Capitolo 21

6 1 0
                                    

Erano passate poche ore quando tutti si svegliarono. Quella mattina mi trovarono già seduto al tavolo, quindi Shelley e John si sedettero accanto a me. «Tutto okay?» mi domandò Shelley. Li guardai per qualche secondo dopodiché annuii debolmente. «Scusate per ieri» dissi abbassando lo sguardo. Ero imbarazzato per la scenata del giorno prima con mio padre. Mi tormentava il pensiero su chi avesse ragione tra lui e me, ma alla fine capii che non aveva alcuna importanza. Se fossi stato io o lui ad avere ragione non sarebbe cambiato nulla, sarei comunque andato via da quella casa, lontano da mio padre.
Shelley poggiò la mano sopra la mia sul tavolo, pensai che fosse un modo per attirare la mia attenzione, per poterla guardare e magari in quel caso mi avrebbe rassicurato come aveva sempre fatto, ma non quella volta. Non alzai lo sguardo, avevo il terrore di crollare se l'avessi vista. O forse avevo paura che potesse leggere i miei sentimenti più radicati, fatto sta che mi alzai pronunciando solo le parole necessarie per cambiare argomento.
«Qualcuno ha voglia di fare colazione?» mi grattai la testa sperando di sembrare disinvolto «so fare dei toast buonissimi» continuai andando in cucina.
«Sam... » iniziò a dire John ma quando mi voltai aprì la bocca per pronunciare qualcosa ma ci rinunciò quindi sorrise «Dei toast sono quelli a cui pensavo» accennai un sorriso ringraziandolo silenziosamente per non avermi chiesto nulla sulla sera precedente e continuai sulla strada della cucina.
In meno che non si dica, anche Tom si svegliò e, proprio mentre mettevo sul tavolo il vassoio con tanti toast, mi guardò con un sorriso timido. Volevo che quella mattina passasse velocemente così che non avrei avuto più nulla a che fare con mio padre, ma volevo anche godermi quel momento normale con i miei amici.
Fortunatamente quando si presentò mio padre, non disse nulla se non "buongiorno ragazzi" e per evitare altri convenevoli gli dissi «Oggi torniamo a casa»
Mi guardò triste ma annuì senza dire nulla.
Come speravo il tempo passò velocemente e con uno schiocco di dita ci trovammo in macchina. Stavo guidando tranquillamente, quando involontariamente mi fermai davanti all'ultima casa controllata da me quella mattina prestissimo.
«Perché siamo qui?» chiese John.
«Scusate, ero in sovrapensiero...» risposi ripartendo ma Shelley, che sedeva accanto a me, tirò il freno a mano. La macchina si fermò di botto, e guardai Shelley per chiederle la motivazione di un'azione del genere, ma al suo sguardo le parole mi morirono in gola.
«Che c'è in quella casa?» domandò incrociando le braccia al petto.
«Non credo valga la pena di indagare ulteriormente qui.» risposi raggirando la domanda, ma a quanto pare il mio tentativo di evitarla si dimostrò vano.
«Si ma che c'è?» richiese Shelley. Sospirai poggiando la fronte sul volante. Stavo riflettendo ma alla fine tentai per una strada più facile. Alzai la testa e guardai gli altri.
«Non c'è nulla. È solo una casa vuota. L'unico elemento presente è un tappeto a terra.» dissi sperando che bastasse ma continuai «Sono solo... in sovrapensiero, io...» nel sedile del passeggero dietro di me, John si protese per poggiare una mano sulla mia spalla. «Sono stanco.» pronunciai sussurrando e poggiando la testa nuovamente sul volante.
«Non preoccuparti . Guido io.» disse il medico. Ma subito intervenni.
«Non è quello che intendo.» alzai velocemente la testa. «Sono stanco dei segreti di mio padre.» per farmi capire mi girai a guardare tutti. «Ascoltate in quella casa c'è una botola, il tunnel che nasconde sembra non avere fine, e anche se ne avesse una, ho la sensazione che sia molto pericoloso.»
«Da quando ti preoccupi del pericolo?» chiese Tom.
«Da quando si tratta di mio padre.» risposi velocemente. «Ho come la sensazione che non sia più quello che ricordo» il mio tono si abbassò quando conclusi «Sempre che lo sia mai stato»
Tom si avvicinò e non ebbe paura di affermare «Volevo dirtelo prima ma col fatto che ti eri appena riconciliato con tuo padre, preferivo non dire nulla.» si sistemò meglio sul sedile «Quando te ne sei andato a fare la passeggiata ho sentito che stava parlando di te. Non so con chi ma stava al cellulare e diceva cose strane come "non può funzionare se mio figlio se ne va" o qualcosa del genere»
«Io una notte l'ho sentito che cercava frenetico qualcosa in cucina, ma pensavo che avesse fame. Ora non lo so più...» si aggregò Shelley. «Fatto sta che il tostapane è sparito per un giorno» continuò.
«Una volta l'ho visto maneggiare con qualche aggeggio strano, sicuramente costruito da lui. Non ho detto nulla perché magari ha la passione di creare oggetti strani, ma sembrava davvero inquietante...» disse infine Brice.
