VII

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Devo dire la verità. Non me l'aspettavo. Ancor di meno le minacce. Le Kelmyn erano disperate.

«Per favore», pregò la più piccola con la voce strana, rotta. «Vogliamo tornare con i nostri genitori.»

Ancor più inatteso, una dimostrazione di debolezza. O peggio, una finzione di debolezza. Non potevano credere che fossimo così sempliciotti da cadere nel loro tranello.

Dietro di me, Cori aveva gli occhi rossi; breve cenno. «Si può fare», disse Ka'orii, attirando la nostra attenzione. Anche se le Kelmyn ancora la trattenevano, i suoi occhi erano stranamente lucidi. «Pensi che il piano regga?»

Avevo tenuto in considerazione molti imprevisti: più di un Elven, documenti di viaggio, vestiti, dove saremmo andati a finire. Ma non avevo previsto passeggeri in più. O che fingendo di essere due piccole bambine indifese potessero raggirare la mia squadra.

La mia incredulità fu evidente, perché Corinne mi guardò in cagnesco. Sospirai. «Pensate che potrete seguirci? Non sarete d'intralcio?» Loro si guardarono, e poi mi diressero uno sguardo smarrito. Forse non conoscevano bene la nostra lingua. Mi sentii leggermente meglio. «Non darete fastidio?»

Lasciarono andare Ka'orii e scossero la testa con veemenza. La piccola si asciugò il viso con il rovescio della manica sporca e rotta. Queste bambine erano delle brave attrici. Cori era fiera di loro, lo si vedeva nel suo portamento, nella testa alzata e nelle spalle all'indietro. Fece un gesto e continuò a camminare, noi la seguivamo a distanza di sicurezza.

Entrammo nelle camere del personale, e per un attimo persi il senso dell'orientamento. La luce che entrava dalle finestre trasparenti si rifletteva sul pavimento lucido color crema, lo stesso che avremmo visto nelle nostre abitazioni se fosse stato pulito più spesso, e rifletteva sui muri bianchi. Le porte erano di legno massiccio, ma di almeno duemila anni fa. Le mie scarpe facevano un rumore stridulo che echeggiava nel corridoio. Cori mi zittì con uno sguardo sulla spalla; il pavimento era gelido sotto i miei piedi nudi, ma era il modo più sicuro di non fare rumore.

Dietro di me le Kelmyn si fermarono; Ka'orii sfiorò il mio braccio, e rimasi incollato al pavimento lì accanto a lei mentre due delle persone che più volevo bene al mondo entravano nelle fauci di un leone famelico. Per poco non persi il momento in cui Cori prese il piccolo aggeggio, la nostra chiave maestra.

Un breve scambio in Elvyn, poi un fruscio, passi di Elven, la voce di Corinne. Un rumore sordo. Altre parole in Elvyn. E il silenzio fu rotto da un sussurro. «Entrate, veloci.»

Il medico era seduto su una sedia davanti a un tavolo sgangherato, ma dormiva profondamente. Kele scese dal tavolo a sinistra, le sue guance riprendevano lentamente colore. Ka'orii passò velocemente accanto a me e iniziò a leggere i documenti che il medico aveva sul tavolo che fungeva da scrivania. «Ci sono documenti per sette nuovi schiavi oltre a Ezechiele.»

«Possiamo distruggere quelli in più?»

«Non penso. Dobbiamo chiamare due dei nostri alleati.»

«Elena e Joseph sono pronti per partire», rispose Kele.

«I loro documenti di viaggio sono qui.»

«Cori, per favore.»

Annuì, disse alcune parole in Zeil e partì, sparendo nel corridoio, mentre io mi avvicinavo a Kele per vedere cosa c'era nel piccolo studio. Prendemmo alcune provviste mediche, cercando di non far notare il vuoto, barre nutritizie e bottiglie vuote da riempire con acqua, e mettemmo il bottino in zaini e sacchi da portare sotto i vestiti.

Ka'orii iniziò a cancellare e riscrivere le carte. «Chi delle due è Liotl e chi Fjetl?»

Chi era chi? Come faceva Ka'orii a conoscere i loro nomi? «Lei è Liotl», rispose la più grande puntando il dito verso sua sorella, «e io, Fjetl.»

«Eccoli.» Cori entrò e si avvicinò a Ka'orii.

La sorpresa dipinse i visi identici di Elena e Joseph. Comprensibile, se si considera che dove di solito sedeva il medico ora c'era Ka'orii impegnata a copiare la calligrafia di un Elven.

«Stiamo per scappare», dissi semplicemente. Pensandoci adesso, potevo scegliere meglio le prime parole che avrei pronunciato.

La sorpresa nelle loro facce diventò stupore. «Siete sicuri che funzionerà?»

«Pensate che rischieremmo la vita se non ne fossimo sicuri?»

«Avete qualcosa di meglio da fare?»

Sia Cori che Kele avevano ragione. «Va bene, ci siamo anche noi. Che dobbiamo fare?»

«Fingere che chi è minore ha doveri di compagnia da qualche altra parte. Siamo tutti schiavi che devono andare a lavorare.»

Il medico cominciò a muoversi e a fare piccoli rumori. Uscimmo dallo studio, Kele tornò al suo posto sul tavolo. Un altro dialogo tra Cori e il medico; strano a dirsi, la voce più acuta non era quella di Cori, ma quella del medico. Ci fece entrare, ci osservò attentamente, soprattutto me e le Kelmyn, e disse: «Ciovàni.» Ci misi ben cinque secondi per capire quello che il medico voleva dire: eravamo troppo giovani. Cori alzò le spalle e rispose in Elvyn. Il medico guardò i documenti, ma non disse altro; firmò e alzò un telefono. Sulla soglia apparve un altro Elven travestito da pirata da due soldi: pantaloni rotti, camicia sporca, bandana sulla testa pelata e rugosa.

Dieci minuti dopo, eravamo liberi. O meglio, diversamente prigionieri.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 20, 2021 ⏰

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Cronache di un conquistatore di mondiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora