Le prime due settimane furono orribili. Tutti sembravano aver fatto pace con tutti, nessuno litigava. Sembrava che si fossero messi d'accordo. Kele tremava in continuazione; i medici Elven lo portavano spesso nel loro ufficio, e Cori aveva paura che una di quelle volte fosse l'ultima.
Dal quindicesimo giorno in poi, i litigi ricominciarono. E anche le chiusure nelle gabbie.
Immolarsi per gli altri può forse portare benefici, ma non è bello, credetemi.
«Cori.» Dopo la quarta uscita, Cori aveva smesso di parlarmi. Non mi guardava, se non con la coda dell'occhio, e sempre un secondo prima di alzarsi e lasciare il piatto mezzo pieno sul tavolo. Per me. «Cori, aspetta.» Non riuscivo a correre dietro di lei, non ne avevo più la forza. E lei lo sapeva, ma questa volta era decisa a lasciarmi indietro. Corsi più velocemente, pensando che avrebbe provato un briciolo di pena per me. Mi sbagliavo. «Corinne, per favore!» Non riuscii a raggiungerla, dovetti fermarmi. Il cuore mi batteva all'impazzata, mi sentivo la testa leggera, il mondo girava troppo velocemente intorno a me.
«Devi smetterla, Alexander.» I suoi occhi brillavano con rabbia contenuta, mai avevo sentito la sua voce così rauca con... qualcosa. Solo ora, ripensandoci, capisco cos'era. Aveva paura di perderci entrambi. Rabbia perché Kele non poteva evitare di crescere, ma io potevo evitare di morire. «Non sta funzionando. L'unica cosa che abbiamo raggiunto è una certa quantità di complici di dubbia lealtà—»
«Lo so. Mi serve solo un'ultima--»
«No, Alex. No. Mi rifiuto a rimanere qui da sola.»
«Non sarai sola, Corinne. Kele e io--»
«Kele sparirà un giorno di questi! E non lo vedremo mai più!» Le sue lacrime si fermavano per lunghi secondi nel solco che si stava creando nel suo viso, tra lo zigomo e la mascella. «E tu morirai di fame per un'impresa impossibile, e rimarrò sola!»
«Cori, per fav--»
Lo schiaffo fu così forte che tutti si girarono per vedere cos'era stato. «Adeus, meu Alex.» Rimasi a guardarla. Non avevo scelta. Dovevo andare avanti con la seconda parte del piano, e sperare che Cori venisse in mio soccorso. Altrimenti, quell'addio sarebbe stato permanente.
Trovare una pietra era una cosa difficile. Trovare una pietra tagliente era ancor più difficile. Trovarne due era un'impresa quasi miracolosa. Ma ci riuscii. Ci misi tre giorni ma alla fine entrambe le pietre taglienti si trovarono tra le mie mani. L'altra parte degli strumenti ce l'avevo; Kele aveva scelto di prendere le parti di Corinne e mi ignorava completamente; solo Ka'orii mi faceva visita ogni tanto. Questo mi aveva dato l'opportunità di girare il posto senza dare nell'occhio, e avevo trovato proprio quello che cercavo: la centrale di elettricità della cucina e dei quartieri del personale. In realtà (nessuno lo sapeva), il personale della nostra Università per Schiavi, cioè i cuochi e gli insegnanti, erano Elven che avevano commesso gravi crimini, e dovevano scontare la loro pena essendo utili alla società, cioè educando i futuri schiavi. La pena per svolgere in modo sbagliato questa mansione era la morte, quindi stavano attenti al tipo di educazione che impartivano.
Le camere da letto di insegnanti e altri erano tre piani più in alto rispetto alle nostre stanze, mentre le squadre antisommossa (che erano davvero militari allenati) si trovavano nel sottosuolo. La scatola generale dell'energia era in uno scomparto esterno, in uno dei balconi più alti dell'edificio. Per arrivarci dall'interno era necessaria una scheda di identità con permesso illimitato; per arrivarci dall'esterno dovevi essere bravo ad arrampicarti sui muri. E io lo ero, e lo sono ancora.
