Nathan.

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Nono

<Dodici anni fa>

È nel corridoio.

Una foto grande come il palmo della mia mano sopra un mobiletto in legno, laccato di bianco. Ai suoi lati ci sono le porte socchiuse delle stanze da letto e quel dettaglio, così insignificantemente insolito posto a metà strada, ha catturato la mia attenzione. È una foto bellissima e sono contento di essermene accorto in tempo. Adesso che mi sono chinato per esplorarne i contorni, i volti, gli ambienti che la definiscono, mi sento sollevato: non avrei voluto perdermela per nessun motivo al mondo. Zeke sembra imbarazzato al mio fianco, probabilmente dalla mia posizione accovacciata. Non mi piace metterlo a disagio, ma non posso fare a meno di replicare: ― Questi sono i tuoi genitori da giovani?

Le sue fossette si scorgono a malapena quando annuisce. ― Ai tempi del liceo. Mamma era nuova in quella scuola e papà puntò subito il mirino ― spiega, forse divertito dal carattere dell'uomo. È interessante che sappia la storia d'amore delle persone che lo hanno creato, conformato, cresciuto. Io non so nemmeno se i miei si siano sposati, figuriamoci la circostanza del loro primo incontro.

― Fu amore a prima vista? ― Di fronte al diciassettenne dal sorriso smagliante e alla studentessa dalla gonna corta, con un ciuffo sbarazzino a coprirle la fronte, appare ridicola la mia domanda. È matematicamente impossibile che un qualsiasi ragazzo non si sia innamorato di quel viso angelico e seduttore che tuttora non ha perso bellezza. Corinne non lasciava spazio alla fantasia neanche da giovane. Distolgo la visuale dalla felicità impressa in quello scatto, come se potessi provarla, tastarla sulla pelle, captarne lo scopo, soltanto per posarla su quella del mio amico che, con iridi perse, mi sta osservando.

― Il nome di papà era famoso a scuola, e non per belle cose. Sia lui che suo fratello erano irascibili, stravaganti e presuntuosi. La loro fu una sfida e mamma riuscì a vincerla.

― In che modo?

― Cambiandolo. ― Zeke trae un respiro impercettibile, si sta sforzando di chiacchierare. ― Lo trasformò in un ragazzo fiducioso, ambizioso. In una persona migliore.

Mi aspetto che mi guardi negli occhi quando parla, però sembra essere troppo preso a studiare il mio naso, o qualcosa di sottostante, come il mento o le labbra, così mormoro un riduttivo: ― Wow ―, ritornando a scrutare la cornice e ciò che vi si cela dentro. Resto in silenzio e Zeke rispetta la mia scelta. I capelli rossicci del ragazzo in contrasto a quelli bruni della donna sono una linea d'orizzonte nel cielo nuvoloso d'inverno e le loro figure slanciate risultano assomigliarsi in modo così differente e allo stesso tempo così simile, che mi ritrovo a pregare Dio, nell'aldilà, di farmi trovare una persona proprio come Corinne, pronta a far fuoriuscire la mia vivacità repressa e non demordere. Pronta a credere nelle mie capacità, a sostenermi, a farmi suo. Possibile che a ognuno di noi spetti un'anima gemella come a una carezza spetta un abbraccio? Possibile che Cupido possegga abbastanza frecce per offrire contentezza e amore a qualunque essere umano? E le sue frecce sono in grado d'infilzarsi nelle anime dell'acciaio più resistente?

― Come si chiama? ― lo interrogo, pizzicandomi i polsi.

― Alexander ― risponde, grattandosi la nuca. Zeke è insolitamente poco carismatico e il suo modo di fare, in questo momento, sembra un invito a farmi zittire. Che abbia brutti rapporti col padre?

― Come? ― Sgrano le palpebre, cercando di trattenere una risata.

― Alexander ― ripete, in tono piatto. Le sue iridi nocciola sono spente, vuote e ricordano le mie. Prende in mano la fotografia, tentando di sottrarla al mio fare investigativo.

― Ma è fantastico! ― esclamo, non facendo presa. ― Ci credi? Anche mio padre si chiama Aleksandr. Okay, il suo è di origini russe, ma è comunque lo stesso. Potremmo farli incontrare... insomma, sì, penso che sarebbe bello. Le nostre famiglie insieme, dico. A condividere la tavolata. Loro che si scambiano opinioni sull'economia, sui telegiornali, e poi lui ama il football e il tuo ha un'aria tanto simpatica! Potremmo fare un sacco di...

― Nate ― mi arresta bruscamente. La sua espressione ferita, le guance bordeaux e la chioma scompigliata mi fanno comprendere d'aver detto qualcosa di sbagliato. ― Io e mio padre non parliamo più ― ammette, provando a rimanere impassibile.

Qualcosa, nella sua voce tremante, mi spaventa. ― Sai, pure a me è capitato. Il mio, di Aleksandr, è un personaggio risoluto, che discussioni abbiamo avuto in questi anni! A volte ho creduto perfino che fosse un mostro... eppure fa piccoli sacrifici per il mio bene e ho capito che litigare è umano. Perdonare lo è. Magari farete la pace e a quel punto...

Zeke scuote il capo, mandando in frantumi i miei progetti. ― Non è come la discussione accaduta con Jonas. L-lui...

― Sono certo che si può risolvere! Mettere il broncio a qualcuno è orribile. Pensa a quante cose verrebbero dimenticate. Parlare è una delle fortune...

― Non posso, Nathan. ― È risoluto e questo mi addolora. E se, la prossima volta, succederà che saremo noi due a bisticciare, m'ignorerà lasciando il rapporto al caso?

― Perché mi hai chiamato per intero? ― sussulto, agitato. Mi fa paura questo suo lato ombroso, misterioso, quasi avvilente. Lui è la carica d'adrenalina che ridà energia alla stanchezza, come può abbassarsi ai livelli di chi non ha voglia di lottare? Lui, fiero e costruttivo, come può non trovare la forza per scazzottare i brutti ricordi, le esperienze traumatiche passate?

Zachary deve notare la mia diffidenza, perché ha le pupille lucide. ― Per favore, ― bisbiglia ― non obbligarmi a dirtelo.

― Dirmi cosa? ― Stringe l'oggetto fra le mani con forza, come se volesse calciarlo lontano. Non voglio che Zeke sia cupo, perché la nuvola grigia che gli fa piovere in testa ora mi sovrasta. E che senso ha inseguire la stretta di una mano se quelle dita lunghe e affusolate non trasmettono calore, ma freddo agghiacciante?

― Ti supplico ― sussurra, rendendomi confuso più che mai. ― Se mi guardi così, io... io n-non resisto.

Non so quale sguardo devo aver assunto, ma riconosco la sfiducia premere contro il petto e l'umiliazione ribollirmi nelle vene. Sono in silenzio. Vorrei strillare dalla frustrazione, tuttavia Zeke mi ha appena supplicato e non riesco a fargli un torto. Essere disorientati è una sensazione snervante e irritanti, inoltre, sono quelle voci nella testa che m'indicano vie completamente opposte: la prima, d'insistere; o la seconda, di fingere. Opto per la furbizia e terza via istintiva. Lo fisso, respirando piano. Rimanendo immobile. Spero solo d'aver cambiato sguardo, affinché Zeke non si senta obbligato a sputare il rospo. Sulla sua pelle si stanno formando delle chiazze rosse e le nocche non smettono di scricchiolare fra loro, esibendo rumori assordanti. ― Arthur era mio zio ― comincia, dondolandosi sul posto in agonia. ― Lui e Alexander erano molto legati. Come me e Jonas. ― Vorrei tappargli la bocca, o baciargli la fronte per infondere coraggio, ma mi blocco, alla ricerca della serenità mentale. Mi tortura esaminarlo in questo stato. Perché il mio sguardo ha quest'effetto su di lui e gli sta provocando una tale sofferenza?

― Ricordo che adoravo Arthur, perché ci regalava le pistole d'acqua e giocava sempre con noi.

Perché parla dello zio al passato? Che il destino tragico si colleghi direttamente al bisticcio col padre?

― Poi, un giorno, mamma ci ha detto che era morto e che papà se n'era andato per i fatti suoi per un po'. Aveva bisogno di pensare, di restare da solo. Di ripristinarsi.

Rimango senza fiato dalla vulnerabilità che caratterizza le sue parole, dalle pause calcolate, dal continuo tirar su col naso. La sua storia è molto triste e ho come l'impressione che stia per diventare addirittura più triste di così. È perché suo padre gli ha mentito? O perché si è tramutato col passare dei mesi, diventando un'altra persona e ferendo i sentimenti del resto della famiglia?

― Mamma piangeva e le chiedevo spesso quando sarebbe tornato. Sì, a me mancava. Mancava a tutti. E la scomparsa prematura dello zio ci aveva scioccati. Non capivo perché si ostinasse a fare il prezioso: non era il tipo da scomparsa, non era il tipo da lasciarci nemmeno per una pausa caffè. Mamma non smetteva di piangere, c'erano conti che non tornavano, bugie sulla lingua di tutti, e io ero arrabbiato.

Immaginare le lacrime di Corinne e un piccolo Zachary furioso mi stringe il cuore. ― Non potete più parlarvi perché vi ha abbandonati? ― mi sfugge la frase in un gemito. Chiudo forte le palpebre, le riapro.

Zeke accenna un sorriso, ma è un sorriso falso, tirato. Ritorna serio e inspira una profonda boccata d'aria, prima di replicare: ― Mio padre è morto nell'incidente insieme ad Arthur.

[Angolo playlist: Mockingbird, Eminem.]

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