Secondo
<Dodici anni fa>
L'autobus è in ritardo di quattro minuti.
Continuo a guardare l'orologio, picchiettando il piede per terra a un ritmo sempre più accelerato. Una signora, a mano di una bambina, mi scruta con occhio critico mentre si accomoda alla fermata dall'altra parte della strada. Quando persino sua figlia mi fa una linguaccia, divertita dalla mia reazione costernata, inizio a sentirmi a disagio. Ho il terrore che, a primo impatto, possano trasparire soltanto i miei difetti peggiori e che la gente, perfida e distruttiva, mi umili per questo. La peste di a malapena sei anni sta confermando le mie teorie, che a quanto pare risultano più veritiere di quanto la mia famiglia potrebbe mai ammettere. Dicono che è stupido crearsi paure inutili, ma il mio cuore galoppa e la bambina continua a deridermi senza alcun apparente motivo. Non esistono paure inutili, piuttosto di irrazionali, e le mie sono tutto fuorché fuori luogo. Mi vergognerei a intrattenere qualsiasi tipo di discorso con qualsiasi tipo di persona. Isabella si era preoccupata fossi autistico, ma per fortuna la situazione che ogni giorno affronto dipende da una mia scelta, ovvero quella di non avere niente a che fare con qualcuno che potrebbe infastidirmi. E, a priori, tutte le persone m'infastidiscono.
― Scusami, sai per caso che ore sono? ― Anche la voce di questo ragazzino impertinente m'irrita. O forse detesto più il mio modo di considerare la gente, che fatico a cambiare seppur sforzandomi. Una cascata di boccoli biondi lunghi fino alle orecchie e occhi di un azzurro luccicante m'impongono di rispondere. Il suo sguardo è curioso e allegro, l'unico che, a primo impatto, non è giunto a nessuna valutazione affrettata. Evita di soffermarsi sulle mie iridi troppo verdi, sulle mie dita troppo sottili, sulle mie lentiggini troppo numerose, e sfoggia un'espressione sfrontata, pronta per passare in rassegna ciò che gli manca da fare nella sua consueta routine quotidiana.
― Le 06:59 ― replico sottovoce. Siamo soli alla fermata e non faccio più caso alla bambina al di là del marciapiede che fa le linguacce. Chissà se avrebbe il coraggio di disturbare questo maschio, un Apollo circondato dai raggi solari.
Mi sorride e sospira, un sospiro paziente, che mi ricorda la condiscendenza di Isabella tutte le volte in cui rifiuto di partecipare alle uscite con le sue amichette. ― Ti ringrazio. ― Nessuno mi aveva mai ringraziato per una questione tanto futile, così ricambio con un lieve cenno del capo.
Rimango in silenzio quando sento le guance imporporarsi. Spero non se ne accorga o mi considererebbe una preda succulente: i bambini gentili sono sempre quelli più facilmente raggirabili e non sono qui per farmi prendere in giro. Anche se... mi sono davvero appena definito "gentile"? Le sue occhiate eloquenti mi mettono in soggezione e non amo quest'approccio spontaneo. Pure lui tace in piedi, non mi si siede accanto nella panchina. Sono sollevato. Non sembra un cattivo ragazzo, ma sono abituato ad abbassare la guardia e mi sono ripromesso di stare più attento con l'inizio della scuola. Il suo zaino sembra pesante e la divisa simile alla mia. ― Oggi sarà una giornata difficile ― borbotta, come a rompere il ghiaccio. Assento, l'aria vaga, disegnando dei cerchi con la punta della scarpa sul cemento. È strano che stia provando ad avviare una conversazione e che il primo argomento non sia il mio aspetto, ma la stanchezza di quello che ci attende. ― Le medie non saranno una passeggiata. Mio fratello sostiene che lì è pieno di grandi che vogliono soggiogare gli altri ― prosegue, guardando altrove. ― Pensi sia vero? ― Squadra il palo della luce, però non trova nulla d'interessante, se non della ruggine e qualche goccia di pioggia sopravvissuta dopo la tempesta di stanotte. Vorrei annuire, ma non credo di sapere come si faccia senza risultare timoroso, quindi mi limito a perdermi nei miei pensieri che, immancabilmente, sono popolati dai libri. ― Secondo me lo ha raccontato solo per spaventarci. E comunque, se fossi un po' più robusto, gliela farei vedere io a quei prepotenti che confondono il diritto di libertà col fare azioni disgustosamente sbagliate.
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Anima d'acciaio
Любовные романыDesidero strapparmi i capelli, urlare a squarciagola, prendere a pugni un muro qualsiasi, sparare alla prima persona che, per strada, osi etichettarmi di nuovo. ― È stato Zeke a baciarmi ― vorrei sibilare a quelle facce sconvolte. ― Credo di amarlo...