SPECTRUM (song-fic, one-shot)

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Say my name
As every colour illuminates
We are shining
And we will never be afraid again



 "Katniss... no" Peeta geme nel sonno, svegliandomi di soprassalto e il cuore mi sprofonda dritto nello stomaco.

Scosto le lenzuola e mi stringo al suo corpo, accarezzandogli il viso sudato e scostandogli i capelli all'indietro, la paura mi attraversa come una scarica d'acqua gelata mentre i miei occhi registrano i movimenti febbrili e bruschi dei suoi polsi affondati nel cuscino: il ricordo delle manette unito all'incubo che lo sta torturando.

"Peeta" lo chiamo, cercando di trattenere il fremito che mi assale nella voce e l'ansia cresce dentro di me, facendosi strada come una crepa su una parete, "Peeta, svegliati"

Continuo a chiamarlo, accarezzandolo piano e pregando di riuscire a farlo riemergere dal mare oscuro nel quale piomba tutte le notti.

Spalanca gli occhi, e il sollievo che per un minuscolo frangente mi ha investita si sgretola nell'osservare il blu delle sue iridi soppiantato dal nero delle pupille: il marchio del veleno degli aghi inseguitori, la cicatrice ancora fresca che Capitol City gli ha inflitto.

Peeta resta steso su un fianco, continua a guardarmi con il respiro affannato, gli occhi ampi e neri, e una voce preme dall'interno del mio cranio urlandomi di scappare, di mettermi in salvo perché se resto lì con lui potrei non uscire viva da questa stanza.

"Katniss" dice ansimante, allungando una mano per scostare le mie dal suo viso, "Vattene" sibila, cercando di spingermi lontano da lui, "Vattene via" continua a denti stretti, affondando le dita sul cuscino e sul materasso, artigliando la stoffa al punto che sono sicura che riuscirà a strapparla.

Scuoto la testa, il cuore mi martella furioso contro la gola e prendo consapevolezza di un fatto sconvolgente: da un po' di tempo a questa parte, da quando viviamo insieme e a lui capitano i soliti episodi di questo tipo, raramente riesco ad allontanarmi da lui.

La paura mi fa un effetto strano, paralizzandomi sul posto e impedendomi di perderlo di vista anche solo per mezzo secondo. Devo farmi forza in quei momenti dove capisco che ha bisogno dei suoi spazi per riprendersi, che ha bisogno del silenzio di una stanza vuota ad eccezione di una sedia con un ampio schienale su cui adesso sono disseminati i segni delle sue unghie.

"Non ti lascio solo" dico piano, e faccio per accarezzargli il viso ma Peeta riesce ad afferrarmi il polso con una velocità sorprendente.

"Va' via" ripete a denti stretti, e la sua voce è talmente bassa da sembrare un rombo sommesso.

Non riesco a non avere paura, ma non è abbastanza forte al punto da farmi abbandonare la mia postazione.

Sono così stanca di questi giorni di ripresa altalenanti, di questi suoi episodi che riescono a strapparmelo via per una consistente quantità di tempo; sono stufa e arrabbiata, furiosa e ferita per il dolore e le torture che ha dovuto subire a causa mia, al punto che mi metterei ad urlare e a distruggere qualunque cosa mi passi davanti.

Ma ora come ora, faccio l'unica cosa che sembra avere un effetto positivo sui suoi episodi, qualcosa che a poco a poco riesce a riportarlo indietro, che lo fa tornare da me, al sicuro tra le mie braccia.

Avanzo e mi sporgo verso il suo viso che afferro con entrambe le mani, serro forte le palpebre e premo le mie labbra sulle sue, i sensi all'erta e che aspettando di sentirlo agguantarmi il collo con le mani come ha fatto nel Distretto 13.

SPECTRUM ( Hunger Games fanfiction post Mockinjay)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora