Shoto non capiva, ed era normale che non ci riuscisse in fondo. Voleva solo che stessi bene, se ne inventava una diversa ogni giorno.

La sua ultima trovata, totalmente fallimentare, era stata cercare di farmi innamorare di lui.

«Credi che cresceranno fiori arancioni, qui?»

Eravamo dietro la palestra, Kacchan aveva scelto quel momento per sorridere.

Non a me, ovviamente.

A Kirishima.

Indossava i pantaloni della tuta della scuola, la felpa era poggiata malamente su una spalla perché diventava più stretta ogni giorno a causa dei continui allenamenti.

Sembrava una persona nuova, come se avesse scoperto qualcosa che gli faceva venire voglia di essere migliore, e non era complicato attribuire la cosa al raggio di sole che aveva accanto.

Non riuscivo ad odiare Eijiro.

Avrei voluto, con tutto il cuore. Odiarlo avrebbe significato darmi una valvola di sfogo in quella spirale che finiva con la mia morte.

Ma lui era semplicemente la persona più bella che avessi mai incontrato.

Era premuroso, non si tirava mai indietro se un amico aveva bisogno di aiuto. Aiutava Denki a fare i compiti perché sapeva che a volte faceva fatica a concentrarsi, spegneva la luce quando Tokoyami si addormentava sul divano perché Dark Shadow si rigirava di continuo sotto il mantello del ragazzo, quando Mina era triste le permetteva di fargli maschere per il viso e quando Ochako si sentiva spaesata a causa del suo Quirk lui la stringeva tenendola saldamente con i piedi a terra per ricordarle che non sarebbe volata via.

Non faticavo a credere che Kirishima fosse il ragazzo che aveva distrutto i muri che Kacchan aveva costruito in una vita intera. Era qualcosa in cui io non sarei mai riuscito e che lui aveva fatto con la stessa facilità con cui sbocciano i ciliegi in primavera.

Era bastata la sua risata per provocare in me l'ennesimo conato di petali esplosi nel giardinetto dietro l'edificio.

Fissavo la pozzanghera sul terriccio umido immaginando l'alberello di fiori arancioni, Shoto sbuffò a quella battuta infelice.

«Se crescessero, li strapperei uno ad uno.»

Ridacchiai e posai la testa contro la sua spalla, lui lasciò un bacio tra i miei capelli con aria pensierosa.

«Vorrei che mi amassi», mormorò di colpo facendomi perdere un battito.

Conoscevo Shoto da quasi tre anni, eppure a volte facevo ancora fatica a capire quando era serio e quando scherzava.

«Ma che dici, Sho?»

«Pensaci» fissava insistentemente i fiori sparsi a terra, il suo cervello faceva quasi rumore per quanto velocemente stava lavorando. «Non sarebbe tutto più facile?»

«Tu... Sho, mi ami?», chiesi quasi terrorizzato.

«Io...no, ma potrei», rispose con aria disperata. «Potrei renderti felice. Voglio dire... non ti farei mai soffrire, Izuku. Meriti un amore che sia vero, semplice e premuroso. Meriti qualcuno che ti dia il giusto valore.»

Sollevò lo sguardo su di me, io ero pietrificato sul posto. Portò la mano a spostarmi una ciocca di capelli dal viso, poi la posò sulla mia guancia e lasciò scivolare le dita fresche sulle lentiggini disordinate che mi ricoprivano la pelle.

Non mi dava fastidio, quel contatto mi provocava brividi lungo tutto il corpo ma sicuramente non mi faceva venire voglia di scappare.

Socchiusi appena gli occhi, posai la testa contro la sua mano, lui si avvicinò a me senza il coraggio di fiatare.

If the world was endingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora