Deamons

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Il rumore delle catene con cui mi ha appesa riecheggiano nelle mie orecchie. Le spalle bruciano e il dolore è così forte che sembra mi si stiano staccando dal corpo. Cercai di contenere il dolore il più possibile, non volevo dargli la soddisfazione. Non volevo ridurmi a pregarlo di smettere, non lo avrebbe fatto in ogni caso.

Le mie gambe tremavano e il buio si chiudeva su di me, soffocando ogni spiraglio di luce. Il dolore mi impediva di vedere cosa avevo davanti ma potevo sperare soltanto che tutto ciò finisse al più presto.

Attorno ai miei polsi le cinture scricchiolavano mentre mi dimenavo, scalciavo, graffiavo febbrilmente il cuoio fino a spezzarle, fino a spezzarmi.

Gli occhi bruciarono di lacrime e il mio corpo si contorse in cerca di sollievo ma sapevo che sarebbe stato solo peggio.
-Ti ho detto di stare ferma.- La sua voce calma, per così dire mi provocò un brivido di disgusto, ma non riuscii a smettere di muovermi o di tremare.
Le unghie raschiavano e si spaccavano nella disperazione di riuscire a liberarmi.
Lo sentii muoversi con passi lenti e languidi, assaporava ogni singolo istante e ogni singolo centimetro delle mie nudità esposte con nessun riguardo alla decenza. Voleva punirmi, provava piacere nella mia disperazione.
Uscì dalla stanza tornando con il frustino del cavallo.

Chiusi gli occi e aspettai i colpi, me li meritavo? Probabile. Mi feci travolgere dalla stanchezza.

Sapevo perfettamente ciò che sarebbe successo dopo le frustate, e non volevo essere cosciente.

La sua mania di punirmi per le cose più semplici divenne man mano più perversa, più mi faceva soffrire più provava piacere.

-Conta.- disse, la voce contaminata dal suo piacere sporco. Boccheggiai preda della nausea, un conato mi fece contorcere ma non vomitai nulla, non c'era nulla da vomitare non mi faceva mangiare da giorni.
Il primo colpo fu come sempre il peggiore, trattenni un urlo quando la frusta aprì uno squarcio sulla mia pelle martoriata.
-Ho detto, conta!- tuonò.

Mi svegliai di soprassalto madida di sudore e affannata quasi non mi fossi nutrita da secoli.
I vampiri non si affannano a meno che non siano al limite del digiuno, che cosa stava succedendo?

Il panico mi seguiva come un'ombra ma mi tranquillizzai quando non vidi il grigio soffitto pieno di crepe della vecchia cantina dei miei incubi.

Mossi i polsi e le caviglie trovandoli doloranti e intorpiditi.
Poi lo sentii.. quell'odore.
Il suo odore. L'odore del sergente mi avvolgeva completamente diventando man mano più mio che suo.

Mi guardai attorno ed ero nella mia stanza sotto le coperte calde e morbide del letto che credevo di odiare.

Non ero incatenata al soffitto non c'erano catene o maglie metalliche ad immobilizzarmi, ero libera... libera .

Ma di fare cosa?

No non sarei mai stata libera da lui ne tantomeno dai miei incubi.

Non importava quanti anni, secoli o millenni fossero passati, io sarei sempre stata quella bambina fragile.

Io lo sapevo... lo sapevo che non dovevo mai parlarne. Ma c'erano volte in cui la luce trapelava persino tra le mura della mia prigione e c'erano volte in cui tacere sembrava una pena peggiore dell'inferno.

Tutte le volte che osavo guardarlo negli occhi mi sembrava di sprofondare nelle voragini delle sue pupille, c'erano voglie che nessuna bambina avrebbe mai dovuto soddisfare, c'erano catene e sangue, lividi e fruste.

Quando provavo a scappare lui sapeva sempre dove trovarmi, non c'era luogo in cui sarei stata al sicuro da lui. E io sentivo il cuore sdrucciolare in una discesa che ben conoscevo, le catene a trattenermi, a stritolarmi e allora sprofondavo dall'altra parte

Fairytale: The venom's oathDove le storie prendono vita. Scoprilo ora