Capitolo tredici

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09/09/13

Ho sempre avuto paura dell'acqua.
Ho sempre perfino rifiutato il mare, perché la sola idea di dovermi trovare sommerso in una quantità d'acqua troppo grande per poter essere gestita da me e dalla mia paura, mi faceva venire i brividi.
L'apnea mi fa venire i brividi.
Ed è quando sono tornato a respirare, proprio questa mattina, che mi sono reso conto da quanto tempo io lo fossi stato.
Ero stato in costante apnea, sfidando la mia paura senza nemmeno rendermene conto.
Ed è stato impossibile evitarlo, giacché la mia aria, l'unica aria che io mi senta degno di respirare, era completamente mancata. Sparita.
Fino ad ora.
Per mesi ho nuotato e lottato per arrivare ad un traguardo mai realmente raggiunto.
Il dimenticare.
Non ho mai dimenticato. O, forse, non ho mai realmente voluto farlo.
Ricordare.
Quello era un piccolo sbocco di aria, prima di ricadere a capofitto nell'acqua gelida, tornando a vivere di quella costante e dolorosa apnea.
E poi oggi finalmente... ho respirato.
Perché tu sei tornato.



***




Se esattamente un anno prima gli avessero detto che si sarebbe trovato catapultato nel suo sogno di una vita, vivendo ciò che aveva sempre desiderato da quando, all'età di tre anni i suoi genitori avevano acconsentito alle tanto agognate lezioni di danza classica con tanto di tutù rosa, da quando a cinque anni aveva imparato a memoria tutte le battute di West Side Story, o da quando, raggiunto il fiore della giovinezza, con i suoi dodici anni si era reso conto di poter raggiungere le stesse note di Barbra, forse, avrebbe riso alla sola idea di poter davvero arrivare esattamente dov'era.

Era a New York.

La città che aveva sognato, amato e immaginato così tante volte nell'arco della sua esistenza, che, arrivato a destinazione, tre anni prima, alle sue prime nazionali, quasi gli era sembrato di ricordare quelle strade, come se le avesse già percorse, tante e tante volte, prima di metterci davvero piede, attraversandole passo dopo passo, come se fossero state nascoste fino ad allora, in un angolo buio del suo cervello. Come se, anche se era assurdo crederlo, le conoscesse da sempre.

Era, in qualche modo, già allora, il suo posto.

Nemmeno per un millesimo di secondo aveva avuto dei dubbi: sarebbe tornato in quella città e avrebbe vissuto lì per sempre.

E adesso? Era lì. Era finalmente lì.

Conosceva davvero quelle strade, riconosceva le luci in lontananza, potendo persino indovinare a quale edificio appartenessero e ogni luogo era diventato così familiare che se soltanto chiudeva gli occhi e ispirava profondamente per qualche istante, poteva finalmente affermare, dopo, lunghi vent'anni della sua vita, di sentirsi a casa.

Quella casa che aveva sempre sognato. Quella che, dopo aver perso sua madre, che gli aveva raccontato ogni sera, con la sua flebile voce fiera, di quanto New York fosse una città piena di magia, sussurrandogli che quello un giorno sarebbe stato il posto adatto a lui, quella che, dopo che la persona più importante della sua vita gli aveva fatto promettere di non nascondere mai se stesso e di raggiungere quella città se ne avesse sentito il bisogno, lui sapeva, fin da bambino, che lo avrebbe reso finalmente... felice.

E allora perché in quel momento, non riusciva nemmeno a credere di poter esserlo di nuovo, un giorno?

La risposta alla sua domanda era proprio lì, davanti ai suoi occhi.

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