Non avevo detto nulla dei miei dubbi su mio padre perché non mi sembrava importante che lo sapessero, ma mi ricredetti. «Recentemente ho dei dubbi su mio padre. In tutte le sue vecchie abitazioni aveva questi strani contenitori con un liquido stranamente denso e continuano a comparire questi bossoli dello stesso calibro della pistola della casa in campagna.» sbuffai non riuscendo a capire.
«Credo che valga la pena indagare» disse Brice indicando fuori dal finestrino in direzione della casa. Ma scossi la testa abbassando il freno a mano pronto a ripartire. Sfortunatamente mi ritrovai degli amici che non volevano darmi retta, perché Shelley lo ritirò su. «Sam, ha ragione John...» disse infine.
«Non vi permetterò di andarci.» dissi risoluto. «So che è pericoloso. Me lo sento.» conclusi.
«Conoscendoti ci andresti da solo ed è anche peggio che andarci insieme.» sostenne Thomas alzando le spalle.
Non sapevo come replicare e tutti se ne accorsero «Devi solo fidarti di noi.» disse Brice sorridendo.
«Mi fido già di voi...» dissi ed infine sospirai sconfitto «Va bene... ma se mio padre c'entra con quel tunnel credo sia meglio tornarci un'altra volta...» cercai di procrastinare ma invano.
Gli altri mi guardarono e scesero dalla macchina, quindi li seguii per non restare indietro. Li guidai in quella falsa casa e alzai il tappeto. Rispetto a quella mattina, dove la luce scarseggiava, trovai subito la maniglia che apriva la botola, non persi molto tempo ad aprirla e a scendere quelle scale che, nonostante la luce mattutina, si continuava a non vedere dove conducessero. Mentre scendevo accesi la torcia del telefono per vedere dove mettevo i piedi, ogni tanto mi girai per vedere se tutti mi stessero seguendo. Li guidai nel tunnel infinito e li portai nel punto esatto in cui mi ero fermato la prima volta. «Sono arrivato fino a qui» dissi girandomi.
«E perché non hai proseguito?» domandò Tom puntando la torcia del suo telefono sul mio petto per riuscire a vedere il mio viso.
«Non avevo messo il cellulare in carica, mi si stava spegnendo» risposi sinceramente.
«Peccato, pensavo che avessi superpoteri che ti aiutassero a vedere al buio» sorrise Tom «Sarebbe stato bello stare con un supereroe» continuò scherzando, ma quel commento, oltre a farmi un po' ridere, mi fece arrossire. Fortunatamente era talmente buio che non si poteva vedere.
Tom tranquillamente continuò a camminare, ma troppo tardi mi resi conto che stava andando verso un buco nel pavimento, e ci cadde.
«Tom?!» urlai e mi affacciai con la torcia per cercarlo. Subito dopo si affacciarono preoccupati anche John e Shelley.
«Sto bene» rispose qualche secondo dopo, puntò la torcia verso l'alto poi si interessò a controllare nei suoi dintorni «Qui sotto c'è una stanza, sul soffitto ci sono delle lampadine quindi presumo che ci sia un interruttore.»
«Se lo trovi, non accendere nulla, attireremo l'attenzione» disse saggiamente Shelley.
«Ora arriviamo» dissi preparandomi a calare nel buco del pavimento. Una volta sceso, posai una mano sul braccio di Tom e domandai preoccupato «Ti sei fatto male?» lui sorrise.
«Mi lusinga che ti sei calato dal soffitto per vedere se stavo bene» disse con tono divertito ma al tempo stesso malizioso.
«Okay, non ti sei fatto nulla» risposi ridacchiando. Nel mentre scesero John e, subito dopo con l'aiuto del medico, ci raggiunse anche Shelley.
Da allora restammo seri per perlustrare la stanza. «Mi sembra di esserci già stato» dissi riflettendo tra me e me. Era un laboratorio ben pulito e sistemato, come se qualcuno ci andasse regolarmente. C'erano macchinari che avevo visto solo nei telefilm di fantascienza e molti sembravano anche quelli degli ospedali. L'unico mobile "normale" era una cassettiera, che sin da subito catturò la mia attenzione. Aprii tutti i cassetti, uno ad uno, e ci trovai ancora quei flaconi con del liquido denso al loro interno. Molti erano vuoti ma ce ne erano ancora parecchio pieni.
John si avvicino a me e, curioso, ne prese uno in mano per capire cosa fosse. Quasi non se lo fece scappare dalle mani quando sgranò gli occhi. «Sai cos'è?» chiesi volendo capire. Brice annuì e si schiarì la gola prima di comunicarmi cosa fosse.
«Sono cellule staminali» affermò infine.
A cosa potevano servire mai delle cellule staminali così in abbondanza? Mi chiesi se mio padre avesse a che fare con tutto ciò, da un lato volevo ricordarlo buono e carismatico, ma dall'altro sapevo che teneva nascosto qualcosa, e se fosse proprio quel laboratorio il suo segreto, allora avevo un motivo in più per indagare.
Non mi arresi a cercare ancora e trovai molte registrazioni audio. Non volevo fare casino quindi non li ascoltai nonostante la curiosità mi imponeva di farlo. Ma, anche se non potevo fare casino ascoltando quelle registrazioni, c'erano un paio di quaderni con dei lunghi testi. Non li lessi interamente, ma quel poco mi fece riflettere e incuriosire

