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Schopenhauer aveva interpretato la vita come una prigione permanente nella quale l'uomo non smette mai di volere, avendo  posto alla sua base  un bisogno, un desiderio o una mancanza, da soddisfare.

Il dolore è congenito alla volontà: volere qualcosa significa sentirme la mancanza.

Ecco che si può capire che soffrire e soffrire per la mancanza di qualcosa diventano la stessa cosa. La vera beatitudine, in fondo, non è altro che l'assenza di ogni bisogno.

Finchè siamo volontà, soffriamo. La volontà, in tutto ciò che vuole, vuole se stessa, la sua conservazione e il suo benessere. Il volere non ha né uno scopo e nemmeno un fine - forse lo scopo c'è ed è il perpetuarsi della volontà stessa. I vari scopi che la volontà si pone sono apparenti tant'é che sono volti non a soddisfarla e a farla cessare, ma bensì a mantenerla in vita.

I bisogni rimandano sempre a nuovi bisogni in una catena infinita la cui chiave è la perenne insoddisfazione. Cosa vogliamo poco importa: il nostro volere non ha mai soddisfazione, altrimenti porrebbe fine a se stesso.

Non cessiamo mai di volere, quindi la vita è un eterno soffrire.

La lezione che Dante aveva tenuto quella mattina sembrava fatta a pennello per lui. Infatti è dall'ora di filosofia che Manuel sta ripensando a quelle parole: circolano nella sua testa facendolo impazzire - lui si sente la parte ultima di quella sofferenza di cui parlava Schopenhauer e non sembrava potersi spostare da quella convinzione.

Erano passate due settimane da quando é venuto a sapere della relazione tra Simone e quello là: Manuel proprio non riusciva a capacitarsi del perché Simone avesse deciso di buttarsi a capofitto in una relazione con un ragazzo che lo avrebbe solo fatto soffrire.

Forse è un briciolo divertente come lui, il primo che aveva agito fratturandogli il cuore, pensasse di avere il diritto di giudicare le scelte altrui in materia amorosa.

Non poteva farci niente però: teneva troppo a Simone e non voleva immaginarlo sofferente una seconda volta, a causa di uno stronzo. Anche Manuel si sentiva in tal modo per averlo fatto stare male, quindi pensava di avere una certa responsabilità sulle spalle.

Per avergli urlato di non essere come lui.

Per aver minimizzato quel bacio che era stato lui a rubargli.

Per aver annullato l'importanza dell'amore che si erano scambiati, reciprocamente,  durante la festa di compleanno del minore.

Adesso - dato che la ruota del karma gira per tutti - ne stava pagando le conseguenze: si era inguaiato con le sue stesse mani, Simone si era solo adattato di conseguenza alla relazione che, Manuel,  aveva affermato non ci sarebbe mai potuta essere tra loro.

La suoneria del cellulare lo riportò con la testa sulla terra ferma. Controllò la schermata, scorgendo il numero di sua madre.

«Ciao ma', dimme.» borbottò rispondendo.

«Ciao tesoro. Volevo dirti che stasera torno più tardi, Ettore ha bisogno anche per il servizio della cena ... »

«Va bene, nun te preoccupà.» sospirò «Se c'hai bisogno per torna' a casa, dimmelo e te vengo a prende'.»

«Nel caso te mando un messaggio, ok? Comunque tu, pure oggi, c'hai 'na brutta cera .. tutto bene?»  si preoccupò ancora, ricevendo come risposta un bofonchiato «Seh ma', tutto bene. Smettila de chiedermelo tutti i giorni, davvero, n'è successo niente.» bugia alla quale, né lui né Anita, avevano creduto.

«Non ce credo assolutamente, ma so di non poterti tirar fuori nient'altro quindi devo accontentarmi della tua bugia.»

«Ah ma', ma che bugia e bugia ... comunque scrivimi dopo così me dici se devo venì o no.» dirottò il discorso «Va bene, a dopo.» gli diede spago, non ritornando sull'argomento, per poi agganciare la telefonata, spezzando, momentaneamente, la connessione con il figlio.

Another Love Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora