Risate

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Risate. Risuonano nella mia testa ancora e ancora. Non riesco a liberarmene. Il volto pulsa ancora dopo l'incidente di ieri, pulsa in viso e pulsa dentro. Non voglio che accada ancora. Devo essere forte, la prossima volta. Eppure non riesco a sentirmi forte, non riesco a ribattere, non riesco...
"Emma! Sei d'accordo con quello che ha detto il tuo compagno?"
"Io.. uh... Si? Si sono d'accordo" dissi, incespicando nelle parole
"Peccato. Non avevo chiesto proprio niente al tuo compagno"
Io taccio. Era un rimprovero più che giustificato, in fondo non stavo ascoltando. Ero persa nei miei pensieri. Penso di essere giustificata a mia volta, dato il momento che sto vivendo. Lasciatemelo dire, non lo auguro a nessuno di voi.
Mi presento:
Sono Emma, ho 11 anni e vado in 5a elementare. E si, sto passando un periodo schifoso già adesso. Strano? No, non è così strano se si hanno dei compagni particolari come i miei. La mia era una continua, monotona routine che andava da casa a scuola, da scuola alla palestra e dalla palestra a casa. Aggiungiamo qualche visita al dentista e un paio di attività extracurricolari della scuola con visite a casa di amiche comprese e abbiamo la mia vita. Forse però dire "amiche" non era corretto. Le amiche vere potevo contarle sulle dita di una mano sola. Una mano a cui mancavano parecchie dita. Ma che dico, non c'era nessuna mano, non avevo amiche vere. Le persone con cui stavo le definivo "amiche"perché ancora non sapevo cosa fosse davvero un'amica. A quell'età dovevo sentirmi popolare per essere accettata. Pensavo che essere la migliore mi avrebbe portato ad avere una vita migliore. Ma stavo male, non mi piaceva la compagnia. Passavamo il tempo a parlare alle spalle di altri, a lamentarci di qualsiasi cosa e a escludere chiunque per creare dei gruppi di complici stronzette. Le elementari erano questo. E io ero una di loro. L'unica che non era così veniva insultata solo perché era diversa, ma sarebbero passati anni prima che io capissi che quella diversità era una diversità bella, migliore. Quella fottutissima bambina era migliore di noi tutti messi insieme, e io non volevo capirlo. Angela, mi dispiace. Mi dispiace di tutto, degli insulti, delle cose terribili che ti ho detto dietro, di quanto ho fatto schifo come amica falsa e di quanto voglio buttarmi nel cesso per tutto quello che ho fatto. Io sapevo che era sbagliato, ma continuavo, senza immaginare quanto questo potesse farti stare male.
Adesso, qualcuno potrebbe pensare "Ma allora perché la trattavi male se sapevi che potevi farle così male?"
Perché anche io ho dei sentimenti, cazzo. Sapevo che sbagliavo ma avevo paura di non avere più nessuno, di rimanere sola e finire come lei. L'unica cosa che temevo, a quei tempi, era che qualcuno mi sparlasse dietro. Col tempo si era affievolita, ma durante quegli anni era così tanta da non farmi ragionare.
"Mi dispiace. Posso andare in bagno?"chiedo alla maestra
Lei, come se intravedesse il casino che avevo dentro, ha annuito e mi ha fatto andare. Grazie, le dico con gli occhi. Mi dirigo verso i bagni, e mi rinchiudo in uno di essi. E lì penso. Penso al perché faccio quello che faccio. Penso alle conseguenze che il mio carattere e le mie azioni comportano, e se me lo merito. Perché nessuno vuole essere davvero mio amico? Perché non sono capace di ribellarmi. Il mio occhio nero, poi era una beffa. Sembrava che dicesse 'Non ti sei saputa opporre, ecco cosa accade!'Io ci provavo, ci provavo tantissimo. Ma non era abbastanza. Non riuscivo ancora ad oppormi, mi nascondevo dietro ad altre persone per non venire dimenticata, e questo mi portava a fare azioni che non mi corrispondevano. Quella non ero io, eppure l'unica cosa che sapevo fare era lamentarmi e far finta di star bene.
La campanella mi riporta alla realtà. Quello schifo a cui dovevo tornare. Mi lavo la faccia, e mi premo per sbaglio il livido. Mi esce un gemito.
Che schifo la vita.

Non dimentico Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora