Nathan.

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Sesto

<Dodici anni fa>

I casi sono due: o Zeke sta mentendo, dopo aver reso eccessivo il suo lato estroverso, o non è normale. Tutti sono migliori di me, tutti hanno una meta da raggiungere, qualche dote da esibire, qualche passione da estremizzare. Addirittura Tim e il suo compagno di banco, che avevano soltanto saputo ridere di fronte alla mia presentazione tortuosa, possiedono delle capacità che li caratterizzano. Io non possiedo nulla, se non una "schifosa autostima." Come può Zeke starmi dietro, nella lista? Come può lui, così fiero, portato, propositivo, credere di non poter competere con la mia classicità, la mia emarginazione? Essere da meno lo qualificherebbe senza dubbio come personaggio di poco conto, altamente spregevole e nauseante. Non apprezzo nessuna delle due ipotesi, non apprezzo il suo atteggiamento. Non è nelle condizioni di proferire una frase del genere semplicemente perché a) non ha idea di chi sia il vero Nate, b) non si rende conto del paragone assurdo e c) non merito complimenti.

― Lo ammetto ― aggiunge, a un tratto, alzando le braccia in segno di resa. ― Per un attimo ho dubitato di te. Ho avuto paura che fossi uno stronzo sul serio.

La sua frase lascia intendere che qualcuno gli abbia riferito una diffamazione nei miei riguardi ed è per questo che domando: ― Chi ti ha suggerito che sono uno stronzo? ―, fregandomene del fatto che lui, almeno all'apparenza, non mi abbia ritenuto tale e non riflettendo abbastanza bene per rammentare che, in verità, quel nomignolo viaggia di pari passo col comportamento esattamente da stronzo che avevo assunto in sua presenza.

― Jonas è rimasto offeso dall'accaduto, a differenza tua.

Non posso dargli torto, ma rimango basito davanti alle sue intenzioni. Immaginavo che il fratello non mi considerasse l'esempio lampante d'insegnamento e devozione dovuti, tuttavia poco fa Zachary aveva annunciato che non gli sarebbe importato il suo consenso. Non ha avuto bisogno del permesso di Jonas per parlarmi; ha compreso il motivo della mia impulsività e l'ha accettato. Perché, adesso, mi sta giudicando? Perché sembra volermi del male? Inspiro varie volte mentre la mano dell'angoscia mi serra la gola, bloccandomi il fiato. Ecco il momento tanto inatteso in cui, come tutti gli altri, mi abbandonerà, additandomi, prendendosi gioco di me. E credere che, per un momento, avevo pensato potesse funzionare. Ghigno, mascherando lo sconforto. ― Sarò pure uno stronzo, ma tu hai detto di essere peggiore. Wow, Zeke, che ottima presentazione ― sottolineo retoricamente, frustrato dalla piega con cui la conversazione sta per concludersi.

― Cosa? ― Sembra accigliato e disorientato dall'insinuazione, rivelatrice della mia natura da bastardo. Forse ci sarà sempre qualcosa di sbagliato in quello che eseguo con la massima cura, qualcuno che riuscirà a trovare un secondo risultato capace di smentire perfino l'operazione più convincente. Forse dovrei andarmene e non considerarlo più, nemmeno se diventasse amico di Isabella. Probabilmente per entrambi sarebbe la soluzione migliore, quella che ferirebbe il minor numero di persone possibili. Io, non ne rimarrei ferito. Le sue iridi si oscurano di colpo quando le sgrana, captando ciò che avevo intenzione di sibilargli appositamente, proprio come con Jonas. ― Dio, Nathan, no ― balbetta, arrossendo. ― Non penso affatto che tu sia uno stronzo, sennò non sarei qui a parlarti.

Mi prendo il permesso di fissarlo dritto nelle pupille e non cedo alle sue rapide scuse. ― E io non penso affatto che frequentarmi sia una buona idea. Quindi vattene.