Inventai un piccolo congegno che doveva lasciare le pietre in una certa posizione e far pressione per unirle. Con un po' di fortuna sarei riuscito a scendere di nuovo prima che la luce andasse via. E funzionò alla perfezione: quando scesi, le pietre tagliavano lentamente, millimetro a millimetro, il cavo centrale, quello che alimentava l'intero palazzo.
Uscimmo dalla mensa dopo cena, e l'elettricità era ancora potente e funzionante. Sapevo che nessuno aveva trovato le pietre, altrimenti ci avrebbero chiesto chi era stato. Speravo solo che funzionasse. Decisi di provare a parlare di nuovo con Corinne. «Aspettatemi.» Kele si girò, Cori continuò a camminare. «Ti prego, ascoltami.»
«Non voglio.»
«Cori, questa volta--»
«Non voglio saperlo, Alex. Sicuramente non sarà una buona idea.»
«Ma--»
«Alex, no--»
Un fulgore improvviso dal cortile. E poi buio totale. Lo strillo assordante dell'allarme ci colse di sorpresa. Corremmo nelle stanze, lottando contro il desiderio di accasciarci e coprirci le orecchie per avere un riparo, anche se minimo, da quelle coltellate. Appena arrivati sentimmo il fragore delle squadre antisommossa.
«Cori, per favore--»
«Non voglio sentirti, Alex.» Urlava per farsi sentire al di sopra dell'allarme. Il rumore ritmico degli stivali nelle scale si avvicinava. «Hai fatto abbastanza. Ti sei sacrificato per tutti tranne che per noi. Abbiamo bisogno di te, io ho bisogno di te. Non puoi continuare a lasciarmi da sola.»
«È l'ultima, prometto.» Erano quasi dietro la porta. Strinsi le sue mani, sperando che capisse senza tante parole. «Ma devi aiutarmi, Corinne. Altrimenti ci separeranno.» Una mano sulla porta. «Ti prego.»
Mi allontanai da lei, e subito sentii freddo nelle mani. L'aria in tutta la stanza era fredda.
Un gruppo di militari Elven entrò nella stanza, il resto continuò su per le scale, oltre una porta con sistema di riconoscimenti di impronte digitali. Lunghi minuti di silenzio, silenzio quasi assordante. L'aria diventava ogni volta più fredda, il silenzio non era il solito silenzio. Mancava un leggero ronzio che era sempre stato lì ma non avevo mai notato, in quasi un anno e mezzo di prigionia. Chi l'avrebbe mai detto, gli Elven avevano sempre lasciato acceso per noi un leggero sistema di riscaldamento.
Un Elven tornò e parlò nella loro strana lingua. Capii soltanto "tagliato", "elettricità" e "plesso". Corinne diventò pallida. Lei sapeva bene quanto me che era assolutamente inammissibile che un orfano attentasse contro l'incolumità fisica degli insegnanti o della struttura. Il castigo era esemplare, e includeva non solo le gabbie, ma anche una severa punizione fisica.
L'Elven che era rimasto all'interno della nostra stanza fece due passi avanti e pronunciò gravi parole in Elvyn. «Chi è stato?» disse alla fine. L'avevo sentito tante volte che lo conoscevo a memoria. Nessuno di loro mi guardava, pensavano che non ne sarei stato capace. Corinne iniziò a tremare. «Chi è stato?»
«Ti odio», sussurrò Cori, e alzò la mano, puntandomi con un dito. «Sa'ashi vin su'ri». È stato lui.
Gli Elven guardarono da uno all'altra. Seguì uno scambio in quella lingua sibilante e stridula tra le due guardie e Corinne. Ogni volta che lei si fermava, i soldati si guardavano e facevano altre domande.
Le guardie si guardarono un'ultima volta, poi mi presero per le braccia e mi portarono via. Non opposi resistenza, non aveva senso. E Corinne, lei mi fissava in silenzio, con le labbra strette in una linea sottile e le mani chiuse in pugni.
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Cronache di un conquistatore di mondi
FantascienzaConquistare mondi non è così difficile come tutti pensano. È una questione di strategia: un esercito qui, un agguato là, una decina di soldati in punti strategici, e il gioco è fatto. Mica è complicato, o addirittura complesso. Persino un ragazzo di...