[1] • 14 Giugno

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Nello specchio appeso in bagno il riflesso di un nuovo Simone, consapevole, più maturo.
Aveva finalmente trovato un equilibrio con se stesso, poteva definirsi sereno e nella fase iniziale della sua nuova vita, se così poteva chiamarla.
Si sistemò i capelli con le mani, una delle due racchiusa ancora nel tutore che, molto probabilmente, avrebbe eliminato proprio quel giorno con l'ultimo incontro di fisioterapia.

La scuola era finita da una settimana, era appena la metà di giugno e faceva già un caldo asfissiante.
Optò per un outfit basico, come al solito, quindi prese una maglia blu fra quelle impilate nell'armadio e dei jeans chiari.
Vestirsi appariva come un sacrificio immane, data la temperatura abbastanza elevata.
Ma si consolò constatando che la piscina era appena stata riempita, dopo un'accurata manutenzione supervisionata da suo padre, quindi al ritorno o nel pomeriggio avrebbe potuto tranquillamente approfittarne per mettersi a mollo.

Una suoneria breve e improvvisa richiamò la sua attenzione, trovò il cellulare sulla scrivania e lo raccolse per leggerne il messaggio:

"Sono qui fuori. Sei pronto?"
"Esco."

Manuel.
Era stato puntuale per accompagnarlo a tutti gli incontri di fisioterapia ed alle visite ospedaliere verso cui si era dovuto recare dopo le dimissioni.
Su questo fronte era stato molto apprensivo, era sembrato quasi come se avesse voluto accollarsi la responsabilità di quel che gli fosse successo, non perdendolo più di vista.
L'incidente li aveva riavvicinati, legati più di prima. Non avevano litigato neanche una volta, dopo l'ultima prima dell'accaduto.
Manuel non aveva mai più rivolto parole offensive a Simone, non lo aveva attaccato né provocato, non lo aveva mai sfidato, né si era mai rivolto a lui in modo sgarbato.
Tutto l'astio dei mesi precedenti sembrava essersi dileguato dopo l'incidente.

Ma con l'astio era come svanito anche il loro incontro della sera del compleanno del più piccolo.
Non avevano toccato l'argomento una sola volta, non c'era stata una singola volta in cui avessero rivolto l'attenzione al ricordo delle loro labbra unite, delle braccia che avevano stretto l'altro come se ne andasse della propria vita. Delle mani che avevano sfiorato e accarezzato parti del corpo e spazi di pelle che mai avrebbero immaginato.

La serata del compleanno aveva lasciato come un solco nelle loro menti, un posto vuoto e spoglio di qualcosa che prima lo occupava, o almeno così volevano far intendere all'altro.
Simone, d'altronde, era ancora scottato dall'ultima volta che era stato aggredito dalle parole del riccio. E il rapporto che si era venuto a creare successivamente era tanto bello e spensierato da aver paura di rovinarlo.

I suoi sentimenti non erano svaniti, non erano magicamente scivolati via, ma si sforzava di non guardarlo troppo intensamente quando erano insieme, o perlomeno cercava di farlo quando l'altro non poteva accorgersene.
Stava imparando a stargli accanto, a sorridere con lui fotografando mentalmente ogni suo singolo sguardo per poi sfogliarne le immagini sotto le palpebre, quando si metteva a letto la sera.

Fino ad ora era andato tutto liscio, se amarlo da lontano e in silenzio significava poterlo vivere tutti i giorni a Simone stava più che bene.

Raccolse allora il casco e la cartelletta contenente tutti i referti medici per riporla in uno zaino in tela nera da adagiare sulle spalle, salutò da lontano la nonna e suo padre immersi nei loro discorsi in cucina, ed uscì.
Trovò Manuel in sella alla sua moto, intento a guardare lo schermo del telefono, mentre con le dita della mano libera si pizzicava il labbro inferiore.
Simone si avvicinò tirando un respiro profondo e mise in scena il suo sorriso migliore.

- Oh, ce l'hai fatta. A 'sto giro facciamo tardi, sono sicuro - fece Manuel, guardando male il ragazzo in piedi di fronte a lui.
- Non succede nulla, stai sereno.
- Eh no, non sto sereno. Poi si incavolano e io me devo innervosire. Sali, va. E tienite.

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