"Esperimento 2.
Il soggetto mostra ancora difficoltà a camminare e comunicare. Forse ho usato troppe poche cellule staminali e molti dati genetici che vanno in conflitto[...]"
"Esperimento 10.
Ha iniziato a comprendere a pieno le sue funzioni motorie, ma temo ci vorrà ancora molto per la comunicazione[...]"
"Esperimento 25.
Il soggetto mostra grandi abilità logiche. Le mie correzioni hanno portato da un risultato discreto[...]"

Incuriosito lessi uno degli ultimi fogli che mi fece, per qualche motivo, un brutto effetto.

"Finalmente ho capito! Esperimento 143. Ha sviluppato un forte attaccamento, e forse era per questo motivo che non comunicava, o così mi sembrava. Ho compreso che ha sviluppato un modo del tutto personale e singolare di comunicare[...]"

Mi disgustava anche solo pensare a mio padre che faceva esperimenti. Anche se in quei testi rimaneva abbastanza vago e non si capiva esattamente cosa stesse facendo. Rimisi come stava poco prima e lasciai perdere con un peso nel petto.
Cercai Thomas per potermi sentire meglio e, una volta raggiunto, gli presi la mano. Tom si girò velocemente verso di me ma non disse nulla. Era sorpreso ma alla fine mi sorrise e questo mi bastò per stare meglio.
«Mio padre non è quello che diceva di essere...» dissi rammaricato ma anche consapevole dei miei dubbi.
«Spero che sbagli... se mai fosse come dici tu, sarà difficile accettare la verità.» rispose abbassando la torcia, mi sorprese il fatto che sapesse come la pensavo, sapeva l'importanza e l'impatto di tutto quello che stava accadendo. Gli ero grato che mi era accanto e che non stava cercando di migliorare o peggiorare la situazione, era solo presente per me. Questo mi bastava.
Poco dopo sentii la voce di John in lontananza «Come usciremo da qui?» chiese insicuro.
«Bella domanda...» mormorai e l'unico in grado di sentirmi era Tom a cui tenevo salda la mano. Nel perlustrare una parte della stanza non mi ero soffermato a vedere se c'erano porte per uscire. «Avete notato porte?» dissi con un tono normale per farmi sentire da tutti.
«Si, io» disse Shelley. Seguimmo tutti la voce della ragazza che si trovava davanti alla porta. La aprii ed essa rivelò delle scale che salivano. Con discrezione salii per primo e, in cima alle scale, trovai una botola, quando aprii anche quella, mi ritrovai a guardare un giardino recintato e poco più in là un edificio. Uscii e ci misi qualche secondo prima di riuscire ad orientarmi.
«Dove siamo?» chiese Brice subito dietro di me.
«Stesso quartiere ma siamo davanti alla scuola.» gli risposi. Guardai la strada trovando la situazione molto strana. «Abbiamo fatto molta strada...» riflettei ad alta voce quando tutti uscirono dalla botola.
«Raggiungiamo la macchina.» disse John stanco mentre si stiracchiò la schiena. Annuii «Per strada compriamo da mangiare.» proposi e tutti furono d'accordo con me. Quindi ci incamminammo cercando di distrarci il più possibile, ma appena abbassai la guardia ricevetti una botta alla nuca tanto forte da farmi svenire.

SecretsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora