Capitolo IX- Captatio Benevolentiae

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Sistemò l'ultimo vaso vicino alla finestra. Geranei di un pallido rosa volgevano il capo verso l'esterno, chini a osservare il prato sottostante.
Emeline appoggiò il vassoio sulla superficie lattea del tavolino d'avorio, riflettente sotto il tramonto delle cinque.
Il sole stava iniziando a calare ben presto, ed era già buio quando due giorni prima Julius Deerwood l'aveva fermata, chiamandola Barclay da dietro le spalle, mentre entrambi uscivano dall'aula di Biologia.
Era rimasto in silenzio per qualche secondo, prima di dirle che il cinque di settembre sarebbe stata una data favorevole, per il loro incontro.
Allora si era innalzato un coro di urla, fischi e frasi sconnesse in latino, da parte del gruppo che si portava sempre appresso.
Cunnio ¹, si erano messi a ripetere due ragazzi a braccetto. Cunnio, Cunnio.

Lei se n'era andata col favore di quella confusione, mentre Julius cercava di quietare la situazione con tutto lo sdegno nobile di cui era capace.
In quel momento, osservandosi riflessa nell'ambra del tè dentro la teiera, si chiese il perché di tutto quell'oltraggio.
Credette che fosse un problema di Deerwood; per quel poco che lo aveva conosciuto era rimasto in silenzio a osservarla, cupo e imbronciato: era plausibile che davanti alla sua schiera di seguaci avesse reagito in quel modo.
Lei di certo non se ne dispiaceva.

Aprì da sé la grande finestra del soggiorno, dopo aver ordinato all'unica cameriera che aveva a disposizione di spalancare tutte le altre. Il vento irrompeva nella sala senza trovare ostacoli, e sotto la sua spinta si muovevano le gocce di cristallo del lampadario, i fogli sul bracciolo del divano, le tende di lino scuro.

Anche la sua camicia si gonfiò di vento, ed Emeline non fece nulla per fermarla: le piaceva le sensazione del freddo tra le braccia, ad accoglierla come un vestito di gelida stoffa.
Si avvicinò al terrazzo, dove si arrampicava l'edera, e appoggiò i gomiti al bordo del balcone.

Non si sarebbero presentati.
Fulmineo, il pensiero la colse alla sprovvista, destando più delusione di quanta se ne sarebbe aspettata.
Erano le cinque e un quarto, ed era ovvio che sarebbe rimasta sola tutto il pomeriggio.
Certo.
Come aveva potuto credere di essere riuscita a convincerli, così facilmente?
Forse l'avevano addirittura ingannata, per tutto quel tempo.
Non sarebbe stata la prima volta, come ricordò con un'amara sensazione di disagio.

Il primo anno alla Vaas era stato un grande sogno febbrile, e tra la confusione e l'incertezza nell'ammettere per la prima volta delle donne all'interno del college si era creata come una moda nell'umiliare il più possibile le studentesse.
Faceva di tutto per dimenticarlo, ma credeva che una delle peggiori umiliazioni l'avesse subita proprio lei: la promessa di entrare in uno dei tanti circoli extrascolastici del dipartimento si era trasformata nel richiamo ufficiale di una professoressa, che si era trovata davanti una scena incomprensibile: una sola studentessa, seduta sulla cattedra dell'aula di astronomia fuori dall'orario scolastico, in attesa di qualcosa che non sarebbe mai arrivato.
E quei due studenti forse erano l'ennesima mortificazione.
L'ennesimo scacco matto a nome di tutti gli altri che si erano divertiti nel rimetterla al suo posto.

Si staccò dal balcone, decisa a tornare dentro. Erano le cinque e venti, e nessuno si sarebbe più presentato.
Chiamò la domestica dal piano di sotto, senza risposta.
Scendendo al piano terra lo trovò silenzioso, con solo il cinguettare lontano di qualche tortora.

«Isla?» gridò, mentre camminava verso l'entrata.
«Isla, chiudi le finestre, per cortesia. Non credo.»
Poi si fermò.
Un brusio indistinto proveniva da fuori, un vociare che le arrivò all'orecchio confuso e mischiato, incomprensibile.

Si diresse verso la porta, lasciandosi dondolare,  sospesa a un braccio che teneva aggrovigliato al pilastro di pietra dell'entrata.
«Isla» provò a dire di nuovo, meno decisa, mentre sentiva il rumore di passi sempre più vicini.
Il braccio lasciò la presa, ed Emeline si trovò sbilanciata verso i gradini del giardino; guardava lo spettacolo davanti a sé, senza sapere se esserne spaventata o terribilmente divertita.

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