capitolo cinque.

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Quella notte Jonah non riuscì a chiudere occhio, si sentiva stranamente in colpa e quella per lui era una sensazione nuova. Non voleva stuprare Anneka, ma lo aveva fatto. Era stato egoista e aveva pensato solo a ciò che voleva lui e non ai sentimenti della ragazza, la quale, era già molto spaventata. Il moro in realtà non aveva mai dato peso ai sentimenti di nessuno se non ai suoi, non gli importava degli altri né del loro giudizio. Quindi, nella sua testa, il suo comportamento era coerente a quello di sempre, ma non riusciva a sopportare il fatto di aver compiuto un'azione tanto orribile. Forse perché aveva promesso a sua madre che non avrebbe mai fatto una cosa del genere, o forse perché quella ragazza bassina lo interessava più del previsto.

La mattina seguente, i due ragazzi salirono in auto senza dirsi nemmeno una parola. Jonah aveva trascinato Anneka per il polso e l'aveva fatta salire in macchina, praticamente non era cambiato nulla dai giorni precedenti. Il silenzio, però, regnava sovrano tra i due. Finché la rossa non decise di parlare, «Dove stiamo andando?  » domandò con un filo di voce, tanto che il ragazzo fece fatica a capirla. « A fare colazione, c'è qualcosa in particolare che vorresti?  » le rispose in tono calmo, ma era talmente freddo che si poteva sentire una nota di inquietudine nella sua voce. La domanda che Jonah le aveva posto, aveva uno scopo ben preciso e no, non era quello di farsi perdonare. Aveva capito cosa avrebbe dovuto fare con lei, non c'erano altre soluzioni. Nella testa del moro, eliminare la ragazza, avrebbe eliminato anche tutti i suoi sensi di colpa e soprattutto, non avrebbe più provato delle emozioni nei suoi confronti.

« Uhm, dei pancake e caffè? » chiese la rossa titubante, non sapendo cosa però le sarebbe aspettato. Jonah annuì e la portò a fare colazione, la ragazza ebbe i suoi pancake e il caffè mentre il moro, non aveva preso nulla. Non aveva appetito. Era nervoso e voleva soltanto tornare nella sua auto, senza avere tutte quelle persone intorno, aveva paura. Paura che riconoscessero Anneka e chiamassero la polizia, ma per fortuna, avendola portata molto lontano dal paesino in cui abitava la ragazza, nessuno la riconobbe. Anzi, nessuno sembrava proprio far caso a loro.

Erano passate un paio d'ore da quando erano tornati in macchina, l'unico rumore che si poteva sentire era quello del motore e della musica che fuoriusciva  dalle casse. I due non avevano parlato molto, dopo la sera prima, Anneka era ancora più spaventata da lui e aveva il terrore che potesse accadere un'altra volta.

« Sai guidare?  » le domandò improvvisamente il ragazzo, guardandola per un secondo per poi tornare ad osservare la strada. La ragazza scosse la testa, « no, in realtà no. » rispose sinceramente, giocando con gli strappi dei suoi pantaloni. « Peccato, sono parecchio stanco, ti avrei fatta guidare. » il moro le spiegò, facendo spallucce e finendo così la conversazione. Anneka si maledì mentalmente per non aver preso la patente, quella sarebbe stata una buona possibilità di fuga, anche se sapeva che Jonah le avrebbe puntato la pistola alla testa per tutto il viaggio.

«Sai, Anneka, mi dispiace per ieri sera. » ammise il ragazzo in tono basso, e quelle, furono le parole più sincere che avesse mai detto durante la sua vita. Non riuscì nemmeno a guardarla, tanto era il suo senso di colpa e la vergogna che provava. Prendere una ragazza con la forza non era da lui. Anneka annuì, « già, dispiace anche a me. » disse la rossa mordendosi poi, il labbro inferiore.

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