Erano passati anni dal terribile "Ultimo giorno", ero piccola quando tutto successe ma lo ricordo molto bene... Un'esplosione che prese tutta la regione, causata da un malfunzionamento all'interno del fabbricato. Ancora dopo quasi quindici anni le cause non erano del tutto chiare, errore umano o fatalità, chi lo sà... lasciando i pochi sopravvissuti costretti a vivere in quel posto da quel brutto giorno.... il governo, fu costretto a isolare tutto quanto costruendo in fretta e furia enormi mura che cingevano il margine. Alte quanto un palazzo controllate da alcuni militari che, fortunatamente, erano sempre pronti a tirarci su di morale il giorno delle provviste: ci aggiornavano sulle buone nuove, ci passavano medicinali e cibo vario... era bello vedere qualche altra faccia nuova oltre ai soliti.
L'esplosione fortunatamente, per così dire, non fu radio attiva quindi gli ingenti morti non furono per le radiazioni ma fu un'esplosione che rilasciò nell'aria una strana tossina che trasformava in mostri chi ne entrava in contatto e chi veniva morso da uno di essi.
I sopravvissuti erano divisi in due tipi: quelli che al contatto potevano trasformarsi ma erano rimasti in vita evitando il contagio per tutti quegli anni, e coloro chiamati Eletti, ed erano il risultato di un adattamento veloce a quella tossina, inglobandola nel loro dna e diventando quindi immuni ai morsi degli infetti o all'aria contaminata. Gli infetti, invece, erano chiamati "Rusher". Non erano degli zombie come molti si erano immaginati la fine del mondo o un invasione di quelle creature dettata dal mondo ludico, non erano però umani. Mangiavano carne senza provare mai la sensazione di sazietà, ti guardavano come se fossi la loro preda preferita e una volta che ti catturavano... o finivi come loro o venivi mangiato. Erano veloci, dannatamente veloci.
Ma la cosa peggiore... la cosa peggiore era che ricordavano chi erano e chi amavano, puntavano infatti ai propri cari.
«Ah...» cominciò mio fratello maggiore, Kal, dopo una lunga sessione di quello che gli anziani chiamavano allenamento per la sopravvivenza degli Eletti «Non ne posso più... voglio dormire, mangiare un... un panino come...» iniziò a dire fissando un punto vuoto davanti a sé e facendomi scoppiare in una fragorosa risata quando lo vidi sbavare pensando a qualcosa di buono che oramai potevamo solo sognare «Un doppio cheeseburger con bacon... patatine porzione doppia e tante di quelle schifezze da stare male...»
«Gli scienziati oltre le mura dicono che possiamo andare... che le tossine aeree sono state tutte eliminate correttamente... tocca solo più...» lasciai la frase a metà, lasciandomi cadere vicino a mio fratello.
Lo vidi immerso nei suoi pensieri per un lungo tempo, poi mi guardò sorridendo «Manca solo più la Pulizia finale, vero Mel? Immagino daranno il via a breve....» lo guardai a mia volta, guardando poi verso il panorama che avevamo davanti. Sorrisi vedendo il cielo, dopo anni, finalmente privo di quella grossa nube nera. Era azzurro come lo ricordavo tanto tempo fa e le nuvole viaggiavano pigramente sul suo velo chiaro prendendo di tanto in tanto forme buffe o più realistiche, permettendo di lasciare andare per poco i brutti e pesanti pensieri quasi fossero loro stesse a portarli via dalla nostra mente.
Mi alzai andando vicino all'enorme finestra distrutta dall'esplosione guardando ciò che mi circondava. Feci un profondo e lungo respiro inebriandomi di quell'aria che finalmente dopo anni non faceva più bruciare i polmoni o ti toglieva la sensibilità ad altri odori. I palazzi erano quasi tutti mal ridotti, privi di finestre con i muri pieni di buchi, crepe o addirittura leggermente storti. Alcuni erano pendenti e si appoggiavano a quello vicino. Le strade erano distrutte praticabili solo da mezzi adatti e la natura... la natura si stava riprendendo ciò che l'uomo le aveva tolto decenni prima. Guardai in giù, i carri pronti per la partenza e le varie divisioni di Eletti immuni all'infezione. Poi lo sguardo cadde sulla maestosa montagna, una volta traversata quella avremmo rivisto le grosse Mura del destino e, finalmente, saremmo usciti da quel luogo. Saremmo tornati alla normalità. Da qualche parente, magari, dopo lunghi e interminabili anni.
Anche quel posto, alto e lontano da tutto, il posto mio e di mio fratello, la nostra piccola casa negli ultimi quindici anni era sul procinto di essere inglobato di nuovo nella natura mostrando rose rampicanti che cingevano le colonne penetrando con forza nel soffitto fino a uscire sul tetto.
Sentii mio fratello alzarsi, si mise lo zaino guardandosi intorno come per assicurarsi di avere tutto il necessario e infine guardare a sua volta verso l'orizzonte finalmente brillante e pulito. Di nostro in quel luogo non vi era più nulla, tutto era impacchettato negli zaini. Vidi mio fratello, infine, prendere il ciondolo ad anello che si portava dietro dalla morte del suo amato e se lo portò sulle labbra, dando un leggero bacio su di esso e guardando ancora una volta l'orizzonte «Lo lasci andare?» chiesi, con gentilezza. Mio fratello conosceva Magnus dall'infanzia, con il tempo e dopo la catastrofe si dissero tutto e programmavano tante cose. Tante cose da fare oltre la recinzione, alla fine di tutta questa merda.
Il destino evidentemente non era dalla loro parte, Magnus fu contaminato pochi mesi prima, non era un Eletto, era un sopravvissuto come gli Anziani. Scrisse una lettera lunga per mio fratello che non volli mai leggere, era qualcosa tra di loro, era un loro unico e ultimo momento intimo, e dentro ad essa lasciò anche l'anello. Mio fratello odiò davvero tanto l'ironia della sorte, ricordo ancora le urla che riempirono le notti dopo la notizia del suicidio di Magnus.
"Non voleva diventare un mostro, e darmi il compito di ucciderlo..." si disse quella frase talmente tante volte che alla fine rimase in silenzio per giorni, una sorta di elaborazione finale, rilesse ancora la lettera, ancora ancora e ancora fino a saperla a memoria poi la bruciò.
Era il primo passo per lasciarlo andare.
Sentimmo il suono della campana che richiamava tutti, era tempo di andare. Finalmente potevamo uscire dalla zona recintata, Kal non rispose alla mia domanda ma lo vidi accennare un sorriso prima di caricare il braccio e lanciare l'anello nel vuoto, rimase fermo a fissarlo cadere per alcuni minuti, prese un lungo respiro, quasi liberatorio, lo vidi mordersi piano il labbro come se con quel lancio stesse dicendo tante cose che solo il suo caro Magnus poteva sentire, poi allargò il sorriso, sicuro e sereno «Lo lascio andare.».