Quando pronuncio l'ultima parola con risolutezza, la sua mascella si irrigidisce e il corpo si tende, immobilizzato da una forza esteriore. Pare in procinto di piangere. ― Non è vero ― sussurra, un'espressione abbattuta in volto. ― Ti poss...

― Non c'è problema, me ne vado io ― lo interrompo, ordinandomi di non provare compassione nei confronti della sua incoerenza e muovo un piede per sorpassarlo e dirigermi verso la fermata dell'autobus.

Zeke mi afferra il gomito, facendo sbilanciare il mio equilibrio. La sua presa salda mi sbalordisce. Stringe il mio braccio come a farmi notare che gli appartengo e che non è disposto a lasciarmi andare, se non alle sue condizioni. Come a farmi notare che la sua volontà a conquistarmi è più potente di qualunque rifiuto. ― Vorrei assomigliarti ― confessa, rianimandosi.

Rido di gusto, arricciando il naso. ― Oh, fidati, non lo vorresti.

― Come fai? ― m'interroga, obbligandomi a non voltargli le spalle. Ho avuto la possibilità di corrergli lontano, ma sono stato troppo lento, così mi giro, dandomi del debole per non esser stato in grado di sfuggirgli in tempo. Ho indugiato, e ne sto per pagare le conseguenze.

― A cosa ti riferisci? ― Mi rendo conto che non sarà facile sbarazzarmi di Zachary nell'attimo in cui mi accorgo di aver quasi sperato con tutto me stesso che mi fermasse per chiedere chiarimenti, che non pensasse davvero di avere a che fare con uno stronzo. Non voglio che abbia la considerazione che io ho di me stesso.

― Sembri padrone della situazione, eppure dentro fatichi a domare le emozioni. I demoni del passato sbucano fuori per allontanarti da ciò che chiami felicità. A te sta bene, tu vuoi questo: addolorarti, restare solo, e mi chiedo come fai ad accontentarti di così poco e non rimanerne insoddisfatto.

― Non lo so, dimmelo tu dato che mi conosci tanto bene ― lo provoco, nervoso.

― Okay ― accetta la sfida con un sospiro, avvicinandosi fino a scontrare il suo petto col mio. È minaccioso e se non fossi certo della mia incolumità, sarei corso a chiamare aiuto, rassegnato già in partenza all'idea di riceverlo. Non smetto mai d'implorare la gente di soccorrermi e, del resto, la gente non smette mai di deludere le mie aspettative. Quasi inizio a desiderare che m'ignori nonostante le grida sfuggenti della mia bocca. Schiude le labbra per rafforzare un concetto, ma si arresta bruscamente, facendo una smorfia. ― Non ne ho la più pallida idea. A questo punto devi essere bravo ovunque, se riesci in un'impresa simile ― constata. ― Vorrei esserne capace anch'io.

Rido ancora, perché questa è la risposta che mi aspettavo. ― Te lo ribadisco: siamo diversi.

― Significa che avrò tanto da imparare.

Smetto di sghignazzare all'istante. Fra tutto ciò che avrebbe potuto replicare, ancora Zeke non si lascia sorprendere e sorprende.

― Come mai non ridi, ora? ― Solleva un sopracciglio, ripagandomi con la stessa moneta.

Lo osservo storto, lanciandogli un'occhiataccia. Ma come fa lui a saper gestire il Nate lunatico e arrabbiato col mondo? Come fa a non accorgersi che dovrei essere io quello a fare domande e non il contrario? Mi tende una mano, la sua posa si rilassa, e nell'istante in cui capisce che non mi sposterò per toccarlo, intreccia le sue dita magrissime alle mie. Muove su e giù i nostri arti a contatto e deglutisco in impaccio. Non ho il coraggio di slegarli, d'interrompere la magia. Anche il mio cuore fa su e giù e pompa sangue più del necessario.

― Mi chiamo Zachary Whyett ― si presenta di nuovo, smentendo il mio sarcasmo con un sorriso smagliante, per nulla abbattuto dalla mia reazione sconcertata. ― E non sono un prepotente.

[Angolo playlist: Strange, Tokio Hotel & Kerli.]

Anima d'acciaioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora