Capitolo 7

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.Matter of feeling.

Sollevo lo sguardo dalla tastiera, il mio primo pomeriggio in ufficio è stato piuttosto tranquillo, fin troppo rispetto ai ritmi cui ero solita lavorare. Ma sapevo che gli impegni sarebbero arrivati e sicuramente non avrei stuzzicato il "can che dorme" dopo il caffè corretto che gli ho servito.

Proprio come una predizione, eccolo alla soglia del mio ufficio, braccia incrociate, posa rilassata ma ingombrante. Sa di essere il capo e non fa nulla per mettermi a mio agio. Mi squadra con un sorrisetto beffardo ma io non abbasso lo sguardo.

<Per oggi abbiamo finito>, esordisce con poche parole e senza convenevoli. Non sembra voglia intavolare una discussione, forse la sua giornata la contrario della mia è stata pesante.

<Va bene, prendo le mie cose e spengo il pc>, sintetica e pragmatica, infondo non siamo amici, anzi, siamo decisamente partiti con il piede sbagliato.

<Bene, ti accompagno>.

<Non serve, non voglio favoritismi a lavoro solo perché conosco Fabrizio. Non voglio in alcun modo che i colleghi si facciano un'idea sbagliata di me>.

<Insisto>, non demorde e sembra essere abituato a ottenere le cose senza doversi battere troppo. Atteggiamento imperscrutabile, quasi annoiato, ma sempre deciso.

<Anche io, posso prendere un taxi, ora ho un lavoro e posso permettermi una corsa senza ripiegare sulla metro>.

<Lavinia, siamo partiti male, lo capisco, ma dovremo lavorare insieme e mi piacerebbe appianare questi dissapori per il bene della società, un viaggio in macchina non comprometterà la tua reputazione e io avrò modo di scambiare due parole con la mia assistente>.

La mette sul piano lavorativo, è scaltro, manipolatore, sa che ho bisogno di questo posto e mi tiene sotto scacco. Accetto con una smorfia e cerco di tenere alta la mia posizione perché deve capire che non cederò facilmente, che lui è il mio capo e solo quello potrà essere. Amici mai!

Scendiamo insieme nell'ascensore che al 57° piano si riempie di persone. L'edificio deve essere molto frequentato, soprattutto nei piani intermedi. Azzardo: <ci sono molte società in questo grattacielo?>.

Sembra distratto ma capisco che è solo una sensazione perché continua a guardare avanti a sé ma risponde prontamente: <Si, al 57° c'è un importante studio legale>.

<Quello del padre di Cloe?>.

<No, quello del suo principale avversario>.

<Oh, chiaro>. E' davvero di poche parole, meglio per me.

Arriviamo al sotterraneo e lo seguo tra le auto ordinatamente parcheggiate. Si ferma davanti una Mustang nera e mi fa cenno di entrare. Non mi apre lo sportello né si prodiga in galanterie medievali. Da una parte lo apprezzo, mi fa sentire meno in imbarazzo, dall'altra penso che non mi sopporti e che il passaggio verso casa abbia uno scopo che non sono ancora in grado di capire. Sicuramente qualcosa nasconde. I suoi occhi sono calcolatori, le vedo le rotelle del cervello girare ininterrottamente. E' l'opposto di Fabrizio, l'uno pronto ad aiutarmi e gentile, l'altro una sfinge.

Entrambi però nascondono qualcosa...qualcosa che scoprirò.

Mi chiede l'indirizzo e glielo fornisco senza fare storie, poi caliamo in un silenzio tombale che mi fa ricredere sul suo voler "scambiare parole con la propria assistente". Decido di fare la prima mossa e cedere all'orgoglio che mi vorrebbe algida e inflessibile: <dunque quali saranno le mie attività? Avrò un parco clienti da seguire? Cosa dovrò fare concretamente?>.

Guarda dritto la strada e risponde in maniera pacata: <sarà molto semplice: farai ciò che io ti chiederò.>.

<Quindi mi relegherai a caffè e fotocopie? Per sapere sai, una laurea non serve per certe attività e mi pagheresti uno sproposito>.

<Sì, anche caffè e fotocopie, ma no, in generale mi aiuterai con alcuni clienti che io da solo non riesco più a seguire>

<Bene, grazie, anche perché ultimamente odio il caffè> Mi lascio sfuggire.

Si ferma al semaforo rosso e per la prima volta da quando siamo in viaggio mi osserva, sempre in silenzio, apre la bocca come a voler dire qualcosa, poi la richiude. E' un completo enigma, ma non mi mostrerò curiosa e non farò di nuovo il primo passo in un dialogo che evidentemente non gradisce. Mi giro quindi ad osservare i passanti sul grande marciapiede e penso a milioni di persone e milioni di storie. Ognuno ha i suoi lati oscuri, giudico Dawson, ma tutti ne abbiamo. Forse dovrei semplicemente lasciar stare, in fin dei conti cosa dovrebbe importarmi degli sconosciuti e lui è uno di questi.

<Il caffè ti fa stare male?>.

Forse è la prima vera domanda in cui mostra un minimo di interesse nei miei confronti. <Decisamente>, rispondo schietta.

<Non ti chiederò più di portarmi il caffè>.

<Non importa, ho imparato a convivere con le mie nuove sensazioni>.

<Non sono un despota, il caffè posso prenderlo da solo>.

<In effetti le tue mani sembrano funzionare>. Mi tappo la bocca con la mano appena mi rendo conto della battuta che ho detto senza freni.

Scoppia in una risata, la prima risata che sento in lui e lo guardo stralunata, come se dessi per scontato che lui non sapesse ridere. E invece mi spiazza e mi innervosisce scoprire che la sua dannata risata è davvero bellissima. Lui lo è. Ma cosa diavolo vado a pensare. Sono gli ormoni.

Mi osserva di sottecchi mentre credo di andare in fiamme tanto sarà rosso il mio viso e mi risponde giocoso: <sì, funzionano decisamente bene>.

Mi cade la mandibola al sottinteso che esprime con tranquillità come se non avesse fatto alcun tipo di allusione. Sono scioccata e mi obbligo a non dire più nulla per non cadere in ulteriore imbarazzo e figuracce.

<Su via, non fare la pudica, non ti si addice> e mi fissa la pancia per farmi intendere che i bambini non arrivano con la cicogna.

Avvampo ancora di più ma per la rabbia: <Sono incinta ok, sì, so come si fanno i bambini e no, non sono mai stata una poco di buono. Ti sei già spinto troppo oltre l'altra sera al pub, non ti permetto altre illazioni sul mio conto. Tu non sai niente, niente!>. Tuono come un bisonte inferocito e per la prima volta leggo sul suo volto il pentimento.

<Scusami, non sono avvezzo ai rapporti sociali diversi da quelli lavorativi. Mi sto sforzando di comprenderti e di accettarti. Ma non sono incline agli intrusi e tu lo sei. Siamo sempre stati noi, il nostro gruppo e ora Fabrizio se ne esce con l'Italiana in trasferta permanente. Tu porterai dei guai. Tu farai del male al nostro gruppo e io non lo permetterò>.

<Non sono la tua famiglia, non esagerare>.

<Anche tu non sai niente!>. Chiosa alla fine e ha ragione, sono caduta nel suo stesso errore. Ci stiamo giudicando a vicenda e stiamo sbagliando.

Non mi accorgo che siamo arrivati al mio indirizzo, ferma l'auto e si fa sfuggire una risatina: <oh ma dai, davvero abiti qui?!>.

<Sì, perché?>.

<Nulla, non sono io a doverti delle spiegazioni>.

Resto basita ma non insito perché so che non "caverò un ragno dal buco", quindi tolgo la cintura di sicurezza e afferro la maniglia dello sportello pronta per un "ciao e un grazie del passaggio" che però non riesco a pronunciare.

<Domattina alle 9 puntuale>.

Anche lui con la puntualità <Sarai tu quello in ritardo>. Ed esco.

The corner:
sono tornata dopo tantissimo tempo e lo so... sono imperdonabile, ma se vorrete leggere questo nuovo capito io ne sarò felice! Kisses

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 23, 2022 ⏰

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