Autopilota

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Ginevra posò la tazzina bianca sul piattino con entrambe le mani, come se avesse paura che le potesse cadere.

Gli occhi di Mattia erano posati sulle sue dita bianche, magre. Avrà certamente notato quanto fosse dimagrita, pensava Ginevra tenendo gli occhi bassi.

"Ti stanno bene i capelli" disse lui.

"Come?"

"I capelli, dico. Stai bene".

Già, i capelli. Era stato uno dei pomeriggi più brutti della sua vita quello. Dopo l'ennesima crisi d'ansia aveva chiamato il parrucchiere fissando un appuntamento.

"Li voglio rosa" aveva detto senza praticamente sentire la sua voce.

Quello l'aveva guardata incerto e poi le aveva sorriso come si sorride ai bambini. Le aveva mostrato una serie di immagini e lei aveva scelto la prima o la seconda.

Dopo un paio d'ore buone aveva i capelli rosa e se ne andava in giro con un groppo in gola e un peso sullo stomaco.

La sera aveva pianto, tanto. Aveva versato più lacrime di quante il suo corpo riuscisse a produrne, si era prosciugata. Si sentiva un sacchetto vuoto.

Erano passate alcune settimane da quel giorno. I capelli erano ricresciuti e alla base il suo colore naturale era tornato a farsi vedere.

"Come stai adesso?" le chiese senza staccarle gli occhi di dosso.

Dio quegli occhi, quanto li aveva cercati quegli occhi in mezzo alla gente. Senza trovarli mai. Aveva sperato di incrociarli per caso nel mezzo della via. L'avrebbe voluto chiamare ma non aveva mai avuto il coraggio di farlo.

"Sto meglio grazie, ci sto provando" rispose Ginevra.

"Perché non mi guardi?" le chiese lui spietato come un coltello. Era così Mattia, non ci girava mai troppo intorno.

"Non ci riesco, scusami".

Un groppo in gola le strozzò la voce.

"Ehi" disse lui cercando di infilarsi sotto le sue ciglia.

Finalmente Ginevra alzò lo sguardo. E incrociò quegli occhi. Che se ne stavano lì, pieni di tutto quello che c'era. Scuri, profondi come due pozzi di diamanti.

"Scusami, non so come comportarmi. Vorrei che qualcuno si comportasse per me. Vorrei avere tipo, un autopilota ecco".

Mattia sorrise.

"Un autopilota?"

"Sì"

"Dai, facciamo due passi".

Mattia pagò anche il suo caffè e si incamminarono verso la rocca della città. Non c'era nessuno in giro, era un martedì mattina di una settimana qualsiasi e non c'era un'anima viva nei paraggi.

Raggiunsero i giardini. L'erba era umida e in alcune parti si vedeva ancora la rugiada della notte.

Ginevra camminava avvolta nel suo maglione blu, che era una specie di armatura, di scudo dietro cui nascondersi.

Mattia si sedette su una vecchia panchina di pietra grigia. Lei lo seguì.

Rimasero in silenzio per un po' guardando i giardini mezzi addormentati.

Mattia si voltò a guardarla. Le loro mani quasi si sfioravano sulla pietra gelida della panchina.

Ginevra si voltò appena e il suo cuore saltò un colpo.

Lui la guardava serio, troppo. Non farlo ti prego, pensò lei.

Lui si avvicinò e senza nemmeno avere il tempo di realizzare Ginevra sentì le labbra di Mattia posarsi sulle sue.

Che stai facendo? Che diavolo stai facendo?

Era un bacio lento. Di quelli che ti tolgono il fiato. Mattia si avvicinò ancora di più e le afferrò il viso tra le mani. La baciò ancora e ancora.

È sbagliato, pensava lei senza smettere di baciarlo a sua volta.

Era sbagliato ma è l'unica cosa che desiderava. Sentire ancora quella bocca, il suo sapore che non aveva mai dimenticato. Sentirlo lì ancora suo, dimenticarsi di tutto il resto.

Mattia respirava piano.

Poi lentamente si staccò, tenendo la sua fronte incollata al viso di Ginevra.

Le sue mani sempre tra i capelli rosa, sulla nuca, sul collo magro.

Stava sorridendo.

"Posso essere il tuo autopilota?".


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