Venefico

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C'era odore di sughero bruciato.

Misto a terra, pioggia e muschio.

Dal calderone salivano volute di vapore dense come nebbia d'autunno. Il fuoco scoppiettava sui tizzoni e piccole scintille di brace schizzavano via spegnendosi nell'aria.

"Epilobio! Radice di epilobio!" disse la più giovane delle tre, curva come un avvoltoio sulle pagine ingiallite del vecchio ricettario.

"Ma che dici! Così al massimo gli provocherai una colite razza di sciocca! Fiori di iperico, ve l'ho già detto!"

"Ma non è stagione per l'iperico, Verana!"

"Già, per questo avreste dovuto raccoglierne una buona scorta prima che arrivasse il freddo".

Favilla sollevò gli occhi dal ricettario e guardò con aria colpevole sua sorella Clodia.

Quest'ultima scosse il capo, si aggiustò lo scialle di lana nero sulle spalle e diede una vigorosa rimestata all'intruglio bollente che gorgogliava sul fuoco.

"Adesso è inutile che ci agitiamo come api. Dobbiamo trovare un'alternativa" disse.

Verana afferrò una candela e si avvicinò a passi lenti allo scaffale delle pergamene. Rovistò con le sue mani nodose in mezzo ai rotoli finché non ne estrasse uno piuttosto scuro e malandato.

Un paio di topi grigi attraversarono la stanza e andarono ad infilarsi nella pila di ceppi accanto al camino.

"Ecco qui! Il compendio lunare di nonna Evelina" disse srotolando la pergamena sul tavolo di legno.

Favilla si alzò e raggiunse le sorelle al tavolo portando con sé altre candele bianche.

"E questo dove lo tenevi nascosto?"

"Nascosto? È sempre stato lassù sommerso dalla polvere se solo tu ti degnassi di dare una mano con le faccende ogni tanto invece di perdere tempo con quegli stupidi incantesimi!"

"Non sono stupidi incantesimi! E poi devo fare pratica!".

Verana alzò gli occhi al cielo, un ciuffo di capelli grigi le sfuggì dalla cuffia.

"Pratica, come no! Rimbambire quei poveri idioti, già rimbambiti di loro, facendoli sembrare ancora più idioti..."

"Dai su Verana, non essere così severa con lei. In fondo ha ragione, deve impratichirsi con gli incantesimi. E poi anche noi ci siamo divertite alla sua età, te ne sei dimenticata forse?".

Verana fece spallucce, poi si infilò gli occhiali sul lungo naso e si immerse nella calligrafia minuta ed elegante di nonna Evelina.

Corteccia di nocciolo ridotta in polvere, genziana maggiore... tintura di erba Galega, farfaraccio, dente di cane...

Favilla scrutava quei piccoli caratteri facendo bene attenzione affinché la cera delle candele non gocciolasse sulle pagine.

Stramonio, ricino, digitale... bacche di belladonna...

"Belladonna? Lo stiamo avvelenando per caso?"

"È già avvelenato! Dal più venefico dei fluidi"

"Già..."

Radice di peucedano in infuso, salice, olivello spinoso, succo di corniolo appena raccolto...

"Ecco! Ecco!"

"Che dice? Che dice?"

"Un momento fatemi luce! Non riesco a leggere una parola se via agitate in questo modo!"

In piccole dosi, ridotto ad una polvere sottile è in grado di aumentare l'efficacia dei preparati, in particolare degli antidoti al siero venefico, dei febbrifughi e degli incanti di protezione.

"Cos'è? Cos'è?" si agitò Favilla cercando di leggere quelle lettere minuscole.

Fu un attimo.

"Favilla! La cera! Razza di stupida!"

Una chiazza di cera bollente si rapprese proprio al centro della pergamena.

"Scusa! Oh, per la bava di orco scusami! Non l'ho fatto apposta!"

"Tu non lo fai mai apposta Favilla, ma lo fai! Inevitabilmente lo fai!"

"Adesso che c'era scritto là sotto accidenti? Cosa ci dobbiamo mettere in quel dannato intruglio?" chiese Clodia allungando il collo.

Verana cercò di ripulire la macchia di cera con un cencio logoro ma oltre alla cera se ne venne via anche uno strato di carta vecchio come pelle rinsecchita dall'arsura.

"Aaaah!! Per mille diavoli e satanassi!!"

Favilla si rintanò in un cantuccio e mise il broncio.

Le altre due si davano da fare per trovare una soluzione, c'era solo un ingrediente che avrebbe potuto salvarlo ma il suo nome si era sciolto con la cera.

"Comunque è inutile che vi affanniate tanto, non c'è nulla da fare per lui" disse Favilla mentre si rimirava le unghie ingiallite delle mani.

Verana si voltò verso la sorella incenerendola con lo sguardo.

"Che vai dicendo? È solo un veleno! Se tu non avessi fatto quel disastro adesso sapremmo come salvarlo!"

"Non lo puoi salvare, l'hai detto tu. È il più venefico dei fluidi! Il più pericoloso!".

Clodia guardò Verana e il suo sguardo le diceva che dopotutto Favilla non aveva torto.

"È inutile che ci accaniamo, quel poveretto è spacciato ormai..." disse.

Verana passò le dita magre sul foglio di pergamena ormai rovinato per sempre. Lo sapeva bene anche lei, eppure per un momento aveva pensato di essere talmente capace e potente da poterci riuscire.

Ma nessuno ci poteva riuscire, no davvero.

Nemmeno il più oscuro degli stregoni avrebbe potuto fare qualcosa.

Quello era il più potente tra i veleni.

Quello era Amore.

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