Capitolo 1: mi serve uno psichiatra bravo

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"chiediti cosa faresti se non avessi paura"

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"chiediti cosa faresti se non avessi paura"

Sono ormai le tre di notte, mio padre si sarà sicuramente addormentato da tempo, mentre io sono qui stesa a fissare il soffitto. Non ho sonno, neanche un minuscolo briciolo di sonno, e anche se provassi ad addormentarmi non ci riuscirei minimamente.

Questa è una delle cose mi da profondamente sui nervi. Odio quando non riesco a fare una cosa, anche se in quel momento è quello che desidero maggiormente, e più ci provo più fallisco. Ma odio soprattutto quando la mia mente comincia a vagare attraverso i ricordi, quando crea delle specie di storie incredibilmente intricate, quando fa di tutto pur di non farmi vivere in pace con me stessa.

Ci sono volte in cui la mia mente è completamente vuota, senza pensieri, ed è una cosa incredibilmente straziante, perché quei momenti di silenzio mi fanno venire le lacrime agli occhi. Odio il silenzio, la maggior parte delle volte. Il punto è che non so neanche io il perché, semplicemente mi viene una voglia matta di piangere, cosa che comunque non faccio e probabilmente non farei mai.

Non piango mai per tutti i dolori che mi affliggono: non piango se qualcuno mi prende in giro, non piango se mio padre mi sgrida, non piango per uno stupido film e non piango per una rottura. Non piango mai per me stessa, ne per gli altri. Non piango da così tanto che credo di essermi dimenticata come si fa. Esistono anche quei momenti in cui vorrei esclusivamente restarmene in silenzio, senza alcun pensiero, invece la mia mente urla a più non posso.

Ed oggi è una di quelle volte. La mia mente continua assiduamente ad urlare ed urlare, sempre un solo ed unico nome: Jonelle Joseph. Era una ragazza della mia scuola, prima che la madre la trovasse... morta, sul suo letto. Mi ricordo benissimo quel giorno, quando sua madre mi chiamò per darmi la brutta notizia. Mi raccontò di esser andata a svegliarla, ma non si era alzata dalla prima volta, come faceva spesso, così la lasciò 'dormire' ancora dieci minuti. Quando andò a svegliarla di nuovo rimase interdetta, non muoveva neanche un muscolo. Appena si rese conto che c'era qualcosa che non andava chiamò subito un'ambulanza.

Furono i medici a dirle che sua figlia era morta dissanguata. Ma non riuscirono a dare una spiegazione plausibile a questo, dato che sul suo corpo non trovarono nessuna ferita talmente grave da provocare un dissanguamento. Furono trovate solamente tre prove sulla loro presunta 'scena del crimine': delle piccole macchioline di sangue quasi inesistenti sul suo cuscino che poi si scoprì fosse il suo, la finestra aperta (la madre sostiene di chiuderla ogni sera), e due piccoli e strani fori sul suo collo. Ancora oggi non si spiegano chi, o cosa, abbia causato la sua morte. Il caso è stato chiuso da ormai tre mesi, ed è da quando lei non c'è più che non ho il coraggio di mettere piede nella sua casa.

Io e Joelle non eravamo esattamente amiche, o perlomeno non così attaccate. Sapevo lei dicesse in giro che fossi la sua migliore amica, ma io non avevo mai ne smentito ne confermato questa cosa. Non aveva amici, stava sempre sola perchè nessuno le era mai voluto stare vicino. Ero l'unica che passava ore a parlare con lei per non lasciarla sola in classe, i progetti di gruppo li faceva con me, e delle volte andavo a casa sua a giocare con i suoi ratti. Ne aveva quattro.

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