Da una fine c'è sempre un inizio

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《Sof, mi passeresti la black mask?》
《Arriva》
Lancio la maschera ad Erica.
È sera. Dopo cena noi ragazze siamo sul letto di Beth o sdraiate per terra a mangiare marshmallow e a guardare insieme "The Kissing Booth ", uno dei nostri film romantici preferiti. Avremmo visto quel classico migliaia e migliaia di volte, ma non ci stanchiamo mai della meravigliosa vista di quel figo di Noah Flynn (anche se, personalmente, preferisco suo fratello Lee).
Finisce il film e Beth spegne la televisione.
Ci mettiamo strette in cerchio sul suo letto ad una piazza e mezza e mettiamo le luci led viola.
Cominciamo a giocare ad obbligo o verità, come si usa fare nei pigiama party.
《Sofya》mi chiama Gaia dopo qualche giro《obbligo o verità?》
《Verità 》
Anna gira la testa facendo girare di conseguenza le trecce bionde che si era fatta poco prima e sussura nell'orecchio qualcosa a Gaia.
《Uhh...sì ci sto》si schiarisce la voce
《Ti piace ancora Thomas?》mi chiede con aria maliziosa.
Rifletto per un po'. Dopo quello che era accaduto con Peter, non ero sicura al 100% di essere innamorata di Thomas. Certo, io e Peter non stavamo insieme e abbiamo passato molto poco tempo insieme, ma le sensazioni che avevo provato insieme a lui erano...confuse e diverse. Ma non ero innamorata nennemo di lui, ovviamente.
《No. Non mi piace più 》affermo con convinzione.
Dopo obblighi assurdi come assaggiare un marshmallow con la senape o cantare fuori dalla finestra "careless whisper" di George Micael, continuiamo a parlare e spettegolare un po' fino a quando non si fa tardi e ci infiliamo nei sacchi a pelo.
Avevamo fatto sasso, carta e forbice per chi prendesse il letto e io ovviamente...ho perso, come al solito.
Copro bene tutto il corpo con il plaid lilla che fregavo sempre a Bettie e chiudo gli occhi.
Nemmeno due ore di sonno che mi sveglio con un sogno fresco stampato davati ai miei occhi: era il giorno del trasloco e non avevo salutato nessuno. Mi ero quindi catapultata in una nuova ed assurda realtà in cui tutti mi escludevano, prendevano in giro, non avevo nessun amico, avevo perduto i poteri per la disperazione e, per giunta, ero in classe senza i pantaloni (un classico).
Svegliata di soprassalto, cerco di dirigermi il più silenziosamente possibile in bagno.
Mi guardo allo specchio, notando di essere impallidita e di avere una sensazione di nausea nello stomaco.
E se non mi fossi trovata bene nella nuova città? E se davvero non avessi trovato amici e fossi stata vista come la classica novellina sfigatella? E se...
《Sof, va tutto bene?》
Mi giro e vedo Beth sulla soglia della porta.
《Sì...sì, stavo solo...》
《Puoi dirmi cosa c'è che non va, eh》dice, incoraggiandomi.
La guardo. Abbasso lo sguardo sulle sue guance e sulle delicate lentiggini che si erano scolorite dopo l'estate e sento improvvisaente un bisogno di dirle tutto. Qualsiasi cosa. Di dirle della mia "seconda vita", dei miei poteri, della battaglia all'aereoporto, di Peter e di quelle fragilità che si stavano piano piano stanziando sempre di più nella mia mente.
Sbatto velocemente le palpebre tornando alla realtà. No, non potevo dirle tutto, sarebbe stato troppo difficile da spiegare e da assimilare.
Di certo Bettie era la persona di cui io mi fidavo di più, ma non potevo certamente rischiare quello che invece sarebbe potuto accadere da un momento all'altro.
Tony Stark, Steve Rogers e gli altri supereroi avevano rivelato la loro identità, ma per me è totalmente diverso. Parliamoci chiaro, ho quasi 15 anni, non dovrei nemmeno sapere come si bacia!
《Sono...sono preoccupata per il trasloco》dico, cosa che fondamentalmente era vera.
《Sicura che sia solo questo?》mi chiede preoccupata.
《Non voglio perdervi》
Con espressione afflitta, Beth si avvicina a me e mi abbraccia forte.
《Lo so, Sof, so quanto può essere difficile cambiare così la propria vita tutto ad un botto. Ma sono sicura che non farà altro che migliorare. Che questo ti conforti oppure no, è la pura verità》
Sospiro e mi allontano per sciaquarmi il viso con acqua gelida, fingendo che potesse far scivolare via anche tutte le preoccupazioni.

La mattina una chiamata di mio padre mi sveglia, accompagnata da un mal di testa non eccessivo.
《Papà ?》
Piccola, scusami se ti chiamo a quest'ora, ma il camionista del trasloco ha detto che ha disponibilità solo lunedì successivo al prossimo, quindi capisci che dobbiamo sbrigarci...
Sono nella merda.
《Va bene, papà. Il tempo di fare colazione e raccogliere tutto che torno a casa》.
Mi raccomanda di non dimenticare nulla e chiudiamo la chiamata.
Si svegliano amche Gaia ed Erica e andiamo a fare colazione.
《Sofy, cara, puoi venire un secondo?》mi chiede la mamma di Beth prendendomi da parte.
《Stanotte ho sentito te e Beth parlare...sicura che sia tutto ok?》
Non riuscivo a mentire alla signora Clarkson, per me era come una seconda madre.
《Sì, sono...solo un po' spaventata per il trasloco e il cambiamento che mi aspetta. Ma va tutto alla grande》le rispondo, con un largo sorriso.
《Lo so tesoro, immagino quanto sia difficile..ma se c'è qualcosa che non va oppure la malinconia ti assale, casa nostra è sempre aperta》mi rassicura, sorridendo calorosamente.
Lei e Bettie avevano gli stessi meravigliosi ed ipnotizzanti occhi limpidi, non riuscivi mai a guardarli e fingere persino a te stessa che vada tutto bene.
《Grazie per tutto l'appoggio. Sarete sempre una seconda famiglia per me》
Mi da una carezza gentile sul braccio e raggiungo le altre nel salone.
Dopo colazione vado a incastrare nuovamente tutte le mie cose nello zaino e torno a casa.
Essendo lunedì, sarei dovuta andare a scuola, ma dato che abbiamo solo due settimane per finire di inscatolare tutte le cose e traslocare, io e papà ci siamo presi questi giorni appositamente per questo: avrei recuperato tutto nella scuola nuova.
Dopo aver salutato nonna e papà, concentrati entrambi a mettere lo scotch sui pacchi, vado in camera ad iniziare il lavoro che mi attendeva.
Al centro della stanza erano già state posizionate varie scatole vuote pronte per essere riempite.
Mi guardo in giro, mettendo le mani sulle tempie e cercando di capire da dove iniziare e come continuare.
Alla fine prendo una scatola dal mucchio e comincio ad ordinare dentro di essa vari soprammobili.
Finito di sistemare tutte le cose sopra la scrivania come portafoto, libri che stavo leggendo e gnometti, barattolini contenenti altri oggetti, piantine grasse finte dell'Ikea, vari gioelli e giocattolini a caso degli ovetti Kinder, mi accingo ad inscatolare il contenuto della mia cassettiera.
Trovo dentro i cassetti alcune vecchie foto, qualche album da disegno e vecchi quaderni delle elementari, costumi da bagno minuscoli, pezzi di stoffe consunte che usavo per fare i vestiti alle bambole, penne scariche e diari delle medie (non voglio nemmeno leggervi ciò che c'era scritto, preferisco tenere quella parte della mia storia lontaaaano da me).
Ero a metà del lavoro quando mia nonna ci chiama per il pranzo: la pasta al pesto, uno dei miei piatti preferiti. Mi chiedo se la facciano a New York, anche se ho dubbi che sia buona quanto quella che ho mangiato in Italia.
Finito di pranzare, torno ad impacchettare gli oggetti nei cassetti fino a quando non arrivo all'ultimo: quello dei ricordi.
Mi giro e chiudo meglio la porta già semiaperta, per poi aprire il cassetto e tirare fuori il mio costume con molta cautela.
Infilo la busta nel mio zaino già pieno di cose e prendo una scatola. La mia scatola.
Un disegno della mia famiglia, evidentemente fatto da una bambina a cui era stato affidato un tubetto di acrilico blu, padroneggiava sul coperchio, adornata di diamantini stickers e bordi irregolari di un acceso fucsia pieno di glitter.
Apro la scatola sfregandomi successivamente le mani per togliere i glitter dai palmi sudaticci, ovviamente senza successo.
Dentro c'era una collana di pasta dipinta di vari colori, un cuore fatto di das con scritto
"Al mio amore più grande" e una foto incorniciata che ritraeva me e la mia mamma il giorno del mio sesto ed ultimo compleanno passato assieme a lei.
Sento una lacrima scendere lentamente sull mio viso per poi cadere sul vetro della cornice, nel volto di quella meravigliosa donna che posava un gentile sguardo carico d'amore sulla figlia, che aveva una tiara di plastica sulla testa e la collana di pasta che avevo tirato fuori poco fa.
Mi asciugo il viso con la manica e prendo la busta da lettera piena di foto, guardando una ad una con gran malinconia.
Alzo lo sguardo dopo aver sentito la porta aprirsi e mio padre si siede accanto a me, guardando le foto che avevo in mano.
Piangiamo insieme silenziosamente: non dava mai a vedere quanto mamma gli mancasse, ma sapevo che era così.

Alla fine, in una settimana avevo già sistemato tutte le mie cose nelle scatole (tranne i vestiti e le mutande, ovviamente) e quindi tornai a scuola per l'ultima volta.
Il fatto è che rivedere tutti i miei ricordi e trovare cose di cui avevo completamente rimosso l'esistenza mi divertiva tantissimo, per cui passavo molte ore nella mia camera ad inscatolare gli oggetti.
Oltretutto non era nemmeno così tanto grande la stanza, quindi non fu quello il problema.
La settimana dopo voló tra uscite con gli amici, le cose del trasloco come i nuovi mobili e gli ultimi impacchettamenti, le imprecazioni di mia nonna e i continui giri nella città per imprimermi nella testa ogni strada che ho percorso nella mia vita in quel paesino.
L'ultimo giorno, mi svegliai presto la mattina. Ormai era diventata quasi un'abitudine, dato che l'insonnia mi stava consumando.
Faccio colazione, mi lavo, mi vesto e vado all'appuntamento che io e i miei amici avevamo organizzato per gli ultimi saluti.
Esco di casa e prendo il solito bus per andare a scuola, come al solito con le cuffiette e con la mia solita, carissima playlist.
Nonostante tutte le lamentele, persino le lezioni di fisica mi sarebbero mancate.
Scendo dal bus e mi dirigo verso la scuola, fino a quando...
《AHHHHHHH》urlo.
《OHHHH MA TI SEI IMPAZZITA????》mi grida la figura di conseguenza.
E indovinate chi era? Thomas.
《Io...mi hai spaventata, ok?》mi difendo.
《Scusami non...non volevo spaventarti》mi dice.
Thomas (o come lo chiamavamo noi, Tommy) era un ragazzo abbastanza alto, con i capelli ricci color paglia scompigliati che gli davano un'aria seducente e gli occhiali tondi che gli cadevano sulla punta del naso lentigginoso.
Era vestito con un giacchetto tipo baseball rosso dalle maniche bianche e dei jeans leggermente strappati sulle ginocchia.
《Vabbene, tranquillo》gli dico leggermente imbarazzata.
《Ho saputo che stamattina partirai. Volevo dirti solo che...》
《Thomas, mi sei sempre piaciuto. Dalla 2 media. Non mi sembrava il caso di dirtelo dato che tra poche ore partirò ma...non me la sento di avere una "relazione a distanza", non so se capisci》mi dichiaro.
Quando ho tirato fuori tutto quel coraggio?
《Sofy》solitamente quando Thomas mi chiamava col mio nomignolo, un piccolo brivido mi scendeva lungo la schiena ma...stavolta non provai quella sensazione.
《Anche io ho avuto una piccola cotta per te però...non volevo rovinarti la partenza e nemmeno spezzarti il cuore dicendoti che non mi sentivo in grado di mantenere una relazione così lontana..》
Mi sporgo in avanti e gli stampo un bacio sulla guancia.
Lui ricambia abbracciandomi, e poco dopo ci stacchiamo.
Lo prendo sottobbraccio e camminiamo verso scuola, entrambi rossi sulle guance.
《SORPRESA!!!》tutti i miei amici erano davanti l'edificio per salutarmi. Immaginavo fossero solo pochi intimi, invece si presentarono molte persone che conoscevo anche solo di vista.
Salutai tutti baciandoli su entrambe le guance dicendogli che era un piacere vederli tutti lì, fino ad arrivare agli amici più cari che avevo.
Strinsi Erica, Gaia, Anna e Lisa, piangendo a dirotto e dicendo che avrei scritto tutti i giorni a tutte loro.
《Bettie》
《Sof》
Mi lasciai cadere nelle braccia della mia più grande migliore amica, mentre fiumi e fiumi di lacrime scendevano sulle mie guance come pioggia in primavera.
Lei piangeva di conseguenza, singhiozzando a più non posso.
Restammo così per circa 5 minuti, assorte dai ricordi e dagli ultimi meravigliosi giorni che avevamo passato insieme (quella settimana dormii spesso da lei, l'ultima volta salutando e abbracciando forte i suoi genitori), continuando a dirci quanto ci saremmo mancate e che dovevamo chiamarci tutti quanti i giorni.
Abbracciai nuovamente Thomas e salii in macchina di papà, che era arrivato poco prima.
Sporgendomi dal finestrino, saluto urlando come una matta tutti i miei cari e vecchi amici, che sarebbero stati per sempre dentro al mio cuore.
Mi sistemo bene sul sedile, guardando la strada avanti a me e pensando a quella che mi aspettava, frettolosa e golosa di futuro.

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