Capitolo dodici

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I suoi occhi cangianti riuscivano a riflettere ogni singola sfumatura di quel meraviglioso tramonto d'inizio novembre.

Un dolce arancio contornava i lineamenti del suo viso disteso, mentre assaporava ogni striatura di quella meravigliosa esplosione di colori che gli si stava parando davanti. E si sentì finalmente leggero.

Non felice, ma leggero.


Aveva sempre avuto una leggera paura dell'altezza, questo non poteva negarlo, ma stare lì, così in alto, quando si era sempre sentito troppo piccolo, in ogni giorno della sua vita, stava portando il suo sorriso a distendersi, mentre ammirava, per la prima volta, il meraviglioso tramonto di New York.


Ed ora, dopo tutti quegli anni in cui aveva lottato e lottato per dimostrare la sua presenza al mondo, finalmente era in alto e da lì su, anche se avvertiva delle piccole vertigini e i suoi occhi sembravano offuscati per così tanta grandezza, si sentiva al sicuro.

Lontano da chiunque avrebbe potuto spezzargli di nuovo il cuore.



Sbatté le palpebre, per mettere a fuoco la visione che stava apparendo davanti ai suoi occhi, non appena si accorse di un pezzetto di cielo ancora tinto d'azzurro, lì, sulla sinistra.

Quelle leggere striature gialle, quel piccolo luccichio in fondo, provocato da un flebile raggio di sole... sembrava l'esatta descrizione degli occhi che ogni notte si ritrovava ancora a sognare e che, ogni volta, lo inducevano a risvegliarsi con un enorme peso sul cuore, quel peso che era certo non lo avrebbe più lasciato.


Abbassò lo sguardo, sentendo persino rabbia nell'ammirare quel pizzico di cielo, che gli rimembrava la perfezione che ogni notte sognava, mordendosi il labbro, cercando di non pensare.

Perché ogni pensiero era un altro brandello di dolore e lui era stanco, esausto di soffrire, ancora.


Due braccia circondarono il suo corpicino, che stava cercando di non tremare compostamente come una piccola foglia, stringendolo a sé. Rilassò la schiena contro il petto che era alle sue spalle, portando le mani sopra quelle che lo stavano stringendo.

Chiuse gli occhi, assaporando quel perfetto momento, sentendosi come in un bellissimo film d'altri tempi. Uno di quelli che ogni volta lo emozionavano al punto da ritrovarsi a piangere come un bambino, sperando che quelle scene, un giorno, avrebbe potuto riviverle, nella realtà, con l'amore della sua vita.

E adesso, si trovava proprio come in quei film che gli avevano segnato l'anima.

Soltanto che non si sentiva il protagonista, come aveva sempre sognato. Gli sembrava di essere uno spettatore, seduto sulla sua poltroncina, in prima fila, ammirando con occhi sognati quella scena meravigliosa a cui stava assistendo.

E, ancora una volta, si sentì vuoto. Perché la stava vivendo, ma non era lui.

Era soltanto una misera proiezione di se stesso.

E faceva male, da morire.


Riaprì gli occhi, quando la dolce voce dietro di lui, attirò la sua attenzione.



"Ti piace...?"



***





"S-sì. E'... bellissimo"




Strinse le braccia che lo stavano cullando, guardando fuori da quella piccola finestra, completamente appannata per il freddo pungente che stava cercando di entrare dall'esterno.

Amava il suo piccolo rifugio che si era creato in mesi e mesi di duri lavori e risparmi, ma quello... quello sì che era un bel posto dove vivere, dove rifugiarsi dal freddo e dove potersi rilassare, godendo di un meraviglioso camino, leggendo un libro o coccolandosi sotto le coperte.

Non era più in quella zona dimenticata da Dio e Brooklyn sembrava sul serio il posto adatto a lui.

Nessuno in quella piccola palazzina aveva accennato a guardarli in modo diverso, durante il loro piccolo trasloco. Avevano ricevuto soltanto saluti e grossi sorrisi dai loro vicini e lui, forse, si sentì al posto giusto, per una volta nella sua vita.

E, guardando distrattamente fuori da quella finestra, si rese conto che, se riusciva a concentrare tutti i suoi pensieri su un punto fisso, oltre quei vetri offuscati, fissando quel bellissimo tramonto, forse poteva riuscire a scorgere le meravigliose striature dorate, degli gli occhi più belli che conosceva, proprio lì, vive davanti ai suoi occhi.

E forse, quando si sarebbe sentito meno... giusto, e sapeva che, molto presto, quella vana sensazione sarebbe sparita, avrebbe potuto semplicemente ricercare in quel tramonto, lo sguardo perso e meraviglioso, che ogni notte sognava, trovandosi ogni mattina con una lacrima che gli solcava il viso e trovandosi ogni volta a costringersi a nasconderla, sospirando per l'arrivo di un altro giorno.

E non era il giorno che lui voleva arrivasse.

Quello in cui avrebbe potuto di nuovo sentirsi davvero felice.



Lasciò che il suo ragazzo lo cullasse, ondeggiando piano tra le sue braccia, ammirando insieme gli ultimi istanti in cui il sole stava tramontando su quella prima domenica passata insieme.

Avevano raggruppato tutti gli scatoloni in un taxi e trascinati fino a Brooklyn. Avevano passato quasi un giorno intero a far spazio all'innumerevole quantità di abiti che c'era al loro interno e, dopo un lungo ed estenuante lavoro, finalmente si ritennero soddisfatti e pronti per un meritato riposo.


Avviandosi alla cucina, per iniziare la preparazione della sua prima cena, in quella casa, Kurt si accorse di un piccolo spiraglio di luce, che aveva attraversato il bianco appannare della finestra e, come attirato da una forza invisibile, si era avvicinato con occhi lucidi, a passo lento, per ammirare, per la prima volta da quando era arrivato un anno prima, quanto poteva essere meraviglioso un tramonto a New York.

E si era sentito persino stupido per non averlo notato prima.

Forse non viveva così in alto per accorgersene o, forse, semplicemente, era così impegnato a rovinarsi l'esistenza, per concentrarsi sulle piccole cose che avrebbero potuto migliorarla, anche soltanto per qualche minuto.
Ma nell'istante in cui, le braccia di Adam avevano circondato il suo busto, facendolo ricascare nella sua dura e ancora inaccettabile realtà, si era ripromesso che, ogni volta che avrebbe potuto, si sarebbe concesso di ammirare quello spettacolo meraviglioso.

Anche se faceva male, da morire.

Perché ogni cosa, ogni piccolissima cosa, scalfiva il suo cuore, come una sottile freccia appuntita, ricordandogli, quanto avrebbe potuto essere migliore... se dietro di lui ci fosse stato il vero amore della sua vita.

E Adam, anche se stava facendo di tutto per riuscire a renderlo felice... Non lo era.


"Allora, come ti sembra?" Domandò Adam, inducendolo a guardarsi ancora una volta intorno.

"Mmmh." Mormorò, cercando una risposta soddisfacente, provando a rabbrividire senza riuscita, quando le labbra di Adam si posarono dolcemente sul suo collo. "Conoscevo già il tuo appartamento..."

"Sì, ma... Come ti sembra con noi due dentro e circa cinquanta tuoi completi nel mio armadio?"

Kurt ridacchiò, sentendo le gambe doloranti per l'arduo lavoro della giornata, durante il quale, la maggior parte del tempo, aveva dovuto buttare orridi golfini di Adam, per far spazio ai suoi immancabili gilet e, Adam, non aveva battuto ciglio.

Stava davvero facendo di tutto, pur di far sentire Kurt a casa e, se in quel momento quel tramonto non gli avesse ricordato, quanto quegli occhi dorati fossero così lontani da quelli blue cielo di Adam, forse... ci sarebbe riuscito.

Ma, quel tramonto aveva di nuovo chiuso Kurt nel suo piccolo mondo, quello in cui l'unica persona che possedeva il suo cuore, era lontana. E lui aveva deciso che sarebbe rimasta lì... Per sempre.


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