Oscurità

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La vedevo ovunque.
Era un tormento ormai.

L'ho vista così tante volte in queste settimane che ho avuto il dubbio, spesso, che in realtà non sia morta.

Quando ho visto la piccola in braccio a Maggie e Carl vicino a lei, ho subito realizzato.
La vita mi stava dando l'ennesima batosta, l'ennesima prova.
Ed ero stanco di affrontare le prove di questa maledetta vita.

Non solo ero responsabile delle vite di un gruppo di persone, in quel momento avevo anche perso mia moglie.
La donna della mia vita, la madre del mio coraggioso Carl e adesso anche della piccola.

Quando vidi che non era lei a tenere in braccio nostra figlia ebbi la consapevolezza, ma avevo ancora una piccola speranza, così mi precipitai dentro.
Ma venni fermato dal pianto di Maggie e allora capì.
Non ce l'aveva fatta, mi aveva lasciato, non c'era più.

La testa cominciò a girarmi e un pianto disperato invase tutto il mio corpo.

Non ero lucido, non capivo più dove fossi, ero completamente disorientato.

Poi mi resi conto che c'era anche mio figlio lì, Carl.
Aveva perso la madre e forse aveva anche visto il momento in cui era successo.

Mi avvicinai a lui, incapace quasi di reggermi sulle gambe e capì un'altra orrenda verità: Carl aveva ucciso Lori, sua mamma, mia moglie.

Il cuore cominciò a battere nel mio petto come se volesse rompere la mia gabbia toracica e lasciare il mio corpo.

Non era possibile,  perché a noi? Perché a Carl? Perché a Lori?

Non ero sicuro che sarei riuscito a superare anche questa.
Mio figlio non l'avrebbe superata, ed io questa volta non sarei stato abbastanza forte da sostenerlo.

Il mondo era già a pezzi, ma in quel momento mi sentì precipitare nel più profondo e oscuro dei pozzi.

Troppi pensieri mi invadevano la mente senza darmi il tempo di ragionare.

Riguardai Carl, mio figlio. Stava fissando il terreno con il sangue secco sul viso e le lacrime che sembravano creare solchi sulle sue piccole guance.

Il capello ancora saldo sulla sua testa.

Con voce rotta riuscì solo a dire "No, no... per favore! No!"

Poi il mio corpo non resse più, le mie membra ribollivano di dolore dentro il mio stanco corpo e non riuscì a fare niente se non buttarmi per terra e piangere.

Piangere e urlare.

Da quel momento la mia mente la immaginava in tantissimi posti e in qualsiasi momento.

Ho rischiato di morire a causa dei vaganti, di scappare dalla prigione o di mettere in pericolo tutti solo perché la mia mente mi giocava quello scherzo crudele.

Non riuscivo a controllare il dolore e questo mi stava sovrastando, mi stava invadendo e distruggendo.

Sembravo un pazzo che vagava senza meta, un fantasma che non sa di essere morto.

Le avevo anche parlato, una volta.
Ad un telefono della prigione. All'inizio non avevo capito fosse lei, poi ho compreso.

Ho anche compreso che stavo perdendo la ragione e che per riuscire a recuperare me stesso e quello che rimaneva della mia vita, dovevo lasciare andare Lori.

Lo dovevo fare per i miei figli.
Per Carl, dovevo insegliargli ancora tante cose e assicurarmi che imparasse a badare a se stesso.
Che in quel mondo non poteva distrarsi un secondo.

Dovevo farlo per la piccola, la piccola che avevamo chiamato Judith.
Dovevo assolutamente riprendermi, per poterla crescere e impegnarmi per trovare una soluzione,  per farla vivere in un mondo migliore.

Così un giorno, quando per l'ennesima volta, vidi mia moglie Lori,  la salutai da lontano e tra le lacrime le dissi che dovevo andare.

Che mi sarei occupato dei nostri figli e che non avrei permesso che questa oscurità invadesse le loro anime, come avevo lasciato che facesse con la mia.

Sarei diventato un uomo migliore e avrei tenuto questo gruppo al sicuro.

Nonostante la paura, nonostante la fatica, nonostante la sofferenza.
Nonostante la sua assenza, lo avrei fatto.

Così la guardai l'ultima volta e le dissi "Ti amo, puoi andare, adesso."

Socchiusi gli occhi e abbassai lo sguardo sul cemento.
Delle lacrime cominciarono ad uscire dai miei occhi senza il mio consenso.

Quando tirai di nuovo su il viso, lei non c'era più.

E nemmeno tutta quella oscurità.






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