8. Notte stellata

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Giungemmo al grosso portone che denotava l'ingresso del casale e lui girò la chiave e varcò la soglia; quindi prese la scala sulla sinistra del grande atrio ed iniziò a salire. Non si fermò al primo piano ma salì un'altra rampa, fino a fermarsi davanti ad una piccola porta chiusa. Io riuscii a seguire tutti i suoi movimenti perché fece tutto con estrema lentezza. Quindi riprese il mazzo di chiavi e ne infilò una nella minuscola toppa. La porta si aprì su una terrazza, anch'essa piccola, al cui centro c'erano una coperta ed un paio di cuscini.
Christian giunse lì e si stese, non al centro ma di lato, mentre io lo fissavo sbalordita.

-Se ti stendi lo vedi meglio.- affermò.

-Che...- biascicai io.

-Il cielo. Stanotte è sgombro di nuvole, la luna piena rischiara e le stelle sono miliardi.-

Fu allora che alzai lo sguardo. Era vero, il cielo era un vero firmamento. Milioni di puntini luminosi e brillanti splendevano nel buio della notte.

-Da quando l'ho scoperto, questo è sempre stato il mio posto preferito sul tetto del mondo. Non ci sono gli alberi ad oscurarmi la visuale, le cicale non mi assordano e nessuno può trovarmi.-

A quelle parole mi sedetti al suo fianco e fu allora che lui si sollevò e dopo tanto tempo mi guardò negli occhi. Era buio e i suoi occhi erano di nuovo cupi, ma non mi feci intimorire e parlai:

-Allora perché lo vendi...perché non lo tieni?! È tuo, lo sarà per sempre!-

-Non lo voglio...- 

Ma io lo interruppi ed iniziai a sbraitargli contro, prima che potesse continuare:

-Sei un mentecatto! Cosa significa che non lo vuoi! Questo posto è il pane quotidiano di mezzo borgo e tu te ne freghi! Lo hai venduto a gente che non lo rispetterà, che lo distruggerà e che farà smettere di lavorare tutti i contadini! Sei solamente un grande egoista!-

-Hai davvero detto mentecatto?!!- sorrise lui.

-Ma...Non hai ascoltato nulla! È incredibile! Sei davvero bislacco!-

-Io davvero non ce la faccio...quanti sinonimi di stronzo conosci?!- fece lui e d'un tratto scoppiò a ridere, mentre io lo guardavo sempre più esterrefatta. Erano anni che non sentivo quella risata e tutto in quell'istante mi sembrò talmente surreale da farmi pensare di essermi catapultata indietro nel tempo. Poi, di colpo, si fece serio ed alzò la testa, tornando ad osservare il cielo. 

-Non voglio nulla che mi ricordi il mio passato, mio padre, quella notte e l'incidente. E il casale, la tenuta, e l'intero borgo non fanno altro che portare il suo nome.-

-È per questo che ti sei dimenticato anche di me? Come puoi averlo fatto...- sussurrai come se la voce mi provenisse direttamente dal fondo del cuore.

-Tu...! Tu fai parte di questo mondo...tu...- sospirò e gettò di nuovo i suoi occhi nei miei. Ma non ressi il suo sguardo e lasciai scivolare il mio lungo il suo profilo, coperto di barba.

-È per dimenticare che nascondi anche la tua cicatrice? Sono passati anni e non hai imparato a conviverci? Il passato non si può dimenticare...si accetta e si supera! Come sei diventato tanto vile!-

-Ma cosa ne sai?! Cosa?! - prese a dire scuotendo la testa. -Non puoi capire...avevo uno squarcio sul viso talmente grande che tutti mi chiamavano lo sfregiato. Nessuno mi vedeva! Nessuno vedeva Christian... parlava con Christian, parlavano con lo sfregiato e vedevano solo il mio volto sfigurato. Sono fuggito, ho cambiato città, sono andato a Milano e la cosa è stata la stessa. Allora sono scappato ancora, mi sono trasferito a Londra e sai perché? Perché lì non mi chiamavano lo sfregiato ma l'italiano. Solo allora ho smesso di fuggire e ho iniziato a dimenticare, a rimuovere quel passato, a resettare tutta la mia vita.
Tu non hai nemmeno idea di quante operazioni di chirurgia plastica sono servite a rendere quello squarcio così... così piccolo...da poter essere una cicatrice da coprire con la barba...- raccontò lentamente come se ogni parola pesasse come un macigno.

Alzai il volto e ritrovai i suoi occhi.

-Io...- sospirai. -Quella cicatrice è parte di te, è il segno che sei sopravvissuto a quel passato che detesti...devi essere fiero di quello che sei adesso...-

In quell'istante mi sembrò di vedere i suoi occhi farsi lucidi e continuai:

-Mio nonno mi diceva sempre di non trattenere le mie lacrime. Dovevo lasciarle cadere liberamente perché scivolando avrebbero portato con sé tutto ciò che mi faceva stare male...-

-Io ho imparato ad ingoiare tutte le mie lacrime...-

-Dovresti smettere allora...-

Scosse la testa e riprese a guardare il cielo.

-Perché lo fai...- aggiunse.

-Cosa?- mormorai.

-Perché cerchi di sabotarmi...-

-Ma...io...non...-

-Tu stai cercando di sabotare tutto...cerchi di far saltare in aria tutto quello che ho costruito in questi anni lontano da qui...-

-Io...io avrei dovuto starti vicino, dopo l'incidente, io sarei dovuta venire da te...ma ho avuto paura di quello che avevo sentito contro le tue labbra...di ciò che provavo...perché io ti am...amavo.- quasi balbettai.

Non riuscii a controllare le parole, come le lacrime che avevano preso a scivolarmi lungo le guance. Lo vidi abbassare la testa lentamente ed inspirare pesantemente.

Una folata di caldo vento estivo ci colpì in quel momento, mentre desideravo che si voltasse e mi stringesse tra le braccia, baciandomi le lacrime. Ma restò di nuovo immobile con lo sguardo fisso nel vuoto davanti a sé. La luce della luna rifletteva sul suo profilo, sul naso dritto e sottile, sulle labbra socchiuse e carnose, sull'incavo della cicatrice che sbucava tra la lunga barba.

E non riuscii a controllare nemmeno la mia mano, mentre si poggiava sulla sua guancia e il pollice ripercorreva quel solco segnato dal suo odiato passato.

Ebbe un tremore, serrò le labbra e chiuse gli occhi, senza muoversi di un millimetro.

-Dovresti tagliarla...basta nascondersi...- bisbigliai, non per la paura di parlare ma perché sfiorare la sua pelle mi aveva tolto il fiato.

Riaprì gli occhi e con la mano sinistra mi prese il polso allontanandolo da sé; quindi si alzò di scatto lasciandomi vuota di fianco e dentro; e poi senza guardami affermò:

-Domani mattina ho l'appuntamento dal notaio. E domani sera ho il volo di ritorno per Londra. Quindi ora me ne torno a casa, ho bisogno di riposare. Ti lascio le chiavi, resta quanto vuoi, domani faccio passare qualcuno in chiesa a recuperarle.-

Le lasciò cadere sul cuscino al mio fianco e a grandi passi si avviò alla piccola porta, sparendo alla mia vista.

Oltre il Casale ©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora