo il vuoto, senza un particolare motivo. Questa visione parve turbarla, infatti si rabbuiò e andò via, cercando di scostare con le mani le lacrime.
Uscii senza fare colazione, montai in groppa all'asino di mio padre e partii al galoppo. Il vento mi sferzava il viso e tramutò i miei capelli in fruste che mi ferirono diverse volte la faccia. Le nuvole scure a sud davano il preavviso di una tempesta, nonostante questo ignorai le piccole gocce di pioggia che iniziavano a cadere e che si mescolavano alle lacrime sul mio volto. Perché le cose devono andare così? Pensai, smarrita al pensiero di dover ricominciare la mia esistenza daccapo, in luoghi che non conoscevo, lontani da casa. Casa.
Quando mi resi conto di stare per perdere tutto ciò di certo che avevo nella mia vita, capii l'importanza della monotonia delle mie giornate, certo noiose, ma pur sempre al sicuro e con la mia famiglia.
Quando la pioggia si fece insopportabile e l'asino diede segni di stanchezza, decisi di fare ritorno.
Prima però volli passare davanti all'abitazione del medico e lo intravidi discutere con lo straniero. Mi avvicinai per udire la loro conversazione e sentii che parlavano del fatto che Ahren volesse che partissimo al più presto, poiché il pericolo era imminente. Non riuscii però a capire di quale pericolo parlassero, così proseguii verso la strada che portava a destinazione.
Entrai dalla porta principale e vidi mia madre corrermi in contro, abbracciandomi.
"Ahren ci ha avvisati che non si è ancora ripreso completamente, ma che potrai partire domani." Disse, ostentando falsa sicurezza e cercando di trattenere le lacrime, che però iniziarono a scendere copiose sul suo viso provato e sporco di farina.
Mi resi conto solo allora che fosse sera e di non aver pranzato, così mi sedetti immediatamente a tavola. Quella sera mangiammo tacchino con patate. Evidentemente lo aveva cacciato mio padre, ma preferii non chiedere. Ad un certo punto si alzò, sbattendo le posate sulla tavola e facendo tremare il tavolo che, a sua volta, fece rovesciare un bicchiere d'acqua. Finché mi apprestavo ad asciugare con uno straccio fornitomi da mia madre, dal volto di suo marito si fecero intravedere delle gocce, che ricacciò immediatamente indietro, facendole seguire da un colpo di tosse improvvisato e giustificandolo poi con un: "Mi è andato di traverso un pezzo di carne."
Lo abbracciai e lui ricambiò.
Mi voltai per sedermi e il mio sguardo si posò sulla candela che mia madre teneva accesa in ricordo di Agrova, la figlia maggiore scomparsa nei boschi molto tempo prima. Non l'avevo mai conosciuta ma, dai suoi racconti, era forte e bella, simile esteticamente a me. Anche lei aveva ricevuto una profezia da parte di Cadel, ovvero quella della sua scomparsa. Da quello che sapevo le ricerche erano andate avanti per due anni interi, ma non avevano fruttano nessun indizio sulla sua sorte.
A cena finita, salutai i miei e mi diressi verso la mia stanza, tenendo stretta tra le dita la pietra ricevuta in dono da Ander poco tempo prima. I miei passi sul pavimento di legno producevano uno scricchiolio fastidioso. Ad un tratto mi fermai e dissi, rivolta a mio padre: "Hai ancora il vecchio arco che usavi per la caccia?"
"Si, dovrei, in cantina. Domani lo avrai" disse affettuosamente.
Mi stesi sul letto e mi addormentai, ascoltando il rumore della pioggia che batteva sul vetro.
Mi svegliò il canto degli usignoli, seguito dalla voce di mia madre che mi diede il buongiorno.
"Ahren è fuori" mormorò, quasi volesse non aver mai detto quella frase.
Feci colazione con i rimasugli della sera prima, addentando distrattamente le patate, mi alzai e presi la bisaccia preparata dai miei, contenente molte monete d'oro, pane e salumi. A fianco vi era appoggiato l'arco richiesto il giorno prima e una faretra, nuova di zecca.
"Grazie di tutto" mormorai, anche se i miei mi stavano aspettando fuori e non potevano sentirmi.
Mi avviai all'uscita e assaporai il calore e il profumo di pane di casa mia.
Montai sopra il destriero che mi era stato destinato, un meraviglioso pezzato bianco e nero.
"Lui è Nexor" disse Ahren. "Ciao Ireya."
Io sorrisi e lui mi porse un pugnale, che infilai nel fodero e attaccai alla cintura.
"Grazie" dissi semplicemente.
"Ci servirà."
"Ireya" chiamò mio padre. "Ti voglio bene."
"Anche io" dissi, mentre partivamo al galoppo tra i boschi, verso Nord. Nell'aria le fronde dei pini ondeggiavano e il rumore prodotto dal becco dei picchi sul legno d'abete risuonava ovunque.

L'Occhio Delle Dinastie ©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora