𝕷𝖆 𝖘𝖔𝖑𝖎𝖙𝖆 𝕽𝖆𝖈𝖍𝖊𝖑

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Beverly

Mi soffermai a riflettere sotto la radice di un pino; ne percepivo l'odore balsamico mischiato alla frescura della neve intorno. "Forse devo chiamarli" pensai ai parenti in Italia, non sapendo a chi altri rivolgermi. I rapporti non erano dei migliori, non più, ma in fin dei conti perché non avrebbero dovuto aiutarmi? Ero Beverly, una loro cugina, non la mamma. Misi da parte la negatività, cercando prima il cellulare che infilai a casaccio nella borsa, e nel frattempo mi decisi a ripercorre la stessa strada per far ritorno in paese, attenta a non inciampare nelle radici finite sul marciapiede. Mi godei il paesaggio rurale, la radura biancastra in lontananza e le acicule coperte dalla neve, poi mi fermai.

Respirai l'aria gelida che, in quel caso, mi aiutò a trovare coraggio. Cercai i nomi di Mattia e Massimo, cugini di secondo o terzo grado, ma nemmeno lo ricordavo più: pensai che rivolgendomi a due uomini mi sarebbero venuti incontro con familiarità, o almeno così speravo. Avvicinai il cellulare all'orecchio e mi strinsi nelle spalle mentre percorrevo il viottolo, quando a un tratto sentii una voce nasale. 

Mi sbrigai a dire: "Mattia? Ciao. Sono tua cugina Beverly, non so se ti ricordi, ma credo di si... credo" buttai giù al primo colpo, senza dover capire come rispondere e impacciarmi di conseguenza, tranne l'ultima parola che mi uscii bassa da evitare di marcare il mio dubbio. 

"Ehm, chi?" 

Iniziavamo bene. 

"Beverly dall'Inghilterra" mi limitai a dire neutrale, schivando due passanti carichi di buste della spesa.

"Ahh, si, ti ricordo a malapena, ma sì. Sono Massimo comunque, come stai?" 

Bé, a malapena ti ricordo anch'io. 

Prima che potessi risponderlo, un suv diretto verso il paese mi schizzò addosso la fanghiglia innevata che era fiancheggiata al margine del marciapiede. Mi fermai rimanendo paralizzata come un tronco; cercai di scacciare alcuni pezzi di neve che iniziarono a scivolare verso il basso, bagnandomi tutto il cappotto. 

"Hey, ci sei?" La sua voce parve spazientirsi? Nemmeno ci feci caso. 

Mi disfai degli ultimi residui con ormai le macchie umide ad allargarsi sull'indumento. "Ehm, sì, bene. Scusa" mi sistemai i capelli ricaduti davanti al viso e cercai di continuare, ma Massimo mi precedette.

"Senti, è da molto che non ti sei fatta sentire e il mio intuito mi dice che sia successo qualcosa" proseguì una breve pausa "sembra vi facciate sentire solo per questo." Corrugai la fronte lasciando creare più di una ruga, rimanendo un attimo interdetta per la frase che aggiunse con una certa facilità, ma cercai di sorvolare e non farmela pesare. 

"Si, è vero, sono successe e stanno peggiorando" sembrava uno di quelli che non ci girava intorno alle situazioni, per cui lo accontentai. "Mia madre mi sta procurando più problemi del previsto e se prima riuscivo a tenerla a bada, adesso ne sta creando di più seri" mi spiegai sentendo a pochi metri da me di nuovo il gorgoglio del ruscello. 

"Senti, Beverly, ascoltami" tornai a fermare i piedi di scatto, pronosticando dal tono che averlo chiamato fu solo uno sbaglio. "Con tutto il rispetto, ma di tua madre non ce n'è può fregare di meno" ancora una volta si mostrò più schietto del previsto. "Ha fatto solo casini da quando era una ragazzina, almeno da come ci è stato detto in famiglia, l'unico a esserci riuscito è stato tuo padre, ma adesso che è in queste condizioni..." la sua spiegazione non terminata mi portò a stringere le labbra in una linea molto sottile "insomma, a questo punto vorrei sapere cosa ha combinato da costringerti a chiamare noi" non sapevo se continuare quella conversazione a causa dell'atteggiamento poco garbato. 

𝐿'𝑖𝑛𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑖 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑙𝑖Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora