5. Scatola dei ricordi

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L'indomani andai a lavoro come sempre. Ho scelto di fare la restauratrice perché restaurare è una delle cose che amo più al mondo, dopo mio nonno ovviamente.
Ho vissuto la mia vita ancorata al passato, testimoniato da nonno Vanni; ho sempre pensato avessi dovuto nascere in un'altra epoca ed il restauro è ciò che mi avvicina ai tempi che non sono più. Ciò che fa parte del passato deve essere custodito, preservato, e se si deteriora comunque, deve essere risanato, recuperato in qualsiasi modo si possa fare. Il restauro è questo per me, molto più di un lavoro, un modo di accettare il passato e farlo diventare il presente.

Finalmente ho avuto la possibilità di restaurare la pala dell'altare maggiore della Chiesa Madre del borgo. È il mio primo lavoro più grande e prestigioso e ne vado fiera. La Pala che raffigura l'assunzione della Madonna con tanto di angeli e cherubini, risale alla fine del 1400 e ce la sto mettendo tutta per farla tornare al suo vecchio splendore.

Non appena finii la mia giornata lavorativa, scesi dal trabattello, mi tolsi il camice e i dispositivi di protezione, passai a salutare don Antonio ed uscii dalla chiesa diretta al casale. Pedalai su per la collina mentre una miriade di immagini delle estati della mia infanzia e della mia adolescenza mi si accalcavano nella mente. Immagini di spensieratezza, di dolcezza, di ingenuità. Immagini che avevano lasciato un'impronta sul mio cuore e che non avrei mai più dimenticato. Immagini che avevano il colore sbiadito delle vecchie fotografie.

Arrivata, scesi dalla bici e la appoggiai al muro di recinzione, presi le chiavi del nonno dal fondo della borsa ed aprii il cancelletto che dava nel piccolo giardino prima del frutteto. Lo attraversai a passo svelto e mi diressi verso il capanno degli attrezzi. In quel capanno, oltre alla vanga, ai secchi, al rastrello e alle forbici del nonno, c'era una scatola, una vecchia scatola di ferro, in cui lui custodiva i suoi appunti sulle lavorazioni agli alberi e qualche bottone che gli cadeva dalla camicia, insieme a qualche pietra di forma particolare che raccoglieva tra le zolle.

Il sole stava tramontando ed il capanno era illuminato da una lampadina polverosa che faceva una luce fioca, quindi entrai in fretta e cercai di orientarmi ancor più in fretta, dato che era molto tempo che non mettevo piede lì dentro.

Sulla sinistra scorsi gli attrezzi del nonno, tutti ancora ordinati al loro posto e su uno scaffale, poco lontano, notai la scatola. Era in alto, su uno dei ripiani e mi agitai cercando di capire come trovare il modo di afferrarla. Mi avvicinai ed in punta di piedi cercai di sfiorarla, ma non ero molto alta e non ci arrivai. Mi voltai e più in là vidi una cassetta di legno, semivuota. La svuotai del tutto e la capovolsi per poterci salire sopra.

Purtroppo non era stabile né tantomeno utile al mio fine. Toccavo la scatola solo con la punta delle dita e dovetti sporgermi in avanti e cercare con le dita, lentamente, di far muovere la scatola in avanti per poterla afferrare. Ma la cosa mi sfuggì di mano, non so come, persi l'equilibrio e per cercare di non cadere mi ressi allo scaffale, strattonandolo e la scatola venne giù dal ripiano, sbattendo a terra e facendo un grande frastuono.

- Perdindirindina!-

Esclamai e mi gettai letteralmente sul pavimento per raccogliere tutto. Quando, pochi istanti dopo, sentii dire:

-Ancora tu! Non ci credo...-

Alzai lo sguardo e trovai Christian sulla soglia della porta del capanno che mi guardava esterrefatto e contrariato. Lo fissai per un solo istante e poi abbassai lo sguardo sul contenuto della scatola sparso sul pavimento. Senza parlare continuai a raccogliere in fretta e lui con mia sorpresa, si chinò davanti a me; ed io cercai di velocizzare i miei movimenti, finché i miei occhi caddero su una foto sbiadita, tra i fogli sul pavimento. Era una foto piccola e dai colori spenti in cui, un giovane e sorridente Cesare Blandi indicava l'obiettivo a suo figlio Christian che stringeva tra le braccia.

In uno scatto guardai Christian e lo sorpresi a fissare la stessa immagine. Un misto di disagio ed emozione mi assalì. Lui sembrava assente. Poi si alzò in fretta ed io senza pensarci imitai il suo gesto.

-Sono con i compratori che si sono spaventati con tutto il casino che hai fatto e per poco non mandavi all'aria tutto! Esci di qui, forza! Mi sembrava di averti già detto che non hai nessun diritto di venire qui, quando e come ti pare!- fece a voce alta con tono sprezzante.

Colpita e affondata, di nuovo. Mi fissava dritto negli occhi ed io non riuscivo a spostare lo sguardo di un solo millimetro. Nè tantomeno a rispondere, finché non disse:

-Raccogli quella roba da terra e vattene!-

Ma quella parola accostata alle cose più mi care di mio nonno mi fece salire una rabbia furibonda fino in gola, tanto che gli sputai addosso:

-Quella roba sono i ricordi di mio nonno e tu sei soltanto uno sconosciuto senza cuore che non può capire!-

Lui restò immobile pochi secondi, serio e muto, poi si voltò ed uscì in fretta. Io sospirai pesantemente e mi accasciai sul pavimento, raccolsi velocemente tutto ciò che ancora era a terra e lo misi nella scatola. Quindi uscii dal capanno, tirando forte la porta volutamente, mentre un vociare indistinto arrivava da poco lontano.

Arrivai alla bici, misi la scatola nel cestino e pedalai fino a casa.

Vi entrai trafelata e mi gettai letteralmente sul divano, esausta dal vortice della giornata ma certamente, nonostante fossi restia ad ammetterlo, più di tutto, dalla freddezza di Christian. Ancora una volta aveva solo gli occhi del mio amico d'infanzia ma di fatto era uno sconosciuto senza un minimo di empatia e la cosa mi faceva aggrovigliare i nervi. Come poteva essere mutato così nel corso degli anni? Davvero il suo passato non c'era più e lui era un'altra persona?

Erano domande a cui non potevo rispondere. Posai lo sguardo sulla foto sulla mensola della libreria, che mostrava il nonno sorridente insieme a me con la corona d'alloro, nel mio giorno di laurea; aprii la scatola di metallo e presi il suo taccuino tra le mani.

Lo sfogliai, tra le prime pagine comparirono una lista di date e di appunti sulla fioritura e i raccolti; ma nelle pagine seguenti lessi qualcosa di diverso: un vero e proprio diario si aprì tra le mie mani, sotto i miei occhi. In cima, sulla destra, compariva una data e di seguito gli accadimenti di quella giornata.

Frastornata, mi immersi nella lettura di quel passato che certamente, adesso, sarebbe diventato più vicino.

Oltre il Casale ©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora