capitolo 5: Elvira, molla la cagna

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"abbiate pietà di uno che stanotte non ha dormito"Cesare pavese

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"abbiate pietà di uno che stanotte non ha dormito"
Cesare pavese


Sto per tirare giù tutti i santi. Lo giuro.

Non sono riuscita a chiudere occhio tutta la notte, gli avvenimenti di ieri mi sono piombati tutti quanti addosso dal momento che ho poggiato la testa sul cuscino.

Sono abituata alle disgrazie nella mia vita, e provo sempre a tenerle alla larga dalla mia mente, ma delle volte è così difficile che crollo. Ho passato la notte a guardare il soffitto, ascoltando musica triste sperando che finalmente le lacrime possano uscire dai miei occhi, ma niente. Non riuscire a piangere sta diventando molto più stressante di tutti i miei problemi messi assieme.

La testa mi sta per scoppiare, gli occhi mi bruciano, e il mio corpo è talmente pesante che non lo sento più. Mi sento come se mi fosse piombato addosso un cazzo di camion.

Dopo vari tentativi riesco ad alzarmi, mi trascino fino al bagno per riuscire a lavarmi la faccia. Non appena le mie dita sfiorano la guancia il dolore mi invade. Mi guardo allo specchio e noto i graffi che quella maledetta mi ha lasciato ieri. Sono più rossi e si notano lontano un miglio. Come posso andare in giro in questo modo?

Non ho nulla a casa con cui possa coprirlo, perciò decido semplicemente di metterci un po' di crema. Dopodiché ne passò un po' anche sulle braccia.

Sospiro tornando in camera, mentre cerco nell'armadio qualcosa che potrei mettermi. Oggi non mi sento nel mood di vestirmi carina, perciò opto per dei jeans cargo, una maglietta a maniche corte e una felpa. Metto ai piedi le mie amate converse ed esco di casa, con lo zaino in spalla e la voglia di crepare alle stelle.

Sull'autobus non ho incontrato nessuno, segno che probabilmente i miei amici avranno preso quello prima. Mi infilo il cappuccio e le cuffie, e alzo il volume al massimo. Tiro fuori il libro dallo zaino, mettendomi comoda sul sedile.

Arrivata a scuola nel cortile non c'è nessuno, cosa alquanto strana dato che stanno sempre tutti qui prima delle lezioni. Decido di sedermi su un muretto e aspettare che i miei amici si facciano vivi. Accendo una sigaretta e lascio che il fumo calmi i miei muscoli. Non appena l'aroma del tabacco mi finisce in gola rilasso le spalle, e butto fuori il fumo con un sospiro. Tolgo le cuffie dalle orecchie, e le butto da qualche parte nello zaino.

Proprio quando sto per prendere il telefono e scrivere un messaggio sul gruppo dei miei amici, un urlo disumano mi fa girare la testa di scatto verso la scuola, aggrotto le sopracciglia chiedendomi che diavolo sta succedendo. Un secondo urlo mi arriva più chiaro del primo, butto la sigaretta per terra e mi precipito dentro per capire cosa stanno combinando